Imposta di registro su locazione con clausole penali – guida rapida
L’Agenzia delle Entrate ha recentemente condiviso la sua risposta all’interpello n. 185/2024, con cui un contribuente domandava un chiarimento sull’applicazione dell’imposta di registro ad un contratto di locazione contenente disposizioni relative a una clausola penale.
In particolare, l’istante nel suo quesito rappresenta che intende locare un proprio immobile adibito a studio medico che, come specificato nella risposta alla richiesta di documentazione integrativa, “sarà locato ad un professionista, ancora da individuare, esercitante professione medica o sanitaria”.
Dovendo predisporre il relativo contratto di locazione, l’Istante fa presente che intende inserire nell’ambito delle previsioni contrattuali le seguenti clausole penali volontarie:
- Il mancato pagamento puntuale del canone e degli oneri accessori di cui al successivo paragrafo (omissis), costituisce motivo di risoluzione del presente contratto ed obbliga il conduttore alla corresponsione degli interessi di mora nella misura del tasso ufficiale di sconto maggiorato di (cinque) punti;
- In caso di mancata riconsegna della cosa locata alla scadenza prevista in contratto o a quella di una sua eventuale rinnovazione, il conduttore, oltre al pagamento del corrispettivo, si obbliga al pagamento di una penale giornaliera pari ad un trentesimo del triplo dell’ultimo canone corrisposto salvo i maggiori danni.
Tutto ciò premesso, il contribuente domanda se, in sede di registrazione del contratto, si applichi ai fini dell’imposta di registro, l’articolo 21, comma 2, del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (TUR) ovvero la disciplina degli atti contenenti più disposizioni che, per la loro intrinseca natura, derivino necessariamente le une dalle altre.
Il contribuente ricorda che questa disciplina comporterebbe la registrazione dell’atto con l’imposizione dovuta per la disposizione che dà luogo all’imposizione più onerosa.
La soluzione prospettata dal contribuente
Ricostruito quanto sopra, l’Istante ritiene che nel caso di specie rilevi il disposto di cui all’articolo 21, comma 2, del TUR, perché la clausola penale è da considerare accessoria all’obbligazione principale (locazione).
In altri termini, per il contribuente il contratto di locazione può esistere anche senza la clausola penale. Di contro, la clausola penale non può esistere senza il contratto di locazione.
L’Istante reputa dunque corretta l’applicazione del citato comma 2 dell’articolo 21, secondo il quale l’imposta di registro viene applicata come se l’atto contenesse la pattuizione che genera il prelievo più oneroso, ovvero il contratto di locazione tassato con l’aliquota del 2 per cento.
Il parere dell’Agenzia delle Entrate
Risponde a tale quesito l’Agenzia delle Entrate, che rammenta come la clausola penale sia disciplinata dagli articoli 1382 e seguenti del codice civile.
In particolare, l’articolo 1382 del codice civile stabilisce che
la clausola, con cui si conviene che, in caso di inadempimento o di ritardo nell’adempimento, uno dei contraenti è tenuto a una determinata prestazione, ha l’effetto di limitare il risarcimento alla prestazione promessa, se non è stata convenuta la risarcibilità del danno ulteriore. La penale è dovuta indipendentemente dalla prova del danno.
Sulla base di ciò, la clausola penale ha lo scopo di predeterminare il valore del risarcimento del danno in caso di ritardo o di inadempimento della prestazione dedotta nel contratto, esonerando il creditore dall’onere di provarne l’entità.
Per quanto concerne le finalità fiscali, il pagamento che consegue – in caso di inadempimento – dalla clausola, è escluso dalla base imponibile Iva, ai sensi dell’articolo 15, comma 1, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e assoggettato ad imposta di registro ai sensi dell’articolo 40 del TUR (c.d. principio di alternatività Iva/ Registro).
