Il reato di ingiuria e la diffamazione – indice:
Un post pubblicato su un social network offende la nostra dignità? Qualcuno ha detto o scritto delle parole che hanno leso il nostro onore?
In tutte queste ipotesi – peraltro, in continua crescita in virtù della diffusione di Facebook & co., e di una maggiore “facilità” a condividere con leggerezza degli status che potrebbero essere ritenuti offensivi – è bene cercare di comprendere come potersi difendere efficacemente, evitando pertanto di subire gli effetti di una azione altrui poco rispettosa.
Cerchiamo dunque di capire che cos’è l’ingiuria, e come poterci tutelare nelle sedi più opportune.
Cos’è l’ingiuria
In primo luogo, che cos’è l’ingiuria? Fino a non troppi anni fa, per poter definire l’ingiuria si poteva far riferimento all’art. 594 c.p., ora abrogato, che sanzionava chiunque offende l’onore o il decoro di una persona presente. Recitava così l’articolo del Codice penale:
Chiunque offende l’onore o il decoro di una persona presente è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a cinquecentosedici euro.
Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa.
La pena è della reclusione fino a un anno o della multa fino a milletrentadue euro, se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato.
Le pene sono aumentate qualora l’offesa sia commessa in presenza di più persone.
Naturalmente, con l’abrogazione dell’articolo non è sparito l’illecito, ma solamente la sanzione penale. In altre parole, la condotta così come descritta dalla norma penale abrogata, continua ad essere vietata ma ad essa non si rischia più la reclusione, bensì le conseguenze previste dall’azione civile, così sintetizzabili:
- un risarcimento in favore della vittima, stando a quanto il giudice avrà modo di accertare sulla base del danno che è stato effettivamente procurato; in mancanza di elementi certi che permettano al giudice di poter calcolare il danno con altri criteri, si procederà a una liquidazione del danno avverrà in via equitativa, ovvero sulla base di ciò che verrà ritenuto “giusto” dal magistrato;
- una sanzione da 100 euro a 8.000 euro, da pagare in favore dello Stato all’esito della sentenza civile di condanna.
Quali comportamenti determinano sanzioni
Con l’abrogazione dell’art. 594 c.p. l’ingiuria ha così finito con l’essere ricondotta all’interno delle disposizioni di cui al d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, in cui vengono riepilogati alcuni illeciti civili sottoposti a sanzioni pecuniarie, e in cui viene ricollegata l’applicazione della sanzione pecuniaria civile da euro cento a euro ottomila per “chi offende l’onore o il decoro di una persona presente, ovvero mediante comunicazione telegrafica, telefonica, informatica o telematica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa”.
Intuibilmente, si tratta di una definizione molto ampia, che rischia anche di creare qualche confusione superficiale. Rimane comunque inteso che l’ingiuria è quel comportamento in cui viene offeso l’onere o il decoro di una persona alla presenza della vittima a cui la medesima offesa è rivolta. La situazione inversa, ovvero l’assenza della vittima – ma la presenza di terzi – comporterebbe il diverso comportamento di diffamazione (articiolo 595 del codice penale).
Come dimostrare l’ingiuria
Molti studiosi ritengono che con la depenalizzazione dell’ingiuria una delle conseguenze più “rischiose” e delicate è che dimostrare l’ingiuria possa diventare più difficile.
Se infatti un processo di natura penale può permettere di arrivare giungere a una sentenza di condanna solo sulla base delle dichiarazioni della vittima (se così non fosse molti reati come la concussione potrebbero non essere puniti), non è così nel processo civile, in cui a testimoniare possono essere solo soggetti terzi, che magari non hanno alcun interesse a partecipare al rito.
Come dimostrare, dunque, l’ingiuria? Un “vecchio” e tradizionale sistema è quello di ricorrere all’uso di un registratore nella tasca del pantalone o nella giacca (peraltro, un ricorso oggi facilitato dalla possibilità di usare delle specifiche app sullo smartphone). Come più volte rammentato in Cassazione, registrare una conversazione all’insaputa dell’interlocutore non costituisce reato, poiché chi parla dinanzi ad altri soggetti si assume (ci verrà perdonato l’eccesso di sintesi, in questo ambito) anche la possibilità di essere registrato, oltre che ascoltato.
Dimostrare in tal modo l’ingiuria non è però molto agevole. Bisognerebbe infatti agire in maniera preventiva, ovvero munirsi di registratore / app da mantenere attivo durante la discussione con la persona che – a questo punto – si sospetterà possa divenire potenzialmente colpevole di ingiuria. Per il resto, dimostrare l’ingiuria potrebbe essere molto difficile. Non si può infatti portare in processo la testimonianza di un terzo che affermi di essere a conoscenza dell’offesa solo perché gli è stata riferita dalla vittima. Tale testimonianza indiretta non avrà alcun valore.
L’ingiuria nel social network
E nel caso in cui l’ingiuria avvenga su Facebook o in altri spazi pubblici online? In questo caso è ben possibile – e la giurisprudenza in tal senso ci da una mano – che la prova possa essere costituita sia dalla testimonianza di altri utenti che dichiarano di aver letto il post ingiurioso (magari, prima della sua cancellazione o modifica), sia da un’attestazione di conformità che un notaio avrà eseguito sulla stampa della pagina. Difficilmente però la stampa dello schermo (lo screenshot) potrà essere considerata una prova valida nel processo civile, in quanto considerate “riproduzione meccaniche” facilmente alterabili (a meno che, ma è difficile, tale prova sia non contestata dalla controparte).
Come ottenere il risarcimento del danno da ingiuria
A questo punto possiamo compiere un ulteriore passo in avanti e cercare di capire, in caso di ingiuria, come ottenere il risarcimento del danno.
Una volta che ci si è assicurati la disponibilità delle prove dell’illecito, bisognerà rivolgersi a un avvocato e far avviare una causa ordinaria (con spese anticipate dalla possibile vittima, a meno che non si rientri nel gratuito patrocinio). Si può anche scegliere, per risarcimenti del danno di piccola entità, di rivolgersi al Giudice di Pace, senza assistenza legale: una strada comunque non consigliabile, vista la delicatezza del tema.
Purtroppo, i tempi del processo non sono rapidissimi, essendo influenzati dalle previsioni del codice di procedura civile. In ogni caso, il rito prevede un’udienza di comparizione delle parti e la discussione della causa, la presentazione dei documenti a proprio favore, la comparizione dei testimoni, il deposito delle note conclusionali e, infine, la sentenza.
Si tenga anche conto che per le cause di importo inferiore a 50.000 euro, è necessario che prima del giudizio l’avvocato proceda per negoziazione assistita, ovvero inviti la controparte, con una apposita comunicazione, a cercare un accordo e a formalizzarlo per iscritto. L’invio della comunicazione formale richiede un’attesa di almeno 30 giorni, per dare il tempo alla controparte di aderire o meno alla proposta.
Infine, vi ricordiamo che come tutti gli illeciti che derivano da un fatto illecito, l’ingiuria si prescrive in 5 anni. La vittima può dunque agire entro tale termine, anche in scadenza dello stesso, benché prima non abbia mai compiuto alcuna attività di contestazione (come ad esempio l’invio di una lettera legale).