Il licenziamento individuale – indice:
Il licenziamento è l’atto con cui il datore di lavoro manifesta la sua volontà di recedere dal rapporto di lavoro subordinato. Il rapporto di lavoro subordinato infatti si costituisce mediante un contratto. Il contratto vincola le parti fino ad un termine, se stabilito nel contratto, o fino a quando una delle parti non esercita il suo diritto di recesso ovvero fino a che il contratto si risolve consensualmente o per una delle cause contemplate nel codice civile.
Non esiste un testo unico di norme che disciplinano il licenziamento.
La fonte normativa codicistica sono gli articoli 2118 e 2119 che disciplinano il recesso nel rapporto di lavoro. Si aggiungono a queste norme altre leggi speciali.
Cos’è il licenziamento individuale
In particolare la legge 604/1966 detta la disciplina dei licenziamenti individuali.
Si parla di licenziamento individuale quando l’atto di recesso è rivolto ad un singolo lavoratore. Quando invece l’atto di licenziamento è rivolto a più lavoratori si applica la procedura del licenziamento collettivo.
Il licenziamento deve essere esercitato nel rispetto di determinati requisiti di forma e di contenuto. In caso contrario il licenziamento può essere impugnato perché illegittimo.
La forma del licenziamento individuale
L’articolo 2, secondo comma, della legge 604/66 stabilisce che “Il datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, deve comunicare per iscritto il licenziamento al prestatore di lavoro”.
Non sono previste particolari formule di stesura bensì è sufficiente un qualsiasi atto scritto idoneo a manifestare la volontà di recedere.
La forma scritta del licenziamento dunque è obbligatoria pena l’inefficacia dell’atto. Non è prevista la forma scritta del licenziamento quando:
- il lavoratore è in prova;
- nel rapporto di lavoro domestico;
- il lavoratore ha più di sessant’anni ed ha diritto alla pensione di vecchiaia e non ha optato per la prosecuzione del rapporto di lavoro.
In tali ultimi casi infatti il licenziamento può essere comunicato anche oralmente in quanto non è previsto l’obbligo di motivazione. Si parla in questo caso di licenziamento ad nutum.
Il licenziamento ad nutum
Il licenziamento ad nutum è il licenziamento libero cioè il recesso del datore di lavoro che può essere esercitato senza giustificazione. La regola generale contenuta nella legge 604/66 prevede è che il datore di lavoro giustifichi sempre il licenziamento. L’ambito di applicazione di tale legge tuttavia non è universale. In alcuni casi infatti il datore di lavoro può recedere liberamente dal contratto di lavoro. Il recesso libero è consentito:
- durante il periodo di prova;
- nel rapporto di lavoro domestico;
- nel rapporto di lavoro con il dirigente;
- quando il lavoratore ha più di sessant’anni e ha diritto alla pensione di vecchiaia;
- con gli sportivi professionisti;
- al termine del periodo di formazione del contratto di apprendistato.
Licenziamento del lavoratore in prova
In questo periodo datore di lavoro e lavoratore possono recedere liberamente, cioè senza dare giustificazione e senza l’obbligo della forma scritta.
Ai sensi del terzo comma dell’articolo 2096 del codice civile infatti “Durante il periodo di prova ciascuna delle parti può recedere dal contratto, senza obbligo di preavviso o d’indennità. Se però la prova è stabilita per un tempo minimo necessario, la facoltà di recesso non può esercitarsi prima della scadenza del termine”.
Il lavoratore in prova dunque può essere licenziato:
- senza esporre i motivi per i quali si esercita il recesso;
- anche oralmente;
- durante ed entro il termine del periodo di prova.
Riassume un pò quanto appena detto la massima della sentenza n.1180 del 18/01/2017 in cui si legge che “Il licenziamento intimato nel corso o al termine del periodo di prova, avendo natura discrezionale, non deve essere motivato, neppure in caso di contestazione in ordine alla valutazione della capacità e del comportamento professionale del lavoratore stesso…”.
Licenziamento del lavoratore domestico
La disciplina dei licenziamenti individuali per quanto concerne la giustificazione del licenziamento non si applica al rapporto di lavoro domestico. Lo stabilisce l’articolo 4, primo comma, della legge 108/1990.
Il recesso nel rapporto di lavoro domestico pertanto può essere esercitato senza obbligo di motivazione.
Licenziamento del dirigente
Ai sensi dell’articolo 10 della legge 604/66 il dirigente non è compreso fra le categorie alle quali si applica la legge 604 e dunque le norme sui licenziamenti individuali.