Il trattamento ai fini dell’imposta di registro
In relazione riferimento al trattamento ai fini dell’imposta di registro della clausola penale inserita in un contratto di locazione, ricompreso nell’ampia categoria generale dei contratti a prestazioni corrispettive, occorre considerare le previsioni dettate dall’articolo 21 del TUR («Atti che contengono più disposizioni»), secondo cui:
Se un atto contiene più disposizioni che non derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, ciascuna di esse è soggetta ad imposta come se fosse un atto distinto.
Se le disposizioni contenute nell’atto derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, l’imposta si applica come se l’atto contenesse la sola disposizione che dà luogo all’imposizione più onerosa.
In relazione a ciò, l’Agenzia delle Entrate evidenzia che, come da ultimo chiarito dalla Corte di Cassazione con la sentenza 7 febbraio 2024, n. 3466, l’espressione disposizioni che è utilizzata dalla norma, deve essere intesa nel senso di disposizioni negoziali, ognuna contraddistinta da una autonoma causa negoziale, e non di pattuizioni o clausole concernenti un unico negozio giuridico.
In questo senso si può leggere anche la circolare 29 maggio 2013, n. 18/E, secondo cui
per disposizione si intende una convenzione negoziale suscettibile di produrre effetti giuridici valutabili autonomamente, in quanto in sé compiuta nei suoi riferimenti soggettivi, oggettivi e causali.
Atto collegato o atto complesso
Nella sua risposta all’interpello, l’Agenzia delle Entrate segnala poi come l’applicazione del comma 1 o del comma 2 dell’articolo 21 del TUR sia correlata alla distinzione fra ”atto collegato” e ”atto complesso”; più precisamente:
- l’atto collegato, in cui ciascuna disposizione negoziale è retta da un’autonoma causa economico giuridica, ancorché funzionalmente connessa alla causa complessiva dell’operazione, è soggetto a imposizione ai sensi del comma 1 dell’articolo 21 del TUR, come se ogni singola disposizione fosse un atto distinto;
- diversamente, l’atto complesso, le cui disposizioni sono rette da un’unica causa economico giuridica, derivando necessariamente per la loro intrinseca natura le une dalle altre, è soggetto a un’unica tassazione ai sensi del comma 2 dell’articolo 21 del TUR, come se l’atto contenesse la sola disposizione che dà luogo all’imposizione più onerosa.
In rapporto a ciò, la Corte di Cassazione – con citata sentenza n. 3466 del 2024 – nel pronunciarsi sul trattamento fiscale ai fini dell’imposta di registro della clausola penale contenuta in un contratto di locazione, ha ritenuto che
ai fini di cui all’art. 21 d.P.R. 131/86, la clausola penale (nella specie inserita in un contratto di locazione) non è soggetta a distinta imposta di registro, in quanto sottoposta alla regola dell’imposizione della disposizione più onerosa prevista dal secondo comma della norma citata.
La giurisprudenza di legittimità
A queste conclusioni la Corte di Cassazione è pervenuta puntualizzando che
la funzione coercitiva e di predeterminazione del danno della clausola penale ne implica la sua necessaria accessorietà (ex multis: Cass., sez. III civ., 26 settembre 2006, n. 18779:
Stante la natura accessoria della clausola penale rispetto al contratto che la prevede, l’obbligo che da essa deriva non può sussistere autonomamente rispetto all’obbligazione principale; ne consegue che, se il debitore è liberato dall’obbligo di adempimento della prestazione per prescrizione del diritto del creditore a riceverla, quest’ultimo perde anche il diritto alla prestazione risarcitoria prevista in caso di mancato adempimento del predetto obbligo.
