Lavoro fuori sede, licenziato il dipendente che falsifica il resoconto – guida rapida
- Il licenziamento del dipendente
- Il ricorso in Cassazione
- Elementi già affrontati dalla Corte di merito
Con ordinanza n. 26765 del 15 ottobre 2024 la Corte di Cassazione ha affermato che è legittimo il licenziamento del dipendente che fornisce alla società datore di lavoro dei resoconti non veritieri in relazione all’attività svolta fuori dalla sede aziendale.
Come sempre, cerchiamo di ricostruire brevemente quali sono stati i fatti processuali e quali le motivazioni del giudice di legittimità.
Il licenziamento del dipendente
La Corte d’appello di Catanzaro ha confermato il giudizio di primo grado con cui al dipendente veniva ribadito il licenziamento in tronco, ai sensi dell’articolo 2119 c.c., intimatogli dalla datrice di lavoro.
A fondamento della sentenza la Corte d’appello aveva sostenuto che le prove raccolte nel giudizio dimostravano l’esistenza dei fatti posti alla base della misura espulsiva.
In particolare, il lavoratore era stato sottoposto a controllo investigativo da parte del datore di lavoro che aveva incaricato una agenzia investigativa e gli esiti di tale indagine dimostravano che nelle giornate del 15, 16 e 17 luglio 2015 il lavoratore aveva intrattenuto contatti personali con medici (il lavoratore era impiegato nel settore farmaceutico) in numero di gran lunga inferiore a quello che aveva indicato nel report mensile inviato alla società.
In particolare, il 15 luglio aveva effettuato due visite contro le nove attestate nel rapporto, mentre il 16 luglio ne aveva svolto quattro invece di nove. Infine, il 17 luglio aveva compiuto due visite a fronte di sei visite attestate.
I fatti all’attenzione della Corte
In aggiunta a ciò, il lavoratore aveva indicato nel report informativo alcune località in cui però non si era mai recato. Negli orari in cui avrebbe dovuto essere in trasferta, le indagini hanno rilevato che il lavoratore si era dedicato ad attività personali e ricreative.
La Corte d’appello ha condiviso l’iter argomentativo del tribunale sostenendo che tali gravi comportamenti dimostravano la lesione irrimediabile del rapporto fiduciario, tenuto conto che la rendicontazione mensile sul rapporto tra azienda e informatore farmaceutico costituiva l’unico strumento di controllo del datore sull’operato del dipendente, che godeva dunque di ampia autonomia di movimento e di organizzazione.
Dall’altro lato, dove essere considerata l’intensità dell’elemento intenzionale del dipendente, palesata dalla ripetitività della condotta per ben tre giorni consecutivi.
Inoltre, la rendicontazione mensile era alla base della corretta esecuzione dell’obbligo della società datoriale nei confronti dell’AIFA di comunicare il numero dei sanitari visitati e il numero medio delle interviste effettuate dai propri informatori scientifici.
Il ricorso in Cassazione sul lavoro fuori sede rendicontato non correttamente
Su ricorso del lavoratore si giunge così in Cassazione.
Il primo motivo di ricorso deduce I’omesso o erroneo esame dei provvedimenti presenti nel fascicolo di opposizione quale criterio di valutazione del vizio di nullità.
Si lamenta in particolar modo del fatto che il tribunale avrebbe revocato autonomamente il rinvio della causa ed emesso la sentenza senza ulteriori comunicazioni.
Con il secondo motivo si sostiene invece la violazione dell’articolo 101 c.p.c. in conseguenza dell’omesso invio della comunicazione di rinvio d’ufficio dell’udienza al procuratore costituito.
I due motivi sono esaminati congiuntamente per connessione dal giudice di legittimità.
Ora, si premette come sul punto la Corte d’appello abbia rilevato che la dedotta nullità della sentenza non era fondata atteso che la variazione della calendarizzazione dell’udienza non aveva impedito I’attività di difesa. La variazione della calendarizzazione non aveva infatti in alcun modo compromesso la possibilità di depositare le note di trattazione, giacchè era stata effettuata dopo la scadenza del termine che era stato concesso alle parti per il deposito delle note.
Tutto ciò premesso, i motivi di ricorso devono ritenersi inammissibili per diverse ragioni.
Elementi già affrontati dalla Corte di merito sul lavoro fuori sede
Prima di tutto, ricordano i giudici della Cassazione, i motivi di ricorso costituiscono la mera testuale riproposizione di generici argomenti già disattesi dalla Corte di appello con le cui argomentazioni il ricorso non si confronta.