Il dirigente tuttavia gode di un’ampia tutela contro licenziamento introdotta dalla contrattazione collettiva. Tale tutela riguarda in particola la giustificatezza del licenziamento, la forma scritta, il licenziamento discriminatorio, per gravidanza e per matrimonio. Di fatto dunque il licenziamento del dirigente va comunicato per iscritto e giustificato.
La giurisprudenza tuttavia ha precisato i requisiti di giustificatezza del licenziamento del dirigente nella sentenza seguente. La massima della sentenza n. 34736 del 30/12/2019 spiega bene che “Ai fini della “giustificatezza” del licenziamento del dirigente, non è necessaria una analitica verifica di specifiche condizioni, ma è sufficiente una valutazione globale, che escluda l’arbitrarietà del recesso, in quanto intimato con riferimento a circostanze idonee a turbare il rapporto fiduciario con il datore di lavoro, nel cui ambito rientra l’ampiezza di poteri attribuiti al dirigente”.
Licenziamento del lavoratore ultrasessantenne con diritto alla pensione di vecchiaia
La legge 108/1990 al secondo comma dell’articolo 4 esclude i lavoratori ultrasessantenni con diritto alla pensione di vecchiaia dall’ambito di applicazione delle norme sui licenziamenti individuali. Non sussiste pertanto l’obbligo di motivare il recesso dal rapporto con il lavoratore dai requisiti descritti.
La Cassazione tuttavia con sentenza n. 18662 del 08/09/2020 ha precisato il momento in cui è possibile il recesso libero in tale ipotesi. La massima della sentenza afferma che “La possibilità del recesso “ad nutum”, con sottrazione del datore all’applicabilità del regime dell’art. 18 st.lav., è condizionata non alla mera maturazione dei requisiti anagrafici e contributivi idonei per la pensione di vecchiaia, ma al momento in cui la prestazione previdenziale è giuridicamente conseguibile dall’interessato, ai sensi dell’art. 12, comma 1, del d.l. n. 78 del 2010, conv. con modif. nella l. n. 122 del 2010″.
Licenziamento dello sportivo professionista
Lo sportivo libero professionista è escluso dalle norme sui licenziamenti individuali ai sensi dell’articolo 4, comma 8, della legge 91/1981.
Ad oggi tuttavia è in corso una riforma sulla disciplina giuridica dello sport che ci rimanda al 2022 per una maggiore certezza circa i rapporti contrattuali del lavoratore sportivo.
Licenziamento al termine del periodo di formazione dell’apprendistato
L’articolo 42, quarto comma, del decreto legislativo 81/2015 attribuisce alle parti del rapporto di lavoro costituito con il contratto di apprendistato la facoltà di recedere ai sensi dell’articolo 2118 del codice civile al termine del periodo di formazione. Ciascuna parte dunque ha solo l’obbligo di dare il preavviso all’altra o in alternativa di fare ricorso all’indennità sostitutiva del preavviso. Il rapporto di apprendistato infatti, almeno per quanto riguarda la fase formativa, non è compreso nell’ambito di applicazione della legge 604/66. Nell’articolo 10 di tale legge il legislatore non menziona l’apprendistato escludendolo pertanto dall’ambito di applicazione.
Nel 1973 tuttavia la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui non ricomprendeva gli apprendisti nell’ambito di applicazione delle tutele previste dalla legge 604. La Corte tuttavia ha ammesso la possibilità del datore di lavoro di recedere ad nutum dal rapporto di apprendistato al termine della fase formativa come specificato nel termine della sentenza in cui si legge che “Tale dichiarazione di illegittimità va limitata, peraltro, al solo licenziamento adottato nel corso del rapporto di apprendistato, giacché, una volta che questo si sia esaurito, il datore di lavoro resta libero di assumere o meno l’ex apprendista e di stringere con lui un normale rapporto di lavoro o di dare disdetta a mente dell’art. 2118 del codice civile: il che è assicurato dall’art. 19 della legge 19 gennaio 1955, n. 25″.
La motivazione del licenziamento individuale
Ai sensi del secondo comma dell’articolo 2 della legge 604/66 “La comunicazione del licenziamento deve contenere la specificazione dei motivi che lo hanno determinato”. La mancanza dei motivi comporta l’inefficacia dell’atto.