La Corte di Cassazione ha inoltre precisato come
la clausola penale ha […] secondo la previsione codicistica, lo scopo di sostenere l’esatto, reciproco, tempestivo adempimento delle obbligazioni ”principali”, intendendosi per tali quelle assunte con il contratto cui accede; essa non ha quindi una causa ”propria” e distinta (cosa che invece potrebbe accadere in diverse ipotesi, pur segnate da accessorietà, come quella di garanzia), ma ha una funzione servente e rafforzativa intrinseca di quella del contratto nel quale è contenuta; dovendosi desumere pertanto che più che discendere dall’inadempimento dell’obbligazione assunta contrattualmente, la clausola penale si attiva sin dalla conclusione del contratto in funzione dipendente dall’obbligazione contrattuale.
Ricorda dunque l’Agenzia delle Entrate che le clausole penali non possono sopravvivere autonomamente rispetto al contratto e ad esse deve applicarsi la disciplina generale dell’oggetto del contratto, considerato che trovano la loro fonte e radice proprio nella medesima causa del contratto rispetto alla quale hanno effetto ancillare.
La funzione delle clausole
Le clausole attengono pertanto, per loro inscindibile funzione ed ”intrinseca natura” all’unitaria disciplina del contratto al quale accedono, venendo per il resto a prestabilire e specificare una prestazione ovvero un obbligo, quello risarcitorio, altrimenti regolato direttamente dalla legge.
In conclusione, aggiunge ancora l’Agenzia delle Entrate, stando alla Corte di Cassazione la funzione clausola in questione, desumibile dal dettato normativo degli articoli 1382 e seguenti del codice civile, non può ritenersi eterogenea rispetto all’obbligazione derivante dal contratto di locazione cui accede,
perché sul piano giuridico, l’obbligazione insorgente dalla clausola penale, sebbene si attivi conseguentemente all’inadempimento dell’obbligazione, non si pone come causa diversa dall’obbligazione principale, alla luce della funzione ripristinatoria e deterrente coercitiva rispetto all’adempimento sua propria, dunque finalizzata a disincentivare e ‘riparare’ l’inadempimento, oltre che introdotta dal legislatore come elemento contrattuale volto a ridurre la conflittualità in caso di inadempienza, tutelando anche in ciò, ab initio, la parte adempiente.
È dunque la stessa disposizione di legge che correla gli effetti della clausola penale all’inadempimento contrattuale, con la conseguenza che, assumendo appunto la clausola penale una funzione puramente accessoria e non autonoma come confermato da Cass. del 26.09.2005, n. 18779 rispetto al contratto che la prevede, l’obbligo che da essa deriva non può sussistere autonomamente rispetto all’obbligazione principale […].
Le conclusioni dell’Agenzia delle Entrate
Alla luce di tutto ciò, l’Agenzia delle Entrate ritiene che in linea generale, in sede di registrazione del contratto di locazione, contenente una clausola penale (come nel caso di specie), ai sensi del citato articolo 21, comma 2, del TUR, sia applicata la tassazione della disposizione che dà luogo all’imposizione più onerosa, tra la disposizione afferente al contratto e quella relativa alla clausola penale stessa.
Ai fini della valutazione della disposizione più onerosa, alla clausola penale si applica la disciplina degli atti sottoposti a condizione sospensiva, di cui all’articolo 27 del TUR, secondo cui
gli atti sottoposti a condizione sospensiva sono registrati con il pagamento dell’imposta in misura fissa. (ovvero 200 euro).
La clausola penale non opera dunque diversamente da una condizione sospensiva. Gli effetti di tale condizione sono ricollegati al verificarsi di un evento successivo alla registrazione del contratto (quello, futuro ed incerto, dedotto in condizione ovvero l’eventuale ritardo/inadempimento se si tratta di clausola penale).
Il verificarsi degli eventi che fanno sorgere l’obbligazione (tardività/inadempimento) e, quindi, l’ulteriore liquidazione d’imposta
devono essere denunciati entro trenta giorni, a cura delle parti contraenti o dei loro aventi causa e di coloro nel cui interesse è stata richiesta la registrazione, all’ufficio che ha registrato l’atto al quale si riferiscono
ai sensi dell’articolo 19 del TUR.