L’insegna – indice:
Tra i più rilevanti segni distintivi dell’impreditore, che si ricordano essere il marchio e la ditta, c’è l’insegna. Tenuta di poco conto dal legislatore del Codice Civile che le dedica un solo articolo, il 2568, rientra, come la ditta, “fra gli altri segni distintivi diversi dal marchio registrato” citati dal Codice della proprietà industriale. È l’elemento che individua il luogo dove si svolge l’attività d’impresa ed in quanto tale fa parte dell’azienda, come definita ai sensi dell’articolo 2555 c.c. L’insegna veniva utilizzata in origine per lo più da piccoli artigiani e commercianti allo scopo di distinguere la propria attività da quella degli altri imprenditori agli occhi di un pubblico interessato ad accedervi. Oggi l’insegna viene molto utilizzata anche per individuare realtà di maggiori dimensioni quali catene commerciali di negozi, ristoranti, alberghi e società di vario genere.
Cos’è l’insegna
L’insegna è un segno distintivo dell’imprenditore inserito dal legislatore del codice civile nel capo II del titolo VIII del libro V del codice civile denominato “della ditta e dell’insegna“. È stata definita dalla dottrina più autorevole, nel silenzio normativo, come “l’insieme di scritte e immagini che compaiono all’ingresso degli esercizi commerciali aperti al pubblico”.
Cosa identifica esattamente l’insegna? Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nell’anno 2000 con la sentenza 8034 affermando che l’insegna è un segno distintivo “che non identifica né il prodotto, né l’attività o branca di attività, bensì un bene aziendale presso il quale o mediante il quale un prodotto viene posto in commercio”. Con tale chiarimento dato dalla Corte ritorna il richiamo al concetto di azienda di cui all’articolo 2555 c.c. costituito dal complesso di beni organizzati dall’imprenditore di cui dunque l’insegna è parte.
La sua disciplina può assumere due risvolti a seconda che l’insegna venga registrata come marchio o meno. Nel primo caso ad essa si applicherà la disciplina del marchio registrato, nel secondo caso quella della ditta. L’articolo 2568 c.c. infatti richiama le regole applicabili alla ditta in caso di confusione tra insegne.
Acquisto del diritto e requisiti
Da quanto appena detto discende che l’acquisto del diritto sull’insegna si acquista, come per la ditta, con l’uso della stessa. Il mero utilizzo tuttavia non è sufficiente all’acquisto del diritto che necessita inoltre della notorietà qualificata ovvero l’essere nota ad un pubblico con riferimento ad un luogo.
L’insegna, come gli altri segni distintivi, dunque, deve avere i seguenti requisiti di validità:
- capacità distintiva;
- novità;
- uso e notorietà;
- liceità.
Si tratta, tuttavia, di un segno distintivo molto descrittivo ma, a differenza della ditta, il pubblico lo ricollega al luogo in cui viene svolta l’attività d’impresa. Qualora infatti fosse preponderante l’elemento descrittivo non è detto vi sia confusione rispetto ad un esercizio simile nel medesimo luogo. Allo stesso tempo, può essere esclusa la confondibilità con l’insegna simile di un’attività imprenditoriale precedente per il fatto di trovarsi geograficamente in un luogo diverso.
La tutela dell’insegna
L’insegna infatti è soggetta alle norme che tutelano i segni distintivi dell’imprenditore contro gli atti di concorrenza sleale confusoria di cui all’articolo 2598 c.c. La confondibilità si può verificare in relazione all’oggetto dell’attività e al luogo dove si svolge ed in particolare può consistere in:
- scambiare due attività perché hanno insegne simili che creano confusione;
- attribuire per errore una nuova attività ad una già esistente sempre per effetto di insegne che creano confusione.
Nel caso di confusione tra insegne simili la giurisprudenza ha stabilito che resta valida l’insegna che per prima è stata utilizzata. Il giudizio tuttavia tiene conto anche dell’oggetto, del luogo di esercizio dell’impresa e dunque della notorietà del segno.
Con riguardo a quanto previsto dall’articolo 2568 c.c. sull’integrazione e la modifica dell’insegna si segnala una nota sentenza della Suprema Corte che ha avuto ad oggetto l’utilizzo legittimo di due insegne costituite da sigle simili. Si creava in questo caso una situazione di confusione tra imprese rispetto alla quale i giudici hanno stabilito che “al fine di valutare se le modificazioni o integrazioni introdotte siano sufficienti ad escluderne in concreto la confondibilità occorre considerare l’obbiettiva composizione dei segni distintivi usati, avendo riguardo al risultato percettivo che essi, nell’insieme dei loro elementi grafici e fonetici e con riferimento alla persona di media diligenza possono determinare nella clientela”.
Insegna e marchio
L’insegna può essere registrata come marchio.
Non possono tuttavia costituire oggetto di marchio, altrimenti verrebbe meno il requisito della novità, segni che siano “identici o simili a un segno già noto come ditta, denominazione o ragione sociale, insegna e nome a dominio usato nell’attività economica, o altro segno distintivo adottato da altri, se a causa della identità o somiglianza fra i segni e dell’identità o affinità fra l’attività d’impresa da questi esercitata ed i prodotti o servizi per i quali il marchio è registrato possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni”.
Sulla scorta del principio di unitarietà dei segni distintivi, tuttavia, e nell’ottica di tutela contro la confusione, l’articolo 22 c.p.i afferma che “E’ vietato adottare come ditta, denominazione o ragione sociale, insegna e nome a dominio di un sito usato nell’attività economica o altro segno distintivo un segno uguale o simile all’altrui marchio se, a causa dell’identità o dell’affinità tra l’attività di impresa dei titolari di quei segni ed i prodotti o servizi per i quali il marchio è adottato, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni”.
La cessione vincolata
Pur non essendo effettuato alcun richiamo all’articolo 2565 c.c. la dottrina maggioritaria ritiene che l’insegna non possa essere ceduta separatamente all’azienda. Allo stesso modo di come accade per la ditta. Alcuni infatti sostengono che la cessione svincolata di un segno distintivo come l’insegna dall’attività cui si riconduce o un ramo di essa produrrebbe una forma di decezione nei confronti del pubblico.
Il vincolo tra insegna e attività pertanto resta con riferimento ad alcuni settori dell’impresa adibite all’esercizio dell’attività se si tratta di piccoli imprenditori del commercio o del artigianato ovvero al complesso aziendale se si tratta di catene commerciali o industriali.
Il trasferimento dell’insegna inscindibilmente a quello dell’azienda avviene inoltre, come per la ditta, secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente (Cass. n. 1715/1985), solo in conseguenza dell’accordo concluso fra cedente (vecchio titolare dell’azienda) e cessionario (nuovo titolare).
Durata dell’insegna
L’insegna non ha una durata. Il diritto su di essa si estingue quando ne cessano l’uso e di conseguenza la notorietà qualificata.