Mancato riposo compensativo, la natura del danno per il lavoratore – guida rapida
- Il mancato godimento del riposo compensativo
- L’onere della prova
- I riposi compensativi
- Il danno da usura psicofisica
Con ordinanza 5 luglio 2024 n. 18390 la Corte di Cassazione Sezione Lavoro ha affermato che il recupero delle ore di mancato riposo compensativo non può essere frazionato. Deve invece essere continuativo o cumulabile con i riposi giornalieri e/o settimanali previsti.
Vediamo insieme quali sono le caratteristiche di questa pronuncia e del caso che ha condotto i giudici di legittimità ad assumere le relative motivazioni.
Il mancato godimento del riposo compensativo
Una società per azioni propone ricorso contro la sentenza della Corte d’Appello con cui veniva rigettato l’appello contro la sentenza del Tribunale. I giudici di prime cure avevano condannato la società al pagamento di una somma di denaro in favore di un lavoratore della Spa, a titolo di risarcimento del danno derivante dal mancato rispetto da parte della società datrice di lavoro dell’obbligo di attribuire nell’arco di tempo compreso in 5 anni, il riposo minimo giornaliero di 11 ore consecutive e di quello settimanale di 45 ore imposto dai Regolamenti CE 3820/85 e 561/06.
La Corte d’Appello, a fondamento della propria decisione, ha richiamato le precedenti pronunce in tema di interpretazione delle norme comunitarie ritenute corrette dalla Corte di Cassazione, respingendo le doglianze della società e affermando che gravava sul datore di lavoro l’onere di dimostrare il fatto astrattamente impeditivo o estintivo del diritto del lavoratore a conseguire il risarcimento del danno per mancato godimento dei riposi.
Viene dunque confermata la sentenza del Tribunale circa la sussistenza dell’an debeatur con quantificazione del danno non patrimoniale secondo equità.
L’onere della prova
Il primo motivo del ricorso in Cassazione censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.. Per il ricorrente, infatti, la Corte d’Appello avrebbe posto l’onere della prova del danno a carico della Spa anziché sul lavoratore. Secondo la Corte, una volta dimostrata la violazione il danno, si doveva presumere fino a prova contraria. Tuttavia, nel caso in esame sarebbe mancata la prova della violazione.
Per i giudici di legittimità il ricorso è però inammissibile perché non ricorre alcuna inversione dell’onere probatorio, bensì una mera contestazione della valutazione probatoria della Corte territoriale, che ha compiuto un accertamento argomentato in ordine all’esistenza del danno da mancato riposo, in assenza di prova del fatto impeditivo di un adeguato ristoro da parte del datore di lavoro, a suo carico, coerentemente con i principi espressi dalla stessa Corte di legittimità in più occasioni negli ultimi anni.
Il riposo compensativo
Con il secondo motivo di ricorso, la Spa denuncia la violazione e falsa applicazione ex articolo 360 n. 3 c.p.c. dell’articolo 8, par. 6, Reg. CE 561/2006 e art. 36 Cost. Per il ricorrente il tema dei riposi compensativi è stato immotivatamente superato dalla Corte d’Appello che non ha ritenuto di computare le giornate di riposo compensativo godute dal ricorrente nelle settimane successive al riposo non goduto, senza tuttavia giustificare tale scelta interpretativa.
Ebbene, per i giudici di legittimità anche questo motivo è infondato. Si richiama così il consolidato orientamento già espresso dalla Corte si tale questione.
Si osserva però innanzitutto come la Corte di appello abbia analizzato la normativa comunitaria, richiamando in particolare il paragrafo 7 del Reg. CEE che afferma
qualsiasi riposo preso a compensazione di un periodo di riposo settimanale ridotto è attaccato ad un altro periodo di riposo di almeno 9 ore.
Sulla scorta di tale normativa, la Corte avrebbe dunque correttamente affermato che il recupero delle ore di mancato riposo non può essere frazionato. Deve intendersi necessariamente continuativo o cumulabile con i riposi giornalieri e/o settimanali previsti.
Inoltre, la Corte d’appello ha affermato come il danno da usura non possa essere adeguatamente ristorato dalla successiva compensazione con riposi concessi in tempo successivo rispetto alla previsione legale e contrattuale della loro fruizione. La penosità da protratto espletamento della prestazione lavorativa – si legge ancora nella pronuncia – incide in misura più che proporzionale rispetto alla durata della prestazione richiedendo un crescendo dispendio di energie lavorative.
La fruizione intempestiva di riposi, anche in prosecuzione di altri, diventa pertanto inutile ed è così in contrasto con la normativa comunitaria. Non può inoltre ritenersi che il riposo compensativo possa essere frazionato e concesso a piacimento quando il riposo giornaliero e/o settimanale superi di qualche ora quello previsto dalla normativa di riferimento. La regolamentazione comunitaria sul regime delle compensazioni è infatti molto chiara nel domandare la continuità del riposo compensativo, da aggiungersi nella sua interezza a un riposo ordinario e nel distinguere l’uno dall’altro.
