Indebita percezione di somme da parte della banca – guida rapida
- Percezione indebita di denaro
- La richiesta di documenti alla banca
- La prova della giusta causa dell’attribuzione patrimoniale
Con l’ordinanza n. 17584 del 26 giugno 2024 la Corte di Cassazione si è pronunciata sul tema degli oneri probatori che gravano sul correntista che intende dimostrare l’indebita percezione di somme da parte della banca.
Considerato l’interesse della materia e la frequenza delle discussioni intorno ad esso, abbiamo cercato di analizzare la sentenza cominciando dalla ricostruzione dei fatti, per giungere poi a un commento sulle motivazioni dei giudici di legittimità.
Percezione indebita di denaro
I fatti traggono origine dalla citazione della banca da parte dell’amministratore di una società. L’amministratore espone di avere intrattenuto con la banca un rapporto di conto corrente. Nel corso del rapporto erano stati addebitati importi per interessi superiori al tasso legale, benché non pattuiti, anatocistici ed usurari, nonché la commissione di massimo scoperto parimenti non concordata.
Per questi motivi l’amministratore chiede declaratoria di nullità e/o inefficacia delle corrispondenti clausole contrattuali e la condanna della banca alla restituzione della somma percepita illegittimamente per le succitate causali.
La banca, costituitasi, contesta le avverse pretese del cliente ed eccepisce anche la loro intervenuta prescrizione. Con sentenza del 19 maggio 2016, n. 895, il tribunale respinse la domanda dell’amministratore, ritenendola sfornita di prova.
Fu poi promosso gravame dall’amministratore contro la banca, rigettato dalla Corte di appello di Ancona, con sentenza dell’8 ottobre 2020, n. 1041. Con quella pronuncia la Corte ha dichiarato di fare applicazione del principio processuale della cd. ragione più liquida desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., esaminando immediatamente il merito della controversia
dovendo l’appello essere disatteso per le ragioni di cui in prosieguo ed evidenziando come la domanda sia da rigettare nel merito perché rimasta priva di adeguato riscontro probatorio e che la società attrice, premettendo l’indebito incasso da parte della Banca di somme non dovute, ha proposto istanza di accertamento negativo del credito della banca convenuta e, pertanto, sulla stessa ricadeva l’onere di provare il proprio assunto.
Le altre affermazioni della parte
Affermò inoltre che
il titolare di un conto bancario che agisca per la ripetizione e/o anche solo per l’accertamento di asseriti indebiti (e/o la rettifica di determinate poste) ha l’onere di allegare e provare gli elementi costitutivi dell’azione promossa, nonché l’inesistenza di una causa giustificativa del pagamento per la parte che si assume non dovuta (mancanza di causa debendi) ovvero del successivo venir meno di questa […].
Le stesse considerazioni valgono anche quanto alle contestazioni relative all’applicazione di interessi ultralegali e al superamento dei tassi soglia che il correntista ha l’onere di indicare in modo specifico, anche producendo i decreti e le rilevazioni aventi per oggetto i tassi soglia […]».
Pertanto, prosegue, sarebbe stato
onere del correntista allegare le ragioni di presunta illegittimits e dimostrare concretamente sia l’esistenza della clausola che stabilisce interessi usurari, sia il suo asserito contenuto illegittimo, non essendo possibile supplire a tale onere attraverso la mera produzione di una consulenza di parte, né attraverso la richiesta di CTU che, come correttamente evidenziato dal giudice di prime cure, qualora ammessa verrebbe ad avere natura esplorativa.
Ritenne poi che non
avrebbe potuto soccorrere parte attrice l’ordine di esibizione di documenti ex art. 210 c.p.c., dovendo a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.c., contenere la specifica indicazione dei documenti medesimi e la precisazione del contenuto degli stessi, al fine di dimostrare la loro utilità a provare il fatto controverso: non è perciò consentito inoltrare un’istanza di esibizione tesa a scopi meramente esplorativi, o meglio a verificare se i documenti eventualmente supportino la tesi difensiva della parte attrice, anche perché la stessa, nel caso de quo, non si è avvalsa della facoltà prevista dal comma 4 dell’art. 119 del D.lgs. n. 385 del 1993, come argomentato con logica e condivisibile motivazione dil Tribunale di Ancona [..].