Nella lettera di licenziamento dunque il datore di lavoro deve indicare i motivi che lo hanno portato ad esercitare il recesso. La descrizione dei motivi dev’essere concisa e chiara in modo da permettere al lavoratore di difendersi. I motivi descritti nella lettera di licenziamento non possono essere modificati. Possono essere eventualmente integrati.
Nella sentenza n. 7851 del 20/03/2019 si legge che: “Il datore di lavoro non può addurre in giudizio, a giustificazione del licenziamento, fatti diversi da quelli già indicati nella motivazione enunciata al momento dell’intimazione del recesso, ma soltanto dedurre mere circostanze confermative o integrative che non mutino la oggettiva consistenza storica dei fatti anzidetti; il principio di contestualità ed immodificabilità della motivazione ha natura imperativa e la sua violazione è sanzionata con l’inefficacia del licenziamento“.
I motivi del licenziamento si possono distinguere in due tipologie:
- quelli che dipendono dal lavoratore;
- quelli che dipendono dal datore di lavoro.
A seconda dei casi i motivi del licenziamento possono dare luogo al licenziamento disciplinare, al licenziamento per giusta causa o al licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Il licenziamento disciplinare
Il licenziamento disciplinare è un licenziamento per giustificato motivo soggettivo. La giustificazione del licenziamento infatti dipende da un comportamento del lavoratore contrario a norme di legge o di contratto collettivo ma non così grave da integrare la giusta causa di licenziamento. L’articolo 3, primo comma, della legge 604/66, lo definisce nella sua prima parte affermando che “il licenziamento per giustificato motivo con preavviso è determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro…”.
L’articolo 7 della legge 300 del 1970 disciplina la procedura che precede il licenziamento disciplinare. Il licenziamento infatti è l’esito del procedimento disciplinare e costituisce la sanzione più pesante per il lavoratore. I contratti collettivi possono prevedere delle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo.
Il licenziamento disciplinare fa sorgere in capo al lavoratore il diritto al preavviso o in alternativa l’indennità sostitutiva del preavviso.
Il licenziamento per giusta causa
La giusta causa di licenziamento è una causa che non consente nemmeno la prosecuzione temporanea del rapporto di lavoro. Lo stabilisce l’articolo 2119 del codice civile. La comunicazione del licenziamento pertanto conterrà l’indicazione che il rapporto si risolve senza preavviso. Al lavoratore non spetta l’indennità di mancato preavviso che ha natura risarcitoria di un diritto in questo caso non sorto.
Anche in tal caso i contratti collettivi possono individuare ipotesi di giusta causa di licenziamento.
Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo
Il giustificato motivo oggettivo trova la propria fonte normativa nella seconda parte del terzo comma dell’articolo 3 della legge 604/66. Dopo aver definito il giustificato motivo soggettivo la norma prosegue “ovvero da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa“.
Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo può aversi sia per motivi che riguardano la sfera del datore di lavoro sia per motivi che riguardano quella del lavoratore. Alcuni esempi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo sono:
- calo del fatturato e conseguente riduzione dei costi che può comportare un riassetto organizzativo aziendale con cui la posizione ricoperta da un certo lavoratore viene assorbita e svolta da un altro dipendente;
- la carcerazione preventiva.
Nella recente sentenza 6085/2021 la Cassazione ha ribadito alcuni presupposti del licenziamento per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3 della legge 604/66. I presupposti individuati dalla Corte sono:
- la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il dipendente, senza che sia necessaria la soppressione di tutte le mansioni in precedenza attribuite allo stesso;
- la riferibilità della soppressione a progetti o scelte datoriali – insindacabili dal giudice quanto ai profili di congruità e opportunità, purché effettivi e non simulati – diretti ad incidere sulla struttura e sull’organizzazione dell’impresa, ovvero sui suoi processi produttivi, compresi quelli finalizzati ad una migliore efficienza ovvero ad incremento di redditività;
- l’impossibilità di reimpiego del lavoratore in mansioni diverse, elemento che, inespresso a livello normativo, trova giustificazione sia nella tutela costituzionale del lavoro che nel carattere necessariamente effettivo e non pretestuoso della scelta datoriale, che non può essere condizionata da finalità espulsive legate alla persona del lavoratore.
La procedura di licenziamento per giustificato motivo oggettivo è diversa a seconda che il datore di lavoro raggiunga o meno le dimensioni previste dall’articolo 8 della legge 300/70.
