Limite di finanziabilità del mutuo fondiario – guida rapida
- I fatti
- L’analisi dell’art. 38 TUB
- Gli interessi tutelati dalle norme
- L’orientamento dal 2013
- La sentenza del 2017
- Le considerazioni della Suprema Corte
- La nullità
- Il principio di diritto
- La sorte del mutuo fondiario
- La volontà delle parti
- L’intervento d’ufficio
- L’esito
Con sentenza n. 33719/2022, la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla questione legata all’ipotesi di superamento del limite di finanziabilità ex art. 38 co. 2 TUB in tema di mutuo fondiario, affermando che non si tratta di norma imperativa e che, pertanto, la sua violazione non determina la nullità del contratto né la facoltà del giudice di procedere con la riqualificazione d’ufficio in mutuo ipotecario ordinario.
Cerchiamo di ricostruire brevemente la questione e comprendere in che modo i giudici della Suprema Corte siano arrivati a tale conclusione.
I fatti sul mutuo fondiario
La banca domandava l’ammissione al passivo del fallimento dei due soci illimitatamente responsabili di una società in nome collettivo, un credito relativo a un mutuo fondiario garantito da ipoteca di primo grado sui loro beni.
Il giudice delegato ammetteva il credito in chirografo, ritenendo insussistente il mutuo fondiario e, di conseguenza, anche il privilegio ipotecario. Dinanzi a tale presa di posizione la banca si opponeva, ma tale opposizione veniva rigettata dal tribunale, che confermava l’esclusione della natura fondiaria del mutuo, concesso per un importo eccedente il limite massimo finanziabile ex art. 38, secondo comma, del d.lgs. n. 385 del 1993 (TUB), nella misura dell’80% del valore dell’immobile e, di conseguenza, la prelazione revocabile, non trovando applicazione il regime di favore per il creditore fondiario.
Secondo la Corte territoriale, che richiamava l’orientamento all’epoca seguito nella giurisprudenza di legittimità, la violazione dei limiti di finanziabilità del mutuo fondiario non è sanzionabile con la nullità del contratto perché non si tratterebbe di norma imperativa e perché la disposizione non sarebbe ricompresa nella previsione ex art. 117, comma 8, TUB, che stabilisce la nullità dei contratti che abbiano un contenuto difforme da quello tipico determinato dalla Banca d’Italia.
Il ricorso dei Fallimenti
Contro tale sentenza i Fallimenti hanno proposto ricorso, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 38 e ss. TUB e l’omesso esame di un fatto ritenuto decisivo per il giudizio. In primo luogo, insistono sul tema della nullità del mutuo fondiario violativo dei limiti di finanziabilità. In secondo luogo, rappresentano l’omessa considerazione, da parte del giudice di appello, dell’ulteriore profilo sottoposto alla sua attenzione, e cioè la contrarietà a legge del finanziamento destinato ad estinguere passività pregresse, con conseguente necessità di escludere la garanzia ipotecaria.
La Prima sezione civile della Corte di Cassazione investe le Sezioni Unite della questione. Si evidenzia infatti come l’orientamento seguito nella sentenza impugnata, secondo cui predicabile la nullità del mutuo per superamento del limite di finanziabilità, è stato superato nella giurisprudenza di legittimità dal 2017, quando (con sentenza n. 17352/2017) si è affermato l’opposto indirizzo. Stando a tale nuovo approccio, il rispetto del limite di finanziabilità rappresenta un elemento essenziale del contenuto del contratto e, quindi, un limite inderogabile all’autonomia privata, in ragione della natura pubblica dell’interesse tutelato, con conseguente nullità del contratto stesso in caso di violazione, salva la possibilità di conversione del contratto in ordinario mutuo ipotecario, ove ne sussistano i presupposti e su istanza della banca nel primo momento utile successivo alla rilevazione della nullità.
