Fideiussione o contratto autonomo di garanzia? – guida rapida
- La richiesta di nullità delle fideiussioni omnibus
- Gli schemi contrattuali
- La fondatezza della pretesa
Con sentenza n. 7466 del 26 giugno 2024, il Tribunale di Napoli si è soffermato sulla portata delle clausole di pagamento a prima richiesta e delle clausole di deroga dell’art. 1957 c.c. per qualificare un negozio come contratto autonomo di garanzia o fideiussione.
Proviamo a riepilogare in brevità lo svolgimento del processo e le conclusioni cui sono giunti i giudici.
La richiesta di nullità delle fideiussioni omnibus
La parte attrice, erede di fideiussori, ha chiesto dichiararsi la nullità integrale di due fideiussioni omnibus o, in subordine, delle clausole ivi contenute, deducendo, a sostegno della natura anticoncorrenziale delle pattuizioni impugnate, quale prova privilegiata, il provvedimento n. 55/2005 della Banca d’Italia.
Per i giudici, però, va innanzitutto segnalato che, alla luce della più recente giurisprudenza di legittimità si deve ritenere superata la tesi secondo cui l’unico rimedio esperibile sarebbe quello risarcitorio (valendo la sanzione della nullita di cui all’art. 33 della legge n. 287/1990 solo per le intese restrittive tra imprese e non per i contratti “a valle”).
Nel contempo, però, va evidenziato che invano è invocata la nullità dell’intero contratto, potendosi ravvisare nella specie solo la nullità delle clausole, proprio alla luce della suddetta pronuncia delle Sezioni unite n. 41994/2021 (che, dirimendo un contrasto giurisprudenziale in materia, hanno affermato che
i contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con la L. n. 287 del 1990, art. 2, comma 2, lett. a) e art. 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, sono parzialmente nulli, ai sensi dell’art. 2, comma 3 della Legge succitata e dell’art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti.
Le mancate prove
Nel caso in esame, infatti, la parte attrice non ha allegato specificamente e non ha provato l’essenzialità, per l’assetto di interessi in oggetto, delle singole clausole viziate, tale da determinare la caducazione integrale del contratto, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1419 co. 1 c.c., sicché priva di pregio è la domanda principale di nullità totale delle fideiussioni impugnate. Non risulta pertanto che le parti non avrebbero stipulato la fideiussione senza le clausole n. 2, 6 e 8.
Invero, non vi è prova che la Banca avrebbe preferito non avere nessuna in fideiussione piuttosto che avere una fideiussione priva di quelle tre clausole (la banca ha interesse al mantenimento della garanzia anche in seguito all’esclusione delle suddette clausole, poiché l’alternativa sarebbe quella dell’assenza completa della fideiussione, con minore garanzia dei propri crediti).
Né vi è prova che i garanti non avrebbero rilasciato la fideiussione senza le tre clausole il cui contenuto era favorevole alla controparte. Peraltro, proprio in virtù dell’espunzione delle clausole illecite, il fideiussore può considerare caducate le condizioni per lui sfavorevoli e, dunque, non può desumersi che non avrebbe concluso il contratto senza tali parti.
Di contro, è invece fondata la subordinata domanda di nullità delle singole clausole, essendo stata provata l’effettiva sussistenza di un accordo o di un’intesa anticoncorrenziale, tra un ampio “cartello” di istituti di credito al momento della stipulazione del contratto di garanzia.
Gli schemi contrattuali della fideiussione e della garanzia
In tal proposito, è noto che con provvedimento n. 55 del 2.5.2005 la Banca d’Italia ha accertato il contrasto tra lo schema contrattuale di fideiussione omnibus predisposto all’epoca dall’ABI e l’articolo 2 della legge n. 287/1990 (con riferimento agli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme) e che la giurisprudenza di legittimità ha assegnato ai provvedimenti dell’Autorità garante della concorrenza, in quanto frutto di un’attività istruttoria amministrativa, un valore di “prova privilegiata” ai fini della dimostrazione della sussistenza di un’intesa collusiva “a monte” e della conseguente applicazione uniforme tra essi dello schema negoziale sanzionato (cfr., ex multis, Cass. n. 13846/2019).
Nel caso di specie, è evidente la piena sovrapponibilità delle clausole di cui agli artt.
- 2 (in cui è previsto l’obbligo del fideiussore di “rimborsare alla banca le somme che dalla banca stessa fossero state incassate a estinzione parziale o totale di finanziamenti garantiti e che dovessero essere restituite — in via giudiziale o stragiudiziale ed anche in sede transattiva – a seguito di annullamento, inefficacia o revoca delle estinzioni medesime o per qualsiasi altro motivo, a patto che tali circostanze si verifichino entro ventiquattro mesi dalla estinzione, fatte salve l’interruzione o la sospensione, per qualsiasi motivo, dei termini e salvi ancora, per l’ipotesi di revocatoria, i maggiori termini previsti dalla legge);
- 6 (dal seguente tenore “consentiamo espressamente alla banca di azionare il proprio credito in via giudiziale nei confronti del debitore, di noi fideiussori o di qualsivoglia altro coobligato o garante anche decorsi i termini di cui all’art. 1957 c.c.”);
- e 8 (per cui “nelle ipotesi in cui le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la garanzia si intende sin d’ora estesa all’obbligo di restituzione delle somme a qualsivoglia titolo erogate”) dei contratti in atti, rispetto a quelle, con pari numerazione, previste nei modelli fideiussori ABI 2003, sanzionate dalla AG con il provvedimento n. 55/2005.
Il rapporto di derivazione
Ciò premesso, il rapporto di derivazione tra l’intesa anticoncorrenziale e i contratti di cui è causa, trova risconto sia nella conformità del testo quanto anche nella contiguità temporale tra le condotte anticoncorrenziali accertate dall’ABI e le fideiussioni rilasciate, non essendo stata fornita alcuna prova contraria da parte dell’istituto di credito sulla prova privilegiata.
Pertanto, in presenza della prova della sussistenza dell’intesa illecita a monte, la domanda dell’attore diretta ad accertare e a far dichiarare la nullità parziale dei contratti di fideiussione per violazione della normativa antitrust deve essere accolta.
Gli attori hanno anche dedotto che stante la nullità delle clausole di cui agli artt. 2, 6 e 8 delle impugnate fideiussioni, l’istituto di credito non potrebbe più agire nei loro confronti, essendo decaduta ex art. 1957 cit., non avendo agito nel termine di sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione del debitore principale.
Al riguardo, la parte attrice ha evidenziato che
il suddetto articolo tende a far si che il creditore stesso prenda sollecite e serie iniziative contro il debitore principale per recuperare il proprio credito, in modo che la posizione del garante non resti definitivamente sospesa.
Sottolinea inoltre che quanto sopra emergerebbe anche dal provvedimento della Banca d’Italia del 2.5.2002, secondo cui
la deroga al termine di cui all’art. 1957 c.c. arreca un significativo vantaggio non tanto al debitore in difficoltà — come ritiene I’ABI — quanto piuttosto alla banca creditrice che in questo modo disporrebbe di un termine molto lungo “coincidente con quello della prescrizione dei suoi diritti verso il garantito” per far valere la garanzia fideiussoria. Ne potrebbe risultare disincentivata la diligenza della banca nel proporre le proprie istanze e conseguentemente sbilanciata la posizione della banca stessa a svantaggio del garante.
Ancora, la parte attrice evidenzia che nella specie
l’obbligazione principale scadeva in data 27.05.2014, allorquando la banca — come pacificamente ammesso — vantando un credito nei confronti del debitore principale — Pubblisport Srl — di euro 33.560,05, per esposizione del conto corrente n. 1000/3673, oltre interessi, maturati e maturandi, intimava ai fideiussori a provvedere al pagamento entro i successivi 15 giorni. In ogni caso, si fa presente che il conto veniva chiuso a sofferenza in data 31.05.2015.
infine, si aggiunge che quindi
l’istituto di credito, nonostante la scadenza della obbligazione, non proponeva alcuna tempestiva azione giudiziaria nei confronti del debitore principale. La controparte infatti, anche a seguito della notifica dell’atto di citazione — 2.04.2014 – da parte della società, si limitava a costituirsi in giudizio e a contestare le domande attrici, senza spiegare domanda riconvenzionale.
Per i giudici del tribunale campano, anche questa domanda è fondata.
Ricordano infatti i giudici come ai sensi dell’art. 6 dei contratti di fideiussione dell’11.3.2004 (conforme all’art. 6 dello schema A.B.I.), l’istituto di credito si fosse riservato la facoltà di azionare il proprio credito in via giudiziale nei confronti del debitore, del garante o di qualsiasi altro obbligato, anche decorsi i termini di cui all’art. 1957 cit.
A causa, dunque, dell’applicabilità della disciplina legale (conseguente alla declaratoria di nullità parziale dell’art. 6 dei contratti impugnati), occorre allora individuare la corretta portata della disposizione codicistica, con particolare riguardo al significato del termine “istanza” cui fa riferimento I’art. 1957 cit.
La fondatezza della pretesa sulla fideiussione
In merito, si legge ancora nella sentenza, è condivisibile l’assunto della prevalente giurisprudenza di legittimità, secondo cui
l’art. 1957 c.c., nell’imporre al creditore di proporre la sua “istanza” contro il debitore entro sei mesi dalla scadenza per l’adempimento dell’obbligazione garantita dal fideiussore, a pena di decadenza dal suo diritto verso quest’ultimo, tende a far si che il creditore stesso prenda sollecite e serie iniziative contro il debitore principale per recuperare il proprio credito, in modo che la posizione del garante non resti indefinitamente sospesa;
pertanto, il termine “istanza” si riferisce ai vari mezzi di tutela giurisdizionale del diritto di credito, in via di cognizione o di esecuzione, che possano ritenersi esperibili al fine di conseguire il pagamento, indipendentemente dal loro esito e dalia loro idoneità a sortire il risultato sperato. (cfr. Cass. n. 283/1997; n. 3355/1999; n. 6823/2001; n. 1724/2016).
Ne consegue che, esclusa la rilevanza di un semplice atto stragiudiziale, nel caso di specie è incontroverso che né la banca cedente né la cessionaria hanno tempestivamente intrapreso iniziative giudiziali al fine di recuperare il credito de quo in danno della debitrice principale.
Deve, pertanto, dichiararsi che la cessionaria è decaduta dal diritto di agire nei confronti dei fideiussori (e degli aventi causa) per decorso del termine ex art. 1957 c.c.