Le ultime considerazioni
Infine, considerò che
[…] nell’auspicata applicazione del principio di cd. vicinanza (o inerenza) della prova, che concorre a traslare ‘onere della prova sul convenuto realizzando una specie di “riequilibratura processuale” delle posizioni asimmetriche sul piano sostanziale, non possa tuttavia ragionevolmente ritenersi di porre a carico della banca convenuta un generale onere di fornire al correntista la documentazione contabile, trattandosi di un principio eccezionale derogatorio della canonica ripartizione dell’onere della prova e che, in quanto tale, non possa esso trovare giustificazione nella mera diversità di forza economica dei contendenti, neppure qualora il correntista (ma non la società odierna appellante) sia diligentemente ricorso alla strumentazione stragiudiziale ex art. 119, co. 4, T.U.B. (cosi Cass. Civ., Sez. VI, 8 febbraio 2019, n. 3875), ma sia uguaimente incorso nell’impossibilita di un’acquisizione documentale, causata da comportamenti ostruzionistici ad opera della banca.
Ebbene, nel caso de quo è ravvisabile comunque la negligenza di parte attrice che non ha dimostrato di aver richiesto nel tempo, né in via stragiudiziale nella previsione dell’avvio di un contenzioso, la documentazione contrattuale e contabile di sua spettanza quale parte contrattuale del rapporto in essere con la banca e tale negligenza non può in sede giudiziaria essere colmata con le menzionate richieste processuali. In considerazione del chiaro ed univoco quadro probatorio delineatosi all’esito del giudizio di I grado, la sentenza dev’essere interamente confermata; la Corte rigetta, inoltre, tutte le richieste istruttorie reiterate dalla difesa appellante per quanto di ragione”.
Si giunge così al ricorso in Cassazione.
Per quanto di nostro interesse, concentriamoci esclusivamente sull’analisi del secondo e terzo motivo di ricorso.
La richiesta di documenti alla banca
Il secondo motivo di ricorso verte sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 360 co. 1 n. 3, c.p.c. Assume che la Corte d’appello in relazione alla richiesta di esibizione ex art. 210 c.p.c., distorce la natura dell’art. 119 co. 4 TUB trasformandolo da strumento di garanzia e trasparenza per il correntista, in strumento di preclusione. Al contrario, il potere del correntista di domanda alla banca di fornire la documentazione sul rapporto di conto corrente intercorso con la banca può essere esercitato anche in corso di causa e anche mediante ogni mezzo idoneo allo scopo.
In proposito, nelle sue motivazioni la Suprema Corte ricorda che costituisce consolidato orientamento quello per cui
l’acquisizione del fascicolo d’ufficio di primo grado, ai sensi dell’art. 347 cod. proc. civ., non costituisce condizione essenziale per la validità del giudizio d’appello, con la conseguenza che la relativa omissione non determina un vizio del procedimento o della sentenza di secondo grado, bensi, al più, il vizio di difetto di motivazione, ove venga specificamente prospettato che da detto fascicolo il giudice d’appello avrebbe potuto o dovuto trarre elementi decisivi per la decisione della causa, non rilevabili aliunde ed esplicitati dalla parte interessata.
Il principio di cui alla sent. Cass. n. 25158 del 2020
Viene poi richiamato il principio di cui alla sent. Cass. n. 25158 del 2020, che ribadisce che
il diritto spettante al cliente, a colui che gli succede a qualunque titolo o che subentra nell’amministrazione dei suoi beni, ad ottenere, a proprie spese, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni, ivi compresi gli estratti conto, sancito dall’articolo 119, comma 4, del d.lgs. n. 385 del 1993, può essere esercitato in sede giudiziale attraverso l’istanza di cui all’articolo 210 c.p.c., in concorso dei presupposti previsti da tale disposizione, a condizione che detta documentazione sia stata precedentemente richiesta alla banca e quest’ultima, senza giustificazione, non abbia ottemperato.
In tale pronuncia si puntualizza poi che
il cliente può, se lo ritiene, e se […] ne ha l’esigenza, chiedere direttamente alla banca, e non per il tramite del giudice, la consegna degli estratti conto dell’ultimo decennio: una volta inoltrata la richiesta, la banca è obbligata ad effettuare la consegna entro il termine previsto. E la norma cosi congegnata, in difetto di alcuna previsione normativa in tal senso, non impatta affatto né sul riparto degli oneri probatori, né sulla disciplina processuale applicabile. Non è forse superflua qui una ulteriore precisazione, a scanso di pur improbabili equivoci.
