La sentenza n. 903/2017 della Corte di Appello di Milano, pronunciata dopo che il caso era stato trattato dai giudici in Cassazione, contribuisce a fare chiarezza sul tema del licenziamento per scarso rendimento, e la compatibilità della legittimità di una tale decisione con le numerose assenze per malattia del dipendente resosi destinatario del provvedimento.
Con tale pronuncia, infatti, la Corte di Appello di Milano ha stabilito che è illegittimo licenziare un dipendente per scarso rendimento se questo è determinato dalle ripetute assenze per malattia, se queste – a loro volta – non superano il periodo di comporto.
Il licenziamento per scarso rendimento
Nel dettaglio, i giudici di merito hanno affermato che il recesso per scarso rendimento del lavoratore non può essere considerato legittimo se tale decisione risulta essere influenzata dal fatto che il datore di lavoro ha considerato nella scarsità del rendimento anche le assenze per malattia del dipendente, nonostante esse non superino il periodo di comporto.
Con l’occasione, i giudici di merito hanno poi sottolineato che le disposizioni sulle sanzioni in caso di illegittimità del licenziamento, attualmente previste dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, possono essere applicate in tutte quelle situazioni di licenziamento che non siano disciplinate da specifiche norme di settore, andando così a prevedere l’applicazione di quanto sopra anche nei confronti del settore degli autoferrotranvieri, cui apparteneva il dipendente reso destinatario del provvedimento di cui oggi in commento.
Come anticipato, peraltro, la vicenda non è certo “nuova”. Il caso su cui si sono espressi i giudici milanesi è infatti stato riassunto dopo l’esame in Cassazione. Il lavoratore licenziato per scarso rendimento, contestando il fatto che il datore di lavoro nella propria valutazione abbia considerato anche le assenze per malattia, dopo il primo grado di giudizio ha infatti sollevato la questione in Cassazione. Qui gli Ermellini hanno assunto una sentenza (la n. 16472/2015), sostanzialmente favorevole al lavoratore, annullando così il precedente giudizio e disponendo la riassunzione presso la Corte d’appello.
Le motivazioni della Cassazione
Nella propria sentenza risalente a due anni fa i giudici la Suprema Corte avevano cassato la decisione di merito precedente, affermando che quando il datore di lavoro valuta il comportamento del proprio lavoratore al fine del licenziamento, non può considerare nel novero valutativo anche le assenze per malattia, le quali risultano ben essere assoggettate a norme diverse da quelle tipiche del normale licenziamento per scarso rendimento.
Nelle proprie motivazioni i giudici di Cassazione riassumono con la deduzione secondo cui lo scarso rendimento del lavoratore è caratterizzato da “colpa” dello stesso dipendente, mentre ciò non può riferirsi nei confronti delle assenze per malattia, che non possono essere accomunate allo scarso rendimento. L’eccezione è invece rappresentata dalla eccessiva numerosità delle assenze in questione che, quando superano il periodo di comporto, possono divenire causa di recesso giustificato.
Le decisioni in appello
Riottenuta la “paternità” del caso, i giudici della Corte d’Appello hanno provveduto a riesaminare il caso, applicando i principi indicati dalla Cassazione. Così facendo, i giudici milanesi hanno rilevato che il datore aveva fondato la decisione di licenziare il dipendente sulla base dello scarso rendimento del lavoratore stesso, derivante altresì dal suo ripetuto ricorso all’istituto della malattia.
Come accennato qualche riga fa, la Corte di Cassazione ha però stabilito che ai fini della configurabilità del licenziamento per scarso rendimento, nel caso in esame, non si può tenere in considerazione la malattia, poiché tale evento non è di fatto imputabile al lavoratore, e segue delle regole proprie che non possono essere accomunate alle regole previste genericamente per un rendimento deludente del dipendente, per colpa propria.
Una volta accertata l’illegittimità del licenziamento da parte del datore di lavoro, i giudici di merito hanno poi applicato l’ulteriore principio enunciato due anni fa dalla Cassazione con la pronuncia sopra indicata, secondo cui l’articolo 18 della legge 300/1970 (Statuto dei Lavoratori) può ben applicarsi a ogni ipotesi di invalidità del recesso del datore di lavoro, con la sola eccezione legata alla possibile sussistenza di una diversa specifica disciplina. Ne consegue che, nella fattispecie in esame, i giudici hanno ritenuto applicazione l’articolo 18 dello Statuto anche nelle ipotesi di licenziamenti collettivi nel settore autoferrotranvieri.
La Corte d’Appello dispone così l’illegittimità del licenziamento per scarso rendimento del lavoratore e ha condannato la società a reintegrare il dipendente in una posizione lavorativa che sia giudicabile come equivalente a quella precedentemente occupata, e a corrispondere il risarcimento del danno sino all’effettiva reintegra.