Nella recente sentenza n. 29916/2017, la Corte di Cassazione ha ritenuto che la pubblica amministrazione sia obbligata ad assumere chi supera il concorso indetto. In altri termini, per i giudici della Suprema Corte la pubblicazione del bando deve essere interpretata come una vera e propria “offerta al pubblico”, nata per poter rispondere all’esigenza di coprire i posti vacanti, e dunque in grado di vincolare la pubblica amministrazione datrice di lavoro ad assumere chi si posiziona in graduatoria in stato utile per superare le prove del concorso.
La vicenda giudiziaria
La vicenda giudiziaria ha inizio quando una candidata a un concorso pubblico, finalizzato a ricoprire un posto di categoria D, si colloca seconda in graduatoria ma “sale” sostanzialmente al primo posto in seguito alle dimissioni della vincitrice del concorso.
In seguito a tale evoluzione, la seconda classificata domanda alla pubblica amministrazione di essere assunta, considerato che il posto si è reso vacante in seguito alle dimissioni della prima classificata. La pubblica amministrazione che ha bandito il concorso (un istituto universitario) rigetta tuttavia la richiesta.
A questo punto la candidata propone ricorso in Tribunale che, in sede di primo grado, gli riconosce effettivamente il diritto ad essere assunta con contratto a tempo indeterminato, quale “offerta” prevista dal regolamento di concorso. A sua volta, la Corte d’Appello ha conferma la decisione di primo grado, sostenendo che l’Università non avrebbe prodotto alcuna documentazione che potesse comprovare la soppressione del posto in tale ipotesi, e che l’Università è altresì obbligata ad adempiere le obbligazioni economiche che derivano dal diritto all’assunzione maturato dalla candidata. Dinanzi a tali pronunce, l’Università ha scelto di adire la Cassazione.
Assunzione “atto dovuto” per l’Università che ha pubblicato il bando
L’istituto universitario che ha pubblicato il bando ricorre in Cassazione sulla “violazione dell’art. 1336 c.c. anche in relazione all’art. 1351 c.c., nonché del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35”, censurando poi l’affermazione della Corte territoriale che, “qualificato il bando quale offerta al pubblico, aveva riconosciuto alla P., all’esito della procedura concorsuale, il diritto all’assunzione con obbligo della P.A. alla stipula del definitivo. Richiamato l’art 35 D.Lgs. citato, osserva che il rapporto di lavoro con la P.A. si costituiva solo con la stipula del contratto individuale di lavoro e, dunque, pur volendo ritenere che il bando costituisse offerta al pubblico, prima della stipula del contratto di lavoro non sussisteva alcun rapporto di lavoro e, pertanto, non ricorreva alcuna responsabilità contrattuale in capo all’Università”.
Ad ulteriore integrazione di ciò, quale altro motivo di ricorso, i legali dell’istituto universitario lamentano “la violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35, del D.P.R. n. 487 del 1994 in relazione all’art. 1218 c.c.”, e ribadisce che non vi era stato alcun inadempimento imputabile all’amministrazione, “non essendovi alcun obbligo di procedere alla stipula del contratto e, comunque, in via subordinata, aveva rilevato che la condotta della P.A. era del tutto legittima perché conforme agli atti di macro organizzazione con i quali aveva disposto la soppressione del posto”.
Ebbene, dopo le sue valutazioni i giudici della Suprema Corte hanno ritenuto infondati tutti i motivi, sottolineando come non sia censurabile la decisione dei giudici territoriali, i quali hanno ritenuto ben fondata la pretesa della candidata di essere oggetto di assunzione.
Nel caso in esame – ricorda la Cassazione – non solamente il bando stabiliva la validità della graduatoria per due anni, ma non poneva altresì alcun problema di valutazione di disponibilità o di vacanza del posto, dopo l’approvazione della graduatoria. Veniva dunque posto atteso che
Il posto per il quale la P. ha chiesto l’assunzione era proprio l’unico posto messo a concorso, e, dunque, vacante e disponibile, in ordine al quale, dunque, non era necessaria alcuna nuova determinazione della P.A, che già aveva espresso le sue decisione nello stesso bando. Nè, come si è detto, l’Università ha provato atti o comportamenti che abbiano determinato il venire meno della delibera con cui era stato bandito il posto e, cioè, un provvedimento di soppressione del posto.
Ad ulteriore integrazione delle proprie motivazioni la Corte evidenzia poi come sia noto che nel caso in cui la pubblica amministrazione abbia manifestato la volontà di procedere alla copertura di posti vacanti mediante un sistema di concorso e che proprio per poter favorire il conseguimento di questo obiettivo abbia pubblicato un bando “valido” (ovvero, contenente tutti gli elementi ritenuti essenziali), e prevedendo dunque il riconoscimento del diritto del vincitore del concorso di ricoprire la posizione di lavoro disponibile, siano rinvenibili, in un tale atteggiamento, gli estremi dell’offerta al pubblico.
Di conseguenza, rinvenendosi gli estremi dell’offerta al pubblico, il datore di lavoro sarà impegnato non solamente al rispetto della norma con la quale ha delimitato la propria discrezionalità, bensì anche ad adempiere l’obbligazione secondo correttezza e buona fede.
Insomma, aver superato un concorso pubblico ha come effetto quello di consolidare nel patrimonio dell’interessato una situazione giuridica individuale di diritto soggettivo, potendosi così affermare che l’assunzione della candidata ricorrente abbia rappresentato atto dovuto da parte dell’amministrazione che ha pubblicato il bando di concorso.