È infatti stato ripetutamente affermato dalla Corte di legittimità che
i motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza non possono essere affidati a deduzioni generali e ad affermazioni apodittiche, con le quali la parte non prenda concreta posizione, articolando specifiche censure esaminabili dal giudice di legittimità sulle singole conclusioni tratte dal giudice del merito in relazione alla fattispecie decisa.
Invero, il ricorrente – incidentale, come quello principale – ha I’onere di indicare con precisione gli asseriti errori contenuti nella sentenza impugnata, in quanto, per la natura di giudizio a critica vincolata propria del processo di cassazione, il singolo motivo assolve alla funzione condizionante il devolutum della sentenza impugnata, con la conseguenza che il requisito in esame non può ritenersi soddisfatto qualora il ricorso per cassazione (principale o incidentale) sia basato sul mero richiamo dei motivi di appello, una tale modalità di formulazione del motivo rendendo impossibile individuare la critica mossa ad una parte ben identificabile del giudizio espresso nella sentenza impugnata, rivelandosi del tutto carente nella specificazione delle deficienze e degli errori asseritamente individuabili nella decisione” (Cass. n. 10420/2005; conformi Cass. n. 13592/2006 e n. 15882/2007).
La variazione della calendarizzazione
Inoltre la Corte ha accertato che la variazione della calendarizzazione del processo determinata dai provvedimenti di rinvio d’ufficio e di tempestiva revoca del disposto rinvio non aveva in alcun modo compromesso la possibilità di depositare le note di trattazione, e quindi il diritto di difesa delle parti, trattandosi evidentemente di provvedimenti che non hanno affatto inciso sul corretto iter processuale.
In terzo luogo, il ricorrente non riproduce i provvedimenti di cui lamenta l’omessa comunicazione, né motiva la decisività del vizio, considerato che non è dato sapere in che cosa si è concretizzata la lesione delle prerogative difensive del ricorrente una volta scaduti i termini per il deposito di note difensive.
Inoltre, ricordano ancora i giudici di legittimità, l’omesso esame di una questione di carattere processuale non può essere neppure dedotto ai sensi dell‘articolo 360 numero 5 c.p.c. che riguarda I’errore logico in iudicando e non in procedendo.
Ricostruito quanto sopra, per la Corte non vi è omesso esame, che non potrebbe profilarsi con riguardo a vizi in procedendo, avendo la Corte territoriale comunque esaminato il vizio denunciato e giudicato non rilevante ai fini della dedotta nullità, atteso che la variazione della calendarizzazione (rinvio d‘ufficio e revoca) era avvenuta dopo la scadenza del termine per il deposito di note difensive e quindi non aveva inciso sulle prerogative difensive delle parti.
La proporzionalità dell’addebito
Con il terzo motivo si deduce la violazione dell’articolo 2119 c.c. e del principio di proporzionalità dell’addebito. Per il lavoratore, infatti, la Corte d’appello non avrebbe tenuto conto della disciplina stabilita nella contrattazione collettiva e della necessita della recidiva.
La censura è però infondata, atteso che la Corte di appello ha tenuto ampiamente conto della disciplina collettiva richiamata in sentenza. La sentenza gravata correttamente distingue il fatto addebitato dal datore (la falsificazione del resoconto del lavoro svolto) rispetto a quello richiamato dal ricorrente a fondamento delle proprie difese (mera alterazione di cartellino o badge), ed ha riportato la disciplina del licenziamento irrogato all’interno dell’art.52 del CCNL il quale commina il licenziamento in tronco in caso di commissione di gravi infrazioni della disciplina o alla diligenza nel lavoro, la cui esistenza nel merito risulta congruamente motivata nella sentenza gravata e non è censurabile in sede di legittimità.
Non rileva pertanto a nulla la disciplina della recidiva di cui, secondo il ricorrente, occorreva tener conto, avendo la Corte correttamente individuato la normativa collettiva della fattispecie di licenziamento in tronco a prescindere da qualsiasi recidiva.
Per la Corte di legittimità, è peraltro evidente che un conto è la falsificazione di un rapporto informativo sull’attività lavorativa in concreto prestata presso i singoli medici e nelle singole località, altro conto è la mera alterazione di un cartellino marcatempo.
Il ricorso deve dunque essere complessivamente rigettato.