Licenziato perché arriva in ritardo, quando è lecito? – guida rapida
- Il licenziamento per ripetuti ritardi sul lavoro
- Il ricorso in Cassazione
- Le motivazioni della Corte di Cassazione
Può essere licenziato il dipendente che arriva in ritardo? Se il comportamento è reiterato nel tempo, la risposta non può che essere positiva e, a confermarla, è l’ordinanza n. 28929 dell’11 novembre 2024 della Corte di Cassazione.
Proviamo a ricostruire il caso e comprendere come la Corte di legittimità sia giunta a tali conclusioni.
Il licenziamento per ripetuto ritardo sul lavoro
La Corte d’appello di Napoli ha respinto il reclamo di un lavoratore, confermando la sentenza di primo grado che, al pari dell’ordinanza pronunciata all’esito della fase sommaria, aveva rigettato l’impugnativa del licenziamento per giustificato motivo soggettivo intimatogli dal datore di lavoro con lettera del 4.2.2019.
Nel far ciò, la Corte d’appello ha premesso che al lavoratore, con lettera del 10.1.2019, era stato contestato il mancato rispetto dell’orario di lavoro nei giorni 4, 12 e 24 dicembre 2018 nonché la recidiva in relazione ai provvedimenti irrogativi di sanzioni disciplinari, con note rispettivamente del 9.1.2017, 20.2.2017 e 27.9.2018.
La Corte ha dunque ritenuto sussistente la recidiva, osservando che della prima sanzione conservativa si potesse tener conto ai fini del licenziamento dovendosi considerare quale dies ad quem del termine di due anni, previsto dall’art. 7, St. Lav., la lettera di contestazione (10.1.2019) e non il momento di adozione del provvedimento espulsivo.
Ancora, ha giudicato come legittima la sanzione conservativa irrogata con nota del 27.9.2018 (per omesso invio di certificazione medica a giustificazione dell’assenza del 13.8.2918) e superflua la verifica della legittimità della sanzione applicata con nota del 20.2.2017. L’art. 48, lett. g) del CCNL Pulizia Industria e Multiservizi permette infatti il licenziamento con preavviso in caso di recidiva in qualunque delle mancanze contemplate nell’art. 47, quando siano stati comminati due provvedimenti di sospensione.
Ha pertanto valutato la sanzione espulsiva proporzionata alla gravita della condotta contestata.
Contro tale sanzione il dipendente ha ricorso in Cassazione.
Il ricorso in Cassazione per licenziamento su ritardo al lavoro
Il dipendente ha articolato il proprio ricorso in Cassazione con cinque motivi. Con il primo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 2119, dell’art. 3, della legge n. 604 del 1966, degli artt. 7 e 18, commi 3 e 4, della legge n. 300 del 1970, come modificato dalla legge 92 del 2012 dell’art. 48 CCNL per i dipendenti da imprese di pulizie e multiservizi del 31.5.2011, per avere la Corte d‘appello fatto decorrere la retrodatazione del termine biennale entro cui tener conto delle sanzioni disciplinari conservative dalla data della lettera di contestazione anziché dalla data della lettera di licenziamento.
Con il secondo motivo deduce ai sensi dell’art. 360, comma n. 3 c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 2119, dell’art. 3, legge n. 604 del 1966, degli artt. 7 e 18, commi 3 e 4 della legge n. 300 del 1970, come modificato dalla legge 92/2012, dell’art. 46 CCNL, per non avere la Corte d’appello tenuto conto della consumazione del potere disciplinare in quanto la sanzione conservativa di cui alla nota del 20.2,2017 è stata comunicata oltre il termine di 15 giorni previsto dall’art. 46 CCNL, senza peraltro contestazione della recidiva.
SI arriva così al terzo motivo, con cui il lavoratore deduce, ai sensi dell’art. 360, comma n. 3 c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 2119, dell’art. 3, legge n. 604 del 1966, degli artt. 7 e 18, commi 3 e 4, della legge n. 300 del 1970, come modificato dalla legge n. 92 del 2012, dell’art. 51 CCNL, per non avere la Corte d’appello considerato che l’illecito disciplinare per l’assenza dovuta a malattia sussiste solo se l’azienda richiede la certificazione medica.