L’analisi dell’art. 38 TUB e il mutuo fondiario
In sintesi, le Sezioni Unite sono sollecitate a pronunciarsi sulla sorte del mutuo fondiario concesso per un importo eccedente il limite di finanziabilità di cui all’art. 38 TUB.
Ricordiamo come la disposizione affermi che
il credito fondiario ha per oggetto la concessione, da parte di banche, di finanziamenti a medio e lungo termine garantiti da ipoteca di primo grado su immobili
per poi affermare al secondo comma, che
la Banca d’Italia, in conformità delle deliberazioni del CICR, determina l’ammontare massimo dei finanziamenti, individuandolo in rapporto al valore dei beni ipotecati o al costo delle opere da eseguire sugli stessi, nonché le ipotesi in cui la presenza di precedenti iscrizioni ipotecarie non impedisce la concessione dei finanziamenti.
Sulla base di tale disposizione il CICR, con delibera del 22 aprile 1995, ha stabilito come limite di finanziabilità l’80% del valore dei beni ipotecati o del costo delle opere da eseguire sugli stessi aumentabile al 100% se sono previste garanzie integrative.
Ora, l’orientamento seguito fin dalla sentenza n. 26672/2013 ha escluso che la previsione del limite di finanziabilità di cui all’art. 38 costituisca ipotesi rientrante nell’ambito applicativo dell’art. 117 TUB, che al comma 8 stabilisce che
la Banca d’Italia può prescrivere che determinati contratti, individuati attraverso una particolare denominazione o sulla base di specifici criteri qualificativi, abbiano un contenuto tipico determinato. I contratti difformi sono nulli. Resta ferma la responsabilità della banca o dell’intermediario finanziario per la violazione delle prescrizioni della Banca d’Italia.
Il potere della Banca d’Italia
Si noti come i giudici rammentino che l’art. 38 TUB conferisca alla Banca d’Italia non già il potere di stabilire una certa clausola del contratto di mutuo fondiario ma solo quello di determinare la percentuale massima del finanziamento che costituisce l’oggetto del contratto e che è quindi un elemento di per sé già tipizzato e costituente una clausola necessaria.
Di fatti, l’art. 38, secondo comma, TUB attribuisce alla Banca d’Italia il potere di determinare l’ammontare massimo dei finanziamenti, il quale attiene a un elemento (oggetto) di per sé già tipizzato del contratto, non rientrante nella previsione di cui all’articolo 117, ottavo comma, TUB, che attribuisce invece direttamente all’istituto di vigilanza un potere conformativo o tipizzatorio del contenuto del contratto, prevedendo clausole-tipo da inserire nel regolamento negoziale a tutela del contraente debole.
Gli interessi tutelati dalle norme e il mutuo fondiario
Peraltro, si noti come siano differenti anche gli interessi tutelati dalle due norme. L’art. 117 TUB mira infatti a tutelare i contraenti più deboli prevenendo, tramite l’inserimento di clausole standard, l’uso da parte delle banche di schemi contrattuali di difficile lettura od interpretazione da parte del cliente. O, ancora, che recano clausole onerose o eccessivamente vessatorie.
Per quanto concerne invece la violazione dell’art. 38 TUB, si può osservare come il cliente in questo caso abbia tutto l’interesse ad ottenere il finanziamento nel massimo importo possibile anche a prescindere dal limite di finanziabilità. La nullità dell’art. 117 non può dunque applicarsi al caso di specie proprio perché il cliente non avrebbe interesse a farla valere.