Il ricorso all’art. 119 d.lgs. 385/1993
Quanto precede non sta a significare che il cliente, una volta introdotta la causa in veste di attore, non possa più avvalersi dell’articolo 119, ultimo comma; non può farlo invocando indiscriminatamente I’intervento del giudice, il che stravolgerebbe le regole processuali invece operanti, a meno che la banca non si sia resa inadempiente dell’obbligo che su di essa incombe: ma nulla esclude, viceversa, che il cliente, introdotta la lite (ed al netto dell’osservanza dell’articolo 163, numeri 3 e 4, c.p.c.), possa rivolgersi direttamente alla banca per farsi consegnare la documentazione di cui ha bisogno: si immagini il caso di una istanza avanzata nelle more del secondo termine di cui all’articolo 183, sesto comma, c.p.c.”.
Si muove in senso analogo anche la successiva Cass. n. 23861 del 2022, che precisa che
non è dunque necessario – […] – che la richiesta sia avanzata in epoca antecedente all’instaurazione del giudizio nell’ambito del quale l’istanza ex art. 210 cod. proc. civ. è proposta, essendo sufficiente, sotto il profilo temporale in esame, che, al momento della formulazione di tale istanza, il cliente abbia chiesto copia della documentazione e che siano decorsi novanta giorni dalla richiesta – tale è il termine assegnato alla banca dall‘art. 119, quarto comma, T.U.B. per ottemperare alla richiesta – senza che la banca medesima abbia proceduto alla consegna della documentazione, a meno che non sia dimostrata l’esistenza di idonea giustificazione dell’inadempimento.
La sent. Cass. n. 12993/2023
Infine, viene rammentata la sent. Cass. n. 12993 del 2023, che puntualizza che
in tema di conto corrente bancario, la scelta del correntista circa il momento anteriore all’instaurazione del giudizio da promuoversi contro la banca (con le eventuali conseguenze sull’istanza ex art. 210 cod. proc. civ. se formulata, ricorrendone i presupposti, nel medesimo giudizio) o in pendenza dello stesso – in cui esercitare la facoltà di richiedere all’istituto di credito la consegna di documentazione ex art. 119, comma 4, del d.lgs. n. 385 del 1993,
deve tenere conto, necessariamente, al fine del successivo, tempestivo deposito di detta documentazione, oltre che del termine (novanta giorni) spettante alla banca per dare seguito alla ricevuta richiesta, di quello, diverso e prettamente processuale, sancito, per le preclusioni istruttorie, dall’art. 183, comma 6, cod. proc. civ., con le relative conseguenze ove esso rimanga inosservato, fatta salva, tuttavia, in quest’ultima ipotesi, la possibilità di valutare, caso per caso, se la condotta del correntista possa considerarsi meritevole di tutela mediante l’istituto della rimessione in termini.
Il motivo è dunque non accolto.
La prova della giusta causa dell’attribuzione patrimoniale
È invece fondato nei limiti di cui si dirà il terzo motivo di ricorso.
Anche in questo caso, ampi sono i rinvii, a cominciare dalla recente sent. Cass. n. 3310 del 2024 che ribadisce che grava sull’attore, che agisca per I’accertamento del corretto saldo di un conto corrente (e per la restituzione di quanto versato in forza di clausole comunque invalide), la prova dell’inesistenza di una giusta causa dell’attribuzione patrimoniale compiuta in favore del convenuto, ancorché si tratti di prova di un fatto negativo, rimarcando che
nelle azioni suddette, colui che agisce allega la dazione senza causa di una somma di danaro non come adempimento di un negozio giuridico ma come spostamento patrimoniale privo di causa, sicché può assolvere l’onere della prova di questo fatto al di fuori dei limiti probatori previsti per i contratti, atteso che detti limiti sono applicabili solo al pagamento dedotto come manifestazione di volontà negoziale e non a quello prospettato come fatto materiale estraneo alla esecuzione di uno specifico rapporto giuridico.
Invero, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, i limiti legali di prova di un contratto per il quale sia richiesta la forma scritta ad substantiam o ad probationem – cosi come i limiti di valore previsti dall’art. 2721 cod. civ. per la prova testimoniale – operano esclusivamente quando il suddetto contratto sia invocato in giudizio come fonte di reciproci diritti ed obblighi tra le parti contraenti, e non anche quando se ne evochi I’esistenza come semplice fatto storico influente sulla decisione del processo.
