Liberazione del fideiussore del contratto di leasing – guida rapida
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 6685 del 13 marzo 2024, si è pronunciata sui requisiti per la liberazione del fideiussore di un contratto di leasing.
In particolare, in relazione alla liberazione del fideiussore per fatto del creditore ex art. 1955 c.c., la Suprema Corte ha ricordato che questa richiede la prova che dal comportamento del creditore sia derivato un pregiudizio giuridico in capo al fideiussore, non solo economico, concretizzatosi nella perdita del diritto (di surrogazione o di regresso) e non nella sola maggiore difficoltà di attuarlo per le diminuite capacità di soddisfazione del patrimonio del debitore.
A seguito della risoluzione di diritto del contratto di leasing tra la società di leasing e un srl per inadempimento della società a responsabilità limitata, e perdurando il mancato pagamento dell’importo dovuto, alla società e al fideiussore della s.r.l. veniva ingiunto il pagamento, in favore della società di leasing, di quanto dovuto.
Il Tribunale di prime cure rigettava l’opposizione del fideiussore. La Corte d’Appello, rigettava ulteriormente l’appello del fideiussore, confermando la sentenza di prime cure. Il fideiussore ricorre quindi in Cassazione. Resiste con controricorso la società di leasing.
La nullità della fideiussione sul contratto di leasing
Il primo motivo di ricorso attiene la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 1421 cod.civ. Al giudice a quo si imputa infatti di non avere rilevato d‘ufficio la nullità della fideiussione, attesa la pattuizione di clausole di deroga all’art. 1957 cod.civ. e di sopravvivenza, interamente riproduttive degli schemi contrattuali uniformi ABI, censurabili per il fatto di addossare al fideiussore le conseguenze negative derivanti dall’inadempimento degli obblighi di diligenza della creditrice ovvero dall‘invalidità o dall’inefficacia dell‘obbligazione principale e degli atti estintivi di essa, vietate dalla normativa antitrust.
La pronuncia delle Sezioni Unite
Si tratta di un motivo che per la Suprema Corte è infondato. I giudici sottolineano come le clausole censurate siano state riconosciute dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato in contrasto con la l. n. 287 del 1990 e che la decisione delle Sezioni Unite n. 41994 del 30/12/2021, che si è espressa sul se ammettere la tutela reale a fianco di quella risarcitoria con riferimento alle fideiussioni che riproducono le clausole di natura anticoncorrenziale, abbia ritenuto,
una volta esclusa la idoneità della sola tutela risarcitoria, disgiunta dalla tutela reale, a garantire la realizzazione delle finalità perseguite dalla normativa antitrust, … che la forma di tutela più adeguata allo scopo…, sia la nullità parziale, limitata – appunto – a tali clausole,
tenuto in considerazione che
la nullità parziale è idonea a salvaguardare il… principio generale di conservazione del negozio. Ed invero, avuto riguardo alla posizione del garante, la riproduzione nelle fideiussioni delle clausole nn. 2, 6 e 8 dello schema ABI ha certamente prodotto I’effetto di rendere la disciplina più gravosa per il medesimo, imponendogli maggiori obblighi senza riconoscergli alcun corrispondente diritto; sicché la loro eliminazione ne alleggerirebbe la posizione.
D’altro canto, pero, … l’imprenditore bancario ha interesse al mantenimento della garanzia, anche espunte le suddette clausole a lui favorevoli, atteso che l’alternativa sarebbe quella dell’assenza completa della fideiussione, con minore garanzia dei propri crediti
salvo che dimostri che non avrebbe concluso il contratto
senza quella parte del suo contenuto che è colpita da nullità, secondo quanto prevede – in piena conformità con le affermazioni della giurisprudenza Europea, riferite alla normativa comunitaria – il diritto nazionale (art. 1419 cod.civ., comma 1). E sempre che di tale essenzialità la parte interessata all’estensione della nullità fornisca adeguata dimostrazione.
L’applicazione nel caso concreto
In questa ipotesi, afferma la Corte, è evidente che non può predicarsi la nullità della clausola di deroga all‘art. 1957 cod.civ. e di quella di reviviscenza.
La pronuncia condivide come la sanzione adeguata a realizzare la finalità di cui alla L. n. 287 del 1990 è stata individuata, come si è detto, nella nullità parziale, che permette di assicurare anche il rispetto degli altri interessi coinvolti nella vicenda, e in questo caso quello degli istituti di credito a mantenere in vita la garanzia fideiussoria, espunte le clausole contrattuali illecite.
Tale nullità parziale è idonea a salvaguardare il menzionato principio generale di “conservazione del negozio”. Per i giudici è condivisibile il carattere eccezionale dell’estensione della nullità che colpisce la parte o la clausola all’intero contratto, con la conseguenza che è a carico di chi ha interesse a far cadere in toto l’assetto di interessi programmato fornire la prova dell’interdipendenza del resto del contratto dalla clausola o dalla parte nulla. Rimane invece precluso al giudice rilevare d’ufficio l’effetto estensivo della nullità parziale all’intero contratto.