L’orientamento dal 2013
L’orientamento inaugurato nel 2013 ha escluso la configurabilità nella violazione del limite di finanziamento di una nullità virtuale per contrarietà a norme imperative, in difetto di espressa previsione di nullità, in base alle seguenti considerazioni:
- la violazione della norma che scaturisce dall’art. 38 TUB non può determinare la nullità del contratto poiché non incide sul sinallagma contrattuale e non riguarda la validità dello stesso. Investe solo il comportamento della Banca tenuta ad attenersi al limite prudenziale
- il rispetto del limite del finanziamento non risulta essere una circostanza rilevabile dal contratto, perché l’accertamento in proposito può avvenire solo tramite valutazioni estimatorie dell’immobile oggetto di finanziamento suscettibili di opinabilità e incertezza valutativa e come tali non rilevabili dal testo del contratto
- la ratio della normativa sul credito fondiario favorisce il ricorso al mutuo fondiario nell’interesse dei clienti e, dall’altro, si propone di garantire e tenere indenni le banche che effettuano siffatte operazioni finanziarie con norme come quella sulla revocabilità in sede fallimentare delle ipoteche sottoposta ad un brevissimo termine di dieci giorni
- le disposizioni in questione non integrano norme inderogabili sulla validità del contratto ma sono “norme di buona condotta” la cui violazione può al limite determinare l’irrogazione delle sanzioni previste dall’ordinamento bancario
- essendo il limite di erogabilità del mutuo ipotecario stabilito anche e soprattutto in funzione della stabilità patrimoniale della banca erogante, far discendere dalla violazione di quel limite la conseguenza della nullità del mutuo ormai erogato ed il venire meno della connessa garanzia ipotecaria determinerebbe paradossalmente un pregiudizio a quella stabilità patrimoniale della banca che la norma intendeva proteggere.
La sentenza del 2017
L’orientamento di cui sopra è stato sottoposto a critica con sentenza n. 17352/2017 della prima sezione. La pronuncia, che condivide l’affermazione sulla non riconducibilità della fattispecie in esame alla nullità ex art. 117, ottavo comma, TUB, ed esclude la ricorrenza di una nullità testuale, ritiene però che la prescrizione del limite massimo di finanziabilità da parte della Banca d’Italia ex art. 38, secondo comma, TUB si inserisca in ogni caso tra gli elementi essenziali perché un contratto di mutuo possa dirsi fondiario.
Gli argomenti a base del predetto orientamento sono così riassumibili:
- la suddetta prescrizione risponde a una necessità di analitica regolamentazione dettata da obiettivi economici generali, attesa la ripercussione che queste tipologie di finanziamenti possono avere sull’economia nazionale e a una simile raio della norma è correlato il trattamento di favore per la banca
- la fissazione di un limite di finanziabilità non è confinabile nell’area del comportamento della fase prenegoziale
- escludere la nullità del contratto di credito fondiario ove sia violato il limite massimo di concedibilità del finanziamento, mantiene intatta la causa di prelazione resa illegittima dalla violazione del precetto normativo, minando la par conditio creditorum
- la limitazione dell’importo del mutuo e della garanzia ipotecaria non riflette gli interessi particolari delle parti contraenti. Costituisce un limite inderogabile alla loro autonomia privata
- ferma la nullità del contratto di mutuo fondiario, la sola modalità di recupero del contratto nullo è la conversione in un contratto diverso.
Le considerazioni della Suprema Corte
La Suprema Corte non concorda con la presa di posizione della giurisprudenza di legittimità a partire dal 2017. Le sue considerazioni sono così riassumibili.
I giudici rammentano come il credito fondiario sia quello che
ha per oggetto la concessione, da parte di banche, di finanziamenti a medio o lungo termine garantiti da ipoteca di primo grado su immobili
senza ulteriori caratterizzazioni individualizzanti specifiche.
Quindi, i giudici rilevano come l’orientamento interpretativo inaugurato nel 2017 faccia leva sul fatto che
la Banca d’Italia, in conformità delle deliberazioni del CICR, determina l’ammontare massimo dei finanziamenti, individuandolo in rapporto al valore dei beni ipotecati o al costo delle opere da eseguire sugli stessi, nonché le ipotesi in cui la presenza di precedenti iscrizioni ipotecarie non impedisce la concessione dei finanziamenti.