Le ulteriori considerazioni dei giudici
Si aggiunge dunque solamente che
- in relazione alla corresponsione di interessi anatocistici, vale la disciplina ex art. 1283 cod. civ.,, interpretato in ambito di conto corrente bancario, dalla consolidata giurisprudenza di legittimità;
- la mancata dimostrazione di un’eventuale pattuizione contrattuale di un tasso di interessi maggiore di quello legale, avrebbe come unica conseguenza I’applicazione di quest’ultimo;
- per la lamentata corresponsione di interessi usurari occorrerebbe tenere conto che i decreti ministeriali pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale, con i quali viene effettuata la rilevazione trimestrale dei tassi effettivi globali medi, indispensabili alla concreta individuazione dei tassi soglia di riferimento, in virtù del rinvio operato dall’art. 2 della legge n. 108 del 1996, costituiscono atti amministrativi di carattere generale ed astratto, oltre che innovativo, e quindi normativo, perché completano i precetti di rango primario in materia di usura inserendo una normativa di dettaglio. Per questo, tali decreti vanno considerati alla stregua di vere e proprie fonti integrative del diritto, che il giudice deve conoscere a prescindere dalle allegazioni delle parti.
Indebita percezione e ripetizione del denaro dato alla banca
Si osserva poi come la giurisprudenza di legittimità abbia già riferito che se il cliente agisce nei confronti della banca per la rideterminazione del saldo del proprio conto corrente e la ripetizione di quel danaro dato alla banca, dall’inizio del corrispondente rapporto fino alla sua cessazione, sul presupposto di dedotte nullità di clausole del contratto di conto corrente relative, ad esempio, alla misura degli interessi ed alla commissione di massimo scoperto, all’applicazione di interessi in misura superiore a quella del tasso soglia dell’usura presunta, nonché ad addebiti di danaro non previsti dal contratto, è il cliente che deve provare mediante il deposito degli estratti di conto corrente la fondatezza dei fatti e delle domande di accertamento costituenti il presupposto anche dell’accoglimento della domanda di ripetizione di indebito oggettivo.
Ne consegue che in mancanza di alcuni estratti di conto corrente, il cliente perde la possibilità di dimostrare il fondamento della domanda di restituzione di danaro da lui dato alla banca nel solo periodo di tempo compreso fra l’inizio del rapporto e quello cui si riferiscono gli estratti di conto corrente depositati.
Può ad ogni modo il giudice ben accertare, mediante consulenza tecnica d’ufficio, se vi siano addebiti alla banca non dovuti, secondo la prospettazione dell’attore, in quanto risultanti dagli estratti di conto da questi depositati.
Gli oneri probatori in caso di indebita percezione
Proprio in relazione al tema degli oneri probatori in controversie tra banca e correntista, la recente Cass. n. 1763 del 2024 ha puntualizzato che, nelle controversie aventi ad oggetto un rapporto di conto corrente bancario:
[…] l’istituto di credito ed il correntista sono onerati della dimostrazione dei fatti rispettivamente posti a fondamento delle loro domande e/o eccezioni, tanto costituendo evidente applicazione del principio sancito dall’art. 2697 cod. civ.;
una volta esclusa la validità della pattuizione di interessi ultralegali o anatocistici a carico del correntista (oppure la non debenza di commissioni di massimo scoperto o, ancora, il non corretto calcolo dei giorni valuta) e riscontrata la mancanza di una parte degli estratti conto, I’accertamento del dare ed avere può attuarsi con I’impiego anche di ulteriori mezzi di prova idonei a fornire indicazioni certe e complete che diano giustificazione del saldo maturato all’inizio del periodo per cui sono stati prodotti gli estratti conto stessi. Questi ultimi, infatti, non costituiscono l’unico mezzo di prova attraverso cui ricostruire le movimentazioni del rapporto.
La condotta del giudice di merito in termini di indebita percezione
A fronte della mancata acquisizione di una parte dei citati estratti, il giudice del merito:
- può valorizzare altra e diversa documentazione, come, ad esempio, le contabili bancarie riferite alle singole operazioni, oppure le risultanze delle scritture contabili o gli estratti conto scalari ove il c.t.u. eventualmente nominato per la rideterminazione del saldo del conto ne disponga nel corso delle operazioni peritali. Spetterà poi al giudice la concreta valutazione di idoneità degli estratti da ultimo a dar conto del dettaglio delle movimentazioni debitorie e creditorie o anche la stampa dei movimenti contabili risultanti a video dal data base della banca, ottenuta dal correntista avvalendosi del servizio di home banking, se non contestata in modo chiaro, circostanziato ed esplicito dalla banca quanto alla sua non conformità a quanto evincibile dal proprio archivio (cartaceo o digitale);
- può anche attribuire rilevanza alla condotta processuale delle parti e ad ogni altro elemento idoneo a costituire argomento di prova, ai sensi dell’art. 116 cod. proc. civ.
