Il marchio – indice
- Cos’è
- L’oggetto
- Le classificazioni
- I requisiti
- La registrazione
- La durata
- La tutela giudiziale
- Il trasferimento
Il marchio è un segno distintivo tipico d’impresa destinatario di un’ampia e specifica disciplina rispetto agli altri segni distintivi. Lo scopo del marchio è quello di rendere individuabili sul mercato i prodotti e i servizi dell’imprenditore. In un mercato libero, il marchio è ciò che consente all’imprenditore di farsi conoscere e “valutare” dal consumatore competendo con gli altri nel sistema di concorrenza che lo caratterizza.
Le fonti normative che regolano il marchio sono il codice civile, agli articoli 2569-2574, e il Codice della proprietà industriale, il decreto legislativo 10 febbraio 2005 n.30, che vi dedica la sezione prima del capo II. Quest’ultima fonte è stata recentemente modificata ad opera del decreto legislativo n. 15 del 2019 con cui l’Italia ha dato attuazione ad alcune direttive dell’Unione Europea sui marchi d’impresa. Il marchio ha la possibilità di essere registrato, e il legislatore ha previsto all’uopo una speciale procedura amministrativa.
Cos’è il marchio: la sua funzione
Dal punto di vista pratico, se si pensa ad un prodotto, il marchio è quel segno impresso su di esso che lo distingue da un altro proveniente da un’altra impresa. Nel gergo comune si parla di solito di “marca” di un prodotto. La stessa cosa vale per i servizi. Il fatto che il marchio distingua un prodotto da un altro, basa le definizioni normative che il legislatore ha dato dello stesso, facendolo rientrare nella più ampia categoria dei segni distintivi.
Il codice civile all’articolo 2569 definisce il marchio come qualcosa di “idoneo a distinguere prodotti o servizi”. Nello stesso senso reca la sua definizione il Codice delle proprietà industriali all’articolo 7, primo comma, lettera a) e all’articolo 13 primo comma parlando di “carattere distintivo”. Si parla pertanto di funziona distintiva del marchio.
Si può individuare il corollario di tale funzione: il diritto di esclusiva sul marchio quando conferito dalla registrazione o, nel caso di marchio di fatto dall’uso intenso e diffuso dello stesso, che gli abbia fatto acquisire notorietà non meramente locale. Questo, cioè, può essere utilizzato da un solo soggetto affinché possa assolvere la sua funzione distintiva. Tale diritto è confermato dal codice civile all’articolo 2569 e dall’articolo 20 del Codice della Proprietà industriale;
L’oggetto del marchio
L’articolo 7 del Codice della proprietà industriale stabilisce che cosa può essere oggetto di marchio. La norma recita: “Possono costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa tutti i segni, in particolare le parole, compresi i nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre, i suoni, la forma del prodotto o della confezione di esso, le combinazioni o le tonalità cromatiche…”. Si tratta di segni tutti, o quasi, rappresentabili graficamente e che si possono distinguere in:
- denominativi, quando sono parole;
- figurativi, quando sono figure;
- misti, quando combinano parole e figure.
Il requisito della rappresentabilità grafica introdotto dal Codice nella norma, prima delle modifiche, tuttavia, è stato eliminato dal decreto legislativo 15 del 2019. Questo infatti ha mitigato il requisito della rappresentabilità affermando alla lettera b) dell’articolo come invece i marchi debbano essere idonei “ad essere rappresentati nel