Per i giudici, però, le due disposizioni sopra rammentate non sono omogenee. Una stabilisce il contenuto essenziale del mutuo fondiario. L’altra assegna alla Banca d’Italia il compito di scegliere l’importo massimo dei finanziamenti.
La nullità del mutuo fondiario
Per la Suprema Corte è poi arduo ritenere che una disposizione preveda un requisito a pena di nullità senza preoccuparsi di fornire elementi per la sua definizione, ogni volta che non appare di intuibile comprensione.
È significativo – si legge ancora – che la Banca d’Italia abbia precisato che il valore dei beni ipotecati cui rapportare la percentuale di concessione del finanziamento possa essere sia quello cauzionale che quello di mercato. Non si può trascurare inoltre che la determinazione del valore del bene è oggetto di un comportamento della banca che si dispiega nella fase precontrattuale e contrattuale, il cui esito può essere suscettibile di un giudizio non rispondente a criteri di validità o invalidità contrattuale, ma appropriato alla valutazione di comportamenti negoziali delle parti.
Non viene inoltre precisato se la stima debba essere effettuata in relazione all’epoca di stipula del contratto di mutuo o in un momento successivo. Ulteriormente, l’indicazione nel contratto di mutuo fondiario del valore del bene offerto in garanzia o del costo delle opere non è requisito di forma prescritto ad substantiam. Non è infatti previsto come tale dalla disciplina ex artt. 38 e 117 TUB.
Il principio di diritto
Si enuncia il seguente principio di diritto:
In tema di mutuo fondiario, il limite di finanziabilità di cui all’articolo 38, secondo comma, del d.lgs. n. 385 del 1993, non è elemento essenziale del contenuto del contratto, non trattandosi di norma determinativa del contenuto del contratto o posta a presidio della validità dello stesso, ma di un elemento meramente specificativo o integrativo dell’oggetto del contratto; non integra norma imperativa la disposizione – qual è quella con la quale il legislatore ha demandato all’Autorità di vigilanza sul sistema bancario di fissare il limite di finanziabilità nell’ambito della «vigilanza prudenziale» (cfr. articoli 51 ss. e 53 t.u.b.) – la cui violazione, se posta a fondamento della nullità (e del travolgimento) del contratto (nella specie, del mutuo ormai erogato cui dovrebbe conseguire anche il venir meno della connessa garanzia ipotecaria), potrebbe condurrebbe al risultato di pregiudicare proprio l’interesse che la norma intendeva proteggere, che è quello alla stabilità patrimoniale della banca e al contenimento dei rischi nella concessione del credito.
Il ricorso viene dunque ritenuto infondato, avendo la sentenza impugnata deciso in conformità all’enunciato principio.
La sorte del mutuo fondiario
A questo punto ci si può domandare quale sia la sorte del mutuo (ex) fondiario.
L’ordinanza interlocutoria che ha costituito il trampolino di lancio verso la pronuncia ora in commento si è espressa in termini critici sulle teoria della nullità contrattuale per violazione della norma imperativa. Ha però suggerito come
percorso effettivamente alternativo [alla nullità quello] della riqualificazione del contratto alla stregua di un mutuo ipotecario ordinario, prescindendo dal nomen iuris adoperato dalle parti e sterilizzandolo delle tutele speciali previste dalla legge, in favore del mutuante, per i finanziamenti fondiari. In tal modo il rispetto del cd. scarto di garanzia finirebbe per incidere non sul piano della validità del contratto, ma unicamente sulla possibilità di applicare, al programma negoziale posto in essere dalle parti, le peculiari conseguenze ricollegate dalla legge al finanziamento fondiario e dunque sulla possibilità per l’istituto di godere della relativa disciplina di favore.
Il Collegio non ha ritenuto condivisibile la proposta ricostruttiva in termini di riqualificazione del mutuo fondiario in mutuo ipotecario ordinario. Dunque, una volta che si esclude la nullità del contratto per superamento del limite di finanziabilità, non è permesso all’interprete intervenire d’ufficio sugli effetti legali del contratto per neutralizzarlo, facendo applicazione di un diverso modello negoziale, il mutuo ordinario non voluto dalle parti.
La volontà delle parti
Nel caso in esame, il Collegio ritiene pacifico come le parti abbiano inteso stipulare un mutuo fondiario e come ad essere contestata, in modo infondato, come si è visto, è la validità del contratto a causa del superamento del limite di finanziabilità e dell’utilizzazione del mutuo fondiario per estinzione di passività pregresse, con i mutuatari che ne deducono la nullità, e il mutuante che invece ne deduce la validità.
Ora, i giudici della Suprema Corte evidenziano come sia noto che la qualificazione del contratto sia compito del giudicante e non dei contraenti. Il giudice non è dunque vincolato al nomen juris dato dai contraenti. Può invece correggere la loro autoqualificazione se si riscontra che essa non corrisponde alla sostanza del contratto o dell’operazione negoziale. Non si può comunque nemmeno affermare l’assoluta irrilevanza delle determinazioni delle parti.
Dunque, se le parti decidono di qualificare un contratto in un certo modo (mutuo fondiario), perché ne sussistono le caratteristiche essenziali identificative, il giudice in via di principio non può disattendere la loro qualificazione in favore di una qualificazione diversa, ritenuta più adeguata secondo parametri normativi astratti, salvo che la stessa qualificazione non sia specificamente contestata in giudizio o ricorrano le condizioni per la conversione del contratto.
Ciò presuppone, tuttavia, che ne sia fondatamente contestata la validità e non è questa l’ipotesi, considerato che è stata esclusa la nullità del mutuo fondiario stipulato dai contraenti, in relazione a entrambi i dedotti profili del superamento del limite di finanziabilità e della destinazione della somma mutuata a ripianare passività pregresse.
L’intervento d’ufficio
Dunque, nell’ipotesi in cui il giudice riscontri un mero errore di qualificazione dei contraenti nella denominazione del contratto che, però, presenti i tratti identificativi che corrispondono a una diverso tipo o sottotipo negoziare, la ridenominazione è sempre possibile, anche d’ufficio, non incidendosi sul regolamento di interessi convenuto dai contraenti.
Per i giudici,
l’operazione qualificatoria del giudice consiste nella mera correzione del nomen iuris per adeguarlo al paradigma normativo proprio dell’operazione negoziale concreta.
Alla predetta ridenominazione (o riqualificazione) del nomen il giudice può procedere anche quando sia contestata la stessa «volontà comune» dei contraenti e sia in discussione la determinazione del tipo o sottotipo negoziale nel quale sussumere la fattispecie concreta: in tal caso è il giudice (di merito) a dover accertare la volontà dei contraenti per trarne le conseguenze sul piano della qualificazione giuridica del contratto, con la quale è possibile incidere indirettamente sul regolamento di interessi per consentire al contratto di produrre gli effetti corrispondenti all’operazione negoziale realmente voluta dai contraenti.
L’esito
Il ricorso è dunque rigettato con pronuncia del seguente principio di diritto:
qualora i contraenti abbiano inteso stipulare un mutuo fondiario corrispondente al modello legale (finanziamento a medio o lungo termine concesso da una banca garantito da ipoteca di primo grado su immobili), essendo la loro volontà comune in tal senso incontestata (o, quando contestata, accertata dal giudice di merito), non è consentito al giudice riqualificare d’ufficio il contratto, al fine di neutralizzarne gli effetti legali propri del tipo o sottotipo negoziale validamente prescelto dai contraenti per ricondurlo al tipo generale di appartenenza (mutuo ordinario) o a tipi contrattuali diversi, pure in presenza di una contestazione della validità sotto il profilo del superamento del limite di finanziabilità, la quale implicitamente postula la corretta qualificazione del contratto in termini di mutuo fondiario.