Il licenziamento per superamento del periodo di comporto
Il periodo di comporto è il tempo in cui il lavoratore conserva il posto di lavoro sebbene si trovi in stato di malattia e impossibilitato ad eseguire la prestazione lavorativa. La durata di tale periodo è di norma stabilita dai contratti collettivi. L’articolo 2110 del codice civile attribuisce al datore di lavoro il diritto di esercitare il recesso qualora le assenze del lavoratore superino questo periodo di tempo. Nella lettera di licenziamento per superamento del periodo di comporto sarà necessario indicare i giorni di assenza del lavoratore. Il computo dei giorni di assenza per malattia può infatti essere effettuato in base al comporto cosiddetto secco o al comporto per sommatoria, entrambi definiti dai contratti collettivi.
Si legge nell’ordinanza 5752/2019 della Suprema Corte di Cassazione che: “in base alle regole dettate dall’art. 2 della legge n. 604/1966 (modificato dall’art. 2 della legge n. 108 del 1990) sulla forma dell’atto e la comunicazione dei motivi del recesso, qualora l’atto di intimazione del licenziamento non precisi le assenze in base alle quali sia ritenuto superato il periodo di conservazione del posto di lavoro, il lavoratore – il quale, particolarmente nel caso di comporto per sommatoria, ha l’esigenza di poter opporre propri specifici rilievi – ha la facoltà di chiedere al datore di lavoro di specificare tale aspetto fattuale delle ragioni del licenziamento, con la conseguenza che nel caso di non ottemperanza con le modalità di legge a tale richiesta, il licenziamento deve considerarsi illegittimo“.
Licenziamento individuale e onere della prova
Quando il licenziamento è fondato su una giusta causa o un giustificato motivo spetta al datore di lavoro in giudizio dimostrare l’esistenza della giusta causa o del giustificato motivo. Lo stabilisce l’articolo 5 della legge 604/66.
Quando produce efficacia il licenziamento individuale
Il licenziamento è un atto unilaterale recettizio ai sensi dell’articolo 1334 del codice civile. La disposizione stabilisce che “Gli atti unilaterali producono effetto dal momento in cui pervengono a conoscenza della persona alla quale sono destinati”. Il licenziamento dunque produce effetti dal momento in cui viene conosciuto dal suo destinatario. Quando pervengono a conoscenza della persona cui sono destinati lo stabilisce l’articolo successivo, il 1335. “La proposta, l’accettazione, la loro revoca e ogni altra dichiarazione diretta a una determinata persona si reputano conosciute nel momento in cui giungono all’indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia“.
Con ordinanza n. 23589 del 28/09/2018 la Cassazione ha specificato quando si considera pervenuto al destinatario l’atto di licenziamento. La massima della sentenza recita:
“Un atto unilaterale recettizio, qual è il licenziamento, si presume conosciuto – ai sensi dell’art. 1335 c.c. – nel momento in cui è recapitato all’indirizzo del destinatario e non nel diverso momento in cui questi ne prenda effettiva conoscenza; ne consegue che, ove il licenziamento sia intimato con lettera raccomandata a mezzo del servizio postale, non consegnata al lavoratore per l’assenza sua e delle persone abilitate a riceverla, la stessa si presume conosciuta alla data in cui, al suddetto indirizzo, è rilasciato l’avviso di giacenza del plico presso l’ufficio postale, restando irrilevante il periodo legale del compimento della giacenza e quello intercorso tra l’avviso di giacenza e l’eventuale ritiro da parte del destinatario”.
I termini e le modalità di impugnazione del licenziamento individuale
L’articolo 6 della legge 604/66 stabilisce che il licenziamento dev’essere impugnato a pena di decadenza entro il termine di 60 giorni dalla sua comunicazione in forma scritta. Il termine di 60 giorni può decorrere dalla comunicazione, sempre in forma scritta, dei motivi che hanno determinato il licenziamento se non contestuale alla comunicazione dello stesso.
L’impugnazione può avvenire in sede giudiziale o stragiudiziale in forma scritta con un atto idoneo a manifestare tale volontà del lavoratore. Il legislatore tuttavia, affinché l’atto produca i suoi effetti, mette il lavoratore di fronte a una duplice scelta da effettuarsi nei successivi 180 giorni:
- depositare il ricorso presso la cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro;
- promuovere un tentativo di conciliazione o arbitrato comunicandone l’invito al datore di lavoro. In caso di rifiuto da parte del datore di lavoro di tentare la conciliazione ovvero in caso di espletamento della procedura senza il raggiungimento di un accordo nei successivi sessanta giorni dall’espresso rifiuto o dall’accordo non raggiunto il lavoratore deve presentare il ricorso al giudice.