Il collare antiabbaio è reato di maltrattamenti sugli animali (Cassazione Sezione III n. 3290/2018) – indice:
Il collare antiabbaio? Imporlo al proprio animale domestico per evitare che possa disturbare, attraverso la somministrazione di scariche elettriche quando l’animale abbaia, al fine di “educarlo” a un determinato comportamento, può integrare il reato di maltrattamenti sugli animali. È quanto ha stabilito una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 3290/2018), che si è pronunciata in maniera critica su questo atteggiamento da parte del proprietario di un cane, affermando che è reato imporre al proprio animale il collare antiabbaio e infliggergli così una scossa elettrica ogni volta che abbaia.
Il caso e le sanzioni previste per il maltrattamentodi animali
La vicenda su cui si sono espressi i giudici della Corte di Cassazione riguardava quella di un uomo che è stato condannato alla sanzione di 800 euro a titolo di ammenda per il reato di cui all’art. 544 ter c.p., derubricato poi in art. 727 c. 2 c.p., rubricato “Abbandono di animali”, e in grado di disciplinare che
chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività è punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda da 1.000 a 10.000 euro.
Alla stessa pena soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze.
Il più grave disposto dell’art. 544 ter c.p., inizialmente assunto in considerazione per la vicenda in esame, è invece rubricato “Maltrattamento di animali” e prevede che:
chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre mesi a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro.
La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi.
La pena è aumentata della metà se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte dell’animale.
Chiarito il quadro normativo di riferimento, si può ben evidenziare come il ricorso all’art. 727 sia stato individuato per poter sanzionare il maltrattamento dei cani che l’uomo deteneva con i collari antiabbaio, particolari dispositivi che hanno la caratteristica di emanare delle scosse elettriche quando il cane abbaia, e che per gli Ermellini sarebbero incompatibili con la loro natura, oltre che produttivi di sofferenze.
La difesa del proprietario dell’animale sosteneva invece che i setter erano stati trovati in buone condizioni di salute, e che dunque – come risultava peraltro dalla consulenza tecnica effettuata – non vi fossero dei segni di maltrattamento o di sofferenza negli stessi animali. Sulla base di ciò, la difesa chiedeva l’annullamento della sentenza per inosservanza o per erronea applicazione della legge penale, difettando di fatti del “requisito essenziale, costituito dalle lesioni, che ha giustificato la derubricazione nell’ipotesi contravvenzionale – e mancando – comunque la prova che l’avere apposto i collari antiabbaio costituisca condotta incompatibile con la natura dei cani o che abbia recato loro sofferenze, essendo evidente che i collari servivano ad evitare che fosse provocato disturbo ai vicini”.
Usare il collare antiabbaio è reato di maltrattamenti sugli animali
I giudici della Corte di Cassazione non sono tuttavia concordi con la parte ricorrente. Gli Ermellini ricordano infatti come per quanto sia attinente al reato ex art. 727 c.p., l’opinione prevalente e consolidata della giurisprudenza è che “ai fini dell’integrazione degli elementi costitutivi, non è necessaria la volontà del soggetto agente di infierire sull’animale, né che quest’ultimo riporti una lesione all’integrità fisica, potendo la sofferenza consistere in soli patimenti”.
In tale fattispecie specifica, la Cassazione ricorda come sia stato chiarito più volte come l’utilizzo del collare antiabbaio, producendo delle scosse o altri impulsi elettrici al cane mediante un comando a distanza, sia sufficiente per poter integrare il reato di cui all’art. 727 c.p., poiché è in grado di concretizzare una forma di addestramento fondata esclusivamente su uno stimolo doloroso, tale da incidere sensibilmente sull’integrità psicofisica dell’animale.
In aggiunta a ciò, i giudici della Corte ricordano come per quanto rileva la sussistenza dell’elemento oggettivo della fattispecie di cui all’art. 727 c.p., “è stato precisato che costituiscono maltrattamenti, idonei ad integrare il reato di abbandono di animali, non soltanto quei comportamenti che offendono il comune sentimento di pietà e mitezza verso gli animali per la loro manifesta crudeltà, ma anche quelle condotte che incidono sulla sensibilità psico-fisica dell’animale, procurandogli dolore e afflizione”.
Ad ogni modo, per “abbandono” non può intendersi la sola condotta di distacco volontario dall’animale, quanto anche qualsiasi condizione di trascuratezza, di disinteresse o di mancanza di attenzione, inclusi – pertanto – anche quei comportamenti colposi che possono essere volti a produrre indifferenza o inerzia.