Gli altri motivi di ricorso
Con il quarto motivo si deduce, ai sensi dell‘art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 2119, dell’art. 3, legge n. 604 del 1966, degli artt. 7 e 18, commi 3 e 4, della legge n. 300 del 1970, come modificato dalla legge 92 del 2012. Per il ricorrente, infatti, la Corte d’appello non avrebbe considerato tutte le circostanze del caso concreto per affermare la proporzionalità tra l’inadempimento del lavoratore e la sanzione espulsiva.
Infine, con quinto e ultimo motivo, si imputa alla sentenza, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., di aver omesso l’esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, relativamente alla eccepita violazione dell’art. 46 CCNL per non avere tenuto conto della consumazione del potere disciplinare relativamente alla sanzione conservativa di cui alla nota del 20.2.2017 in quanto comunicata oltre il termine di 15 giorni previsto dall’art. 46 CCNL e senza contestazione della recidiva.
Le motivazioni della Corte di Cassazione
Per prima cosa, i giudici di Cassazione ricordano che l’espressione adoperata dall’art. 7, ultimo comma, St. lav., secondo cui
non può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi due anni dalla loro applicazione
secondo il suo inequivoco tenore letterale, impedisce di far leva sui precedenti disciplinari dopo due anni dalla applicazione delle sanzioni. Permette invece, al contrario, di tener conto e valutare detti precedenti entro il biennio “ad ogni effetto”, e pertanto anche ai fini della “contestazione” disciplinare.
La locuzione “ad ogni effetto”, per la sua ampiezza e per l’assenza di ogni preclusione, non può essere letta, come riferita al solo provvedimento di licenziamento, così da far coincidere, come preteso dal ricorrente, dies ad quem del biennio con la decisione di recesso.
Il secondo e il quinto motivo vengono invece ritenuti inammissibili perché non si confrontano con la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale ha giudicato superfluo, ai fini della recidiva rilevante ai sensi dell’art. 48, lett. g) CCNL, il precedente disciplinare di cui alla nota del 20.2.2017 (sentenza, p. 7, penultimo cpv.).
Sempre per i giudici di legittimità, il quinto motivo è inammissibile per la disciplina della cd. doppia conforme, di cui all‘art. 348 ter c.p.c. (ora art. 360, comma 4 c.p.c.).
Il terzo motivo è invece infondato, considerato che l’inadempimento addebitato al dipendente concerne l’assenza ingiustificata nel giorno 13.8.2018. La Corte di merito ha accertato, sulla base dei documenti prodotti e delle deposizioni raccolte, che quella assenza (per cui il dipendente aveva comunicato di essere in malattia) è rimasta priva di qualsiasi giustificazione, atteso che nessun certificato medico è stato consegnato o trasmesso alla società.
Non si può inoltre giungere a conclusioni diverse con la previsione dell’art. 51 del CCNL, che subordina ad una richiesta del datore di lavoro l’obbligo del lavoratore di inviare “il numero identificativo del certificato medico telematico” ma non l’obbligo di giustificare l’assenza.
È altresì infondato il quarto motivo di ricorso, considerato che la Corte d’appello si è attenuta ai canoni giurisprudenziali attraverso cui sono state definite le nozioni legali di giusta causa e di proporzionalità della misura espulsiva. Ha inoltre valutato con motivo la gravita dell’addebito sottolineando come il lavoratore si fosse
ripetutamente dimostrato inaffidabile e totalmente noncurante delle disposizioni ricevute o addirittura dei provvedimenti disciplinari di natura conservativa che per lui avrebbero dovuto costituire un campanello d’allarme, un’ammonizione a tenere comportamenti più corretti nel futuro.
Per queste ragioni il ricorso è stato respinto.