Nel caso in cui il lavoratore contragga una malattia in seguito a uno stress professionale, sarà necessario procedere a un opportuno indennizzo da parte dell’Inail, al di là del fatto che le malattie siano state correlate o meno a rischi considerati nelle apposite tabelle dell’Istituto.
A chiarirlo è l’ordinanza n. 5066/2018 della Cassazione, sez. lavoro, che ricorda come il rischio che è oggetto di tutela del TU 1124/1965 rileva non solamente un rischio specifico tipico della lavorazione, bensì anche il rischio specifico “improprio”, che è quello non strettamente legato all’atto della prestazione, bensì sia almeno indirettamente ricollegabile ad esso, come ad esempio la presenza di attività di prevenzione, sindacali, e così via.
Malattie e causa di lavoro
Tale orientamento da parte dei giudici della Suprema Corte non è peraltro in grado di costituire una vera e propria novità, considerato che già da tempo l’orientamento prevalente è indirizzato nel prevedere l’obbligo di assicurazione contro le malattie professionali, anche diverse da quelle che sono indicate nelle tabelle allegate dal Testo Unico, o da quelle che sono determinate da lavorazioni specifiche o da agenti patogeni che siano contemplati dalle stesse tabelle.
In altre parole, opinione giurisprudenziale in Cassazione è che l’unica cosa che rileva a tal fine sia che delle malattie sia provata la causa di lavoro.
Alla luce di ciò, la possibilità per il lavoratore di poter provare l’origine professionale di ogni patologia contratta comporta necessariamente la carenza di quei criteri selettivi tipici del rischio professionale, non potendosi sostenere – aggiungono gli Ermellini – che la tabellazione “sia venuta meno solo per la malattia e sia invece sopravvissuta ai fini dell’identificazione del rischio tipico”.
Considerato quanto precede, e in virtù delle nuove valutazioni compiute dalla Suprema Corte, possiamo dunque affermare come nell’ambito del sistema del Testo Unico possano trovare indennizzo tutte le malattie fisiche e psichiche che siano ricollegabili al rischio di lavoro, riguardanti attività di lavorazione o organizzazione, e le modalità con le quali il lavoro stesso è effettuato.
Concretamente, tale valutazione comporta che l’Inail debba pagare anche i gravi disturbi legati all’adattamento con ansia e depressione, contratti come conseguenza dello stress lavorativo dovuto a un numero elevatissimo di ore di straordinario.
Le valutazioni della Cassazione in ordine all’esposizione al fumo passivo
In linea con quanto sopra abbiamo già ritenuto opportuno rammentare, la Cassazione rammenta come tale orientamento sia stato riaffermato nella sentenza 3227/2001, con la quale la protezione assicurativa è stata estesa alla malattia riconducibile all’esposizione al fumo passivo di sigaretta, subita dal lavoratore nei luoghi di lavoro, per una situazione che è stata ritenuta meritevole di tutela ancorchè, come risulta ben evidente, sia non dipendente dalla presentazione pericolosa in sé e per sé considerata, ma solo in quanto connessa al fatto oggettivo dell’esecuzione di un lavoro all’interno di un determinato ambiente.
La Cassazione sottolinea inoltre come l’evoluzione in discorso si riallaccia altresì a quanto registrato a livello normativo nell’ambito dell’infortunio in itinere, di cui all’art. 12 del d.lgs. 38/2000, che esclude qualsiasi rilevanza all’entità professionale del rischio o alla tipologia della specifica attività lavorativa cui l’infortunato sia addetto, apprestando tutela invece a un rischio generico (quello stradale) cui soggiace qualsiasi persona che presti un lavoro.
Tra le altre estensioni dell’ambito della tutela lavorativa rammentate dalla Corte di Cassazione rileviamo anche quella realizzata sulla scorta della nozione centrale di rischio ambientale, che oggi può delimitare tanto oggettivamente le attività protette dall’assicurazione, quanto ad individuare i soggetti che sono tutelati nell’ambito dell’attività lavorativa, in conformità al principio affermato dalla giurisprudenza costituzionale secondo cui a parità di rischio occorre riconoscere parità di tutela.
Così sostenendo, la Corte afferma che non può dunque essere seguita la tesi espressa dalla sentenza impugnata, secondo cui sarebbe da escludere che l’assicurazione obbligatoria possa coprire patologie che non siano correlate a rischi considerati specificatamente nelle apposite tabelle, posto che – al contrario – nel momento in cui il lavoratore viene ammesso a provare l’origine professionale di qualsiasi malattia, siano necessariamente venuti meno anche i criteri selettivi del rischio professionale, da intendersi come il rischio specificamente indicato in tabella, norma regolamentare o legge.