È innegabile, peraltro, che malgrado la richiamata, vasta tipologia di documentazione utilizzabile per la integrale ricostruzione delle operazioni che si sono susseguite sul conto (spesso in un arco temporale anche molto ampio), non sempre sia possibile addivenire a quel risultato, sicché, solo in tale ipotesi al giudice di merito sarà consentito utilizzare, dandone adeguata giustificazione, i metodi di calcolo che ritenga più idonei al raggiungimento comunque di un risultato che rispecchi quanto più possibile ‘avvenuto effettivo sviluppo del rapporto tra le parti.
In quest’ottica, dunque, potrà certamente trovare applicazione anche il criterio dell’azzeramento del saldo o del cd. saldo zero, il quale, pertanto, altro non rappresenta che uno dei possibili strumenti attraverso il quale può esplicitarsi il meccanismo della ripartizione dell’onere probatorio tra le parti sancito dali’art. 2697 cod. civ..
I principi di diritto – indebita percezione
Per ragioni di completezza, i giudici di legittimità ricordano infine come, in relazione alla mancata produzione in appello di documentazione depositata dalle parti in primo grado, le Sezioni Unite di Cassazione, con la sentenza del 16 febbraio 2023, n. 4835 hanno enunciato i seguenti principi di diritto.
Primo principio – indebita percezione
In materia di prova documentale nel processo civile, il principio di “non dispersione (o di acquisizione) della prova” – che opera anche per i documenti, prodotti con modalità telematiche o in formato cartaceo – comporta che il fatto storico in essi rappresentato si ha per dimostrato nel processo, costituendo fonte di conoscenza per il giudice e spiegando un’efficacia che non si esaurisce nel singolo grado di giudizio, e non può dipendere dalle successive scelte difensive della parte che detti documenti abbia inizialmente offerto in comunicazione.
Secondo principio – indebita percezione
In materia di prova documentale nel processo civile, il giudice d’appello ha il potere/dovere di esaminare un documento ritualmente prodotto in primo grado nell’ipotesi in cui la parte interessata ne faccia specifica istanza nei propri scritti difensivi indicando le ragioni, trascurate dal primo giudice, per cui il contenuto del documento acquisito giustifichi le rispettive deduzioni.
Terzo principio – indebita percezione
Affinché il giudice di appello possa procedere all’autonomo e diretto esame del documento già prodotto in formato cartaceo nel giudizio di primo grado, onde dare risposta ai motivi di impugnazione o alle domande ed eccezioni riproposte su di esso fondati, il documento può essere sottoposto alla sua attenzione, ove non più disponibile nel fascicolo della parte che lo aveva offerto in comunicazione (perché ritirato e non restituito, o perché questa è rimasta contumace in secondo grado), mediante deposito della copia rilasciata alle altre parti a norma dell’art. 76 disp. att. c.p.c..
Quarto principio – indebita percezione
In materia di prova documentale nel processo civile, il giudice d’appello può porre a fondamento della propria decisione il documento in formato cartaceo già prodotto e non rinvenibile nei fascicoli di parte apprezzandone il contenuto trascritto (oppure indicato) nella sentenza impugnata o in altro provvedimento o atto del processo ovvero, se lo ritiene necessario, può ordinare alla parte interessata di produrre, in copia o in originale, determinati documenti acquisiti nel primo grado.
Quinto principio – indebita percezione
In materia di prova documentale nel processo civile, se la parte ha puntualmente allegato nell’atto di (o nella comparsa di costituzione in) appello il fatto rappresentato dal documento cartaceo avversario prodotto nel primo grado invocandone il riesame in sede di gravame, la controparte che omette la produzione di tale documento nel secondo grado subisce le conseguenze di un siffatto comportamento processuale, potendo il giudice – il quale ha comunque il dovere di ricomporre il contenuto di una rappresentazione gia stabilmente acquisita al processo – ritenere provato il predetto fatto storico nei termini specificamente allegati nell’atto difensivo.