Perciò,
il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità integrale del contratto deve rilevarne di ufficio la sua nullità solo parziale.
È precluso al giudice, invece,
rilevare la nullità della clausola di reviviscenza senza che l’invocazione di tale nullità sia supportata dalla allegazione e dimostrazione, con onere a carico della parte stessa, dell’interdipendenza del resto del contratto dalla clausola o dalla parte nulla.
La valutazione degli altri motivi
Ciò premesso, i restanti motivi per la Suprema Corte denunciano l’assunzione da parte della società di leasing di un comportamento scorretto e la ricorrenza dei presupposti per la liberazione del fideiussore, ai sensi degli artt. 1955 e 1956 cod.civ.
Ebbene, secondo il Collegio, anche se si riconoscesse la scorrettezza del comportamento della concedente, farebbero comunque difetto i presupposti per ritenere estinta la garanzia fideiussoria, ai sensi dell‘art. 1955 cod.civ. e dell‘art. 1956 cod.civ.
Andando con ordine, il comportamento che venivano rimproverato alla società di leasing è quello di aver gestito il contratto di leasing senza preoccuparsi, in dispregio del principio di buona fede e correttezza, di non ledere l’interesse del fideiussore.
Sotto questo profilo le censure del ricorrente sarebbero fondate. La Cassazione richiama la sua giurisprudenza e in particolar modo il principio di buona fede e di correttezza Cass. 02/03/2005, n. 4458, che ha cassato la decisione di appello che non aveva considerato che, ai fini dell’art. 1956 cod. civ., far credito non è solo mettere la controparte nella possibilità di disporre di somme di denaro da restituire, ma anche lasciare che un rapporto a prestazioni corrispettive si svolga in modo che la controparte continui a ricevere la prestazione a suo favore, senza dal canto suo eseguire la propria. Questo principio è stato più volte applicato, ricordano ancora i giudici citando diversi esempi che, per brevità, non richiamiamo.
Evocando il principio di correttezza e di buona fede, è poi stato ritenuto scorretto il comportamento di una banca che, invece di sospendere l’esecuzione della propria prestazione, una volta venuta a conoscenza del peggioramento delle condizioni patrimoniali della controparte, aveva continuato ad aprire nuove linee di credito ad un debitore a rischio di insolvenza, scaricandone
La liberazione del fideiussore del contratto di leasing
Peraltro, anche ammettendo la non correttezza del comportamento della societè concedente, da sola questa non può condurre alla liberazione del fideiussore. Pur sussistendo il fatto del debitore, che rileva ai sensi dell’art. 1955 cod.civ., la liberazione del debitore richiede la prova che da esso sia derivato un pregiudizio giuridico, non solo economico, che deve concretizzarsi nella perdita del diritto (di surrogazione, ex art. 1949 cod.civ., o di regresso, ex art. 1950 cod.civ.) e non già nella mera maggiore difficoltà di attuarlo per le diminuite capacita satisfattive del patrimonio del debitore.
Il vizio di motivazione dedotto dal ricorrente, per giustificare la cassazione della statuizione impugnata, deve emergere da essa in sé e per sé considerata e non deve essere argomentata confrontando la statuizione del giudice del merito con elementi estrinseci.
Ancora, per i giudici non ricorrono i presupposti che la giurisprudenza ha individuato per dedurre la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. Come ricordato da giurisprudenza della stessa Corte, la violazione dell’art. 115, 1° comma, cod. proc. civ., è predicabile solo se il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma,
il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioé dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente (…) mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 cod. proc. civ., che non a caso & rubricato alla “valutazione delle prove”.
I crediti concessi al terzo
Infine, non può pervenirsi all’estinzione dell’obbligazione del fideiussore ai sensi dell’art. 1956 cod. civ. La Corte d’appello ha ritenuto non dimostrati i presupposti per invocare l’applicazione di detta disposizione, sancendo che agli atti non risultava alcunché che potesse illuminare sui rapporti tra creditore e terzo garantito e tra terzo garantito e garante.
Si ricorda che il fideiussore, che intende far valere l’esclusione della propria responsabilità, ai sensi dell’art. 1956 cod.civ,. deve provare la sussistenza delle condizioni ivi indicate. Ovvero, deve dimostrare che dopo la prestazione della fideiussione per obbligazioni future, il creditore abbia fatto credito al terzo, senza la sua autorizzazione, pur essendo consapevole dell’intervenuto peggioramento delle sue condizioni economiche.
Si ricorda inoltre che è stato anche ribadito come l’onere di richiedere quell’autorizzazione non sussiste se la conoscenza delle difficoltà economiche in cui versa il debitore principale è comune o può presumersi tale.
Erroneamente, invece, il ricorrente ritiene che gravi sul creditore dimostrare di avere esattamente adempiuto all’obbligo di non concedere, in una situazione di obiettivo peggioramento delle condizioni patrimoniali del debitore, nuovo credito. Al contrario, l’onere di provare i presupposti dell’effetto liberatorio invocato era a carico del ricorrente.