Il timbro del cartellino “fasullo” ed il licenziamento – indice:
La Cassazione, con la sentenza n. 25750/2016, ha affermato che i c.d. “furbetti del cartellino” sono licenziabili in via legittima, indipendentemente dal metodo utilizzato per poter uscire dall’ufficio durante l’orario di lavoro, anche se l’accadimento risale prima della riforma Madia recentemente approvata.
La pronuncia della corte sul licenziamento del lavoratore che timbrava il cartellino
Stando a quanto sostengono i motivi della decisione evidenziati dalla pronuncia della Suprema Corte, “ai sensi dell’art. 55 quater del D. Lgs. 165/2001, l’uso fraudolento delle apparecchiature atte a documentare la presenza sul luogo di lavoro e l’utilizzo alterato di queste ultime non si consuma solo nella commissione di condotte volte ad alterare fisicamente il sistema di rilevazione delle presenze ovvero nel far timbrare il cartellino da altri colleghi, ma anche nell’omessa registrazione dell’uscita dal luogo di lavoro e nella attestazione sulla effettiva presenza sul luogo di lavoro“.
Chiarito ciò, la Corte di Cassazione ricorda anche come lo stesso materiale normativo sanzioni con il licenziamento la falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente e la giustificazione dell’assenza del servizio mediante una certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia.
Ulteriormente, gli ermellini hanno sottolineato come la formulazione “chiara” degli obiettivi del materiale normativo anche precedente alla riforma Madia, inducono ad affermare che “la registrazione effettuata attraverso l’utilizzo del sistema di rilevazione della presenza sul luogo di lavoro è corretta e non falsa solo se nell’intervallo compreso tra le timbrature in entrata e in uscita il lavoratore è effettivamente presente in ufficio, mentre è falsa e fraudolentemente attestata nei casi in cui miri a far emergere, in contrasto con il vero, che il lavoratore è presente in ufficio dal momento della timbratura in entrata a quello della timbratura in uscita”.
Il lavoratore in ufficio grazie al timbro del cartellino
Pertanto, alla luce di quanto sopra, i motivi della decisione della Cassazione evidenzia come la fattispecie disciplinare si realizza non solo nelle ipotesi di alterazione e di manutenzione del sistema, bensì in tutti quei casi in cui la timbratura, o altro sistema di registrazione della presenza in ufficio, miri a far risultare falsamente che il lavoratore è rimasto in ufficio durante l’intervallo temporale compreso tra le timbrature (o registrazioni) in entrata e in uscita.
A questo punto, la Cassazione rammenta come l’intervento normativo additivo rappresentato dalla riforma Madia abbia sicuramente non la qualificazione di fonte di interpretazione autentica, e non efficacia retroattiva. Indipendente dall’intervento riformatore, sottolineano i giudici, non si può certamente affermare che nel passato la condotta tipizzata fosse individuabile solamente nelle ipotesi di alterazione e di manomissione del sistema di rilevazione delle presenze.
Il licenziamento del dipentente
In altri termini, la Cassazione ha evidenziato come la riforma del pubblico impiego che fu realizzata 15 anni fa dal ministro Bassanini, e che poi venne rafforzata dalla riforma Brunetta, già punisce con il licenziamento di quegli statali che senza autorizzazione non sono presenti in ufficio a prescindere dalle modalità utilizzate per poter raggirare il loro datore di lavoro, ovvero lo Stato. Proprio per questo motivo la Corte ha accolto il ricorso con il quale l’Inps ha chiesto il licenziamento di un dipendente che nel 2010 si era allontanato dal posto di lavoro durante l’ora di servizio, probabilmente uscendo da un ingresso non controllato. La Corte di Appello aveva dichiarato nullo il licenziamento poichè rilevava che non vi erano state modalità fraudolente.
Tuttavia, nel ricorso in Cassazione, l’Inps ha sostenuto come la riforma Bassanini del 2001, prevede che sia comunque fraudolento anche il comportamento di colui che si produce “nella omessa registrazione dell’uscita dal luogo di lavoro e nella attestazione non veritiera sulla effettiva presenza sul luogo di lavoro”, pur senza alterazione o manomissione delle apparecchiature che documentano la presenza sul luogo del lavoro del dipendente, e indipendentemente dall’avvento della più recente riforma Madia.