Per i giudici di legittimità, ancora, le superiori affermazioni appaiono corrette e coerenti con la giurisprudenza della Suprema Corte sia sul danno da usura lavorativa, sia sui contenuti della normativa comunitaria.
Correttamente, inoltre, la Corte d’appello avrebbe accertato il sistematico prolungamento dell’attività lavorativa, senza che fosse interrotta da adeguati riposi tra un turno e l’altro. Avrebbe altresì effettuato la corretta gestione regole sulla ripartizione dell’onere della prova. Ricade infatti sull’impresa datrice la prova del fatto impeditivo del determinarsi del pregiudizio da usura psicofisica quale la concessione di riposi compensativi, comunque apprezzata con valutazione negativa incentrata sulla sporadicità del ricorso alla compensazione tardiva, parimenti non contestata.
Il danno da usura psicofisica per mancato riposo compensativo
La Suprema Corte coglie l’occasione per ribadire come il danno da usura psicofisica risulta accertato sulla base di una valutazione che ha tenuto conto della gravosità della prestazione, apprezzata con riguardo alla frequenza dei mancati tempestivi riposi ed alla durata del complessivo periodo di riferimento. Il danno è stato inoltre determinato in via equitativa con riferimento alla disciplina contrattuale più congrua rispetto alla situazione di fatto.
Cass. n. 14710 del 14/07/20215
Si richiama alla memoria la sentenza n. 14710 del 14/07/2015, con cui questa Corte ha affermato in particolare che
la prestazione lavorativa, svolta in violazione della disciplina dei riposi giornalieri e settimanali (nella specie, la guida di autobus senza fruire di un riposo minimo di 11 ore giornaliere e un riposo settimanale di 45 ore consecutive) protrattasi per diversi anni, cagiona al lavoratore un danno da usura psico-fisica, di natura non patrimoniale e distinto da quello biologico, la cui esistenza è presunta nell'”an” in quanto lesione del diritto garantito dall’art. 36 Cost., mentre, ai fini della determinazione del “quantum”, occorre tenere conto della gravosità della prestazione e delle indicazioni della disciplina collettiva intesa a regolare il risarcimento “de qua”, da non confondere con la maggiorazione contrattualmente prevista per la coincidenza di giornate di festività con la giornata di riposo settimanale.
Cass. n. 12538 del 10/05/2019
Con ordinanza n. 12538 del 10/05/2019 è stato poi chiarito come
in tema di orario di lavoro, la prestazione lavorativa “eccedente”, che supera di gran lunga i limiti previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva e si protrae per diversi anni, cagiona al lavoratore un danno da usura psico-fisica, dovendo escludersi che la mera disponibilità alla prestazione lavorativa straordinaria possa integrare un “concorso colposo”, poiché, a fronte di un obbligo ex art. 2087 c.c. per il datore di lavoro di tutelare l’integrità psico-fisica e la personalità morale del lavoratore, la volontarietà di quest’ultimo, ravvisabile nella predetta disponibilità, non può connettersi causalmente all’evento, rappresentando una esposizione a rischio non idonea a determinare un concorso giuridicamente rilevante”.
Cass. n. 18884 del 15/07/2019
Ancora, con ordinanza n. 18884 del 15/07/2019 la Corte ha statuito che
la mancata fruizione del riposo giornaliero e settimanale, in assenza di previsioni legittimanti la scelta datoriale, è fonte di danno non patrimoniale che deve essere presunto, perché l’interesse del lavoratore leso dall’inadempimento del datore ha una diretta copertura costituzionale nell’art. 36 Cost., sicché la lesione del predetto interesse espone direttamente il datore medesimo al risarcimento del danno. La giurisprudenza di legittimità ha altresì affermato il diritto del dipendente alla fruizione del necessario riposo, che dovrà essere garantito dalla azienda, a prescindere da una richiesta, trattandosi di diritto indisponibile, riconosciuto dalla Carta costituzionale oltre che dall’art. 5 della direttiva 2003/88/CE; e che la mancata fruizione del riposo settimanale è fonte di danno non patrimoniale che deve essere presunto perché “l’interesse del lavoratore leso dall’inadempimento datoriale ha una diretta copertura costituzionale nell’art. 36 Cost., sicché la lesione dell’interesse espone direttamente il datore al risarcimento del danno…
Tutto ciò premesso, e richiamando altre pronunce coerenti con questo orientamento, che per brevità non si citano, il Collegio ha ritenuto di dare continuità ai principi affermati nelle sentenze sopra indicate condividendone le ragioni esposte, richiamate ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c.
Si conclude così affermando che il ricorso è privo di fondamento e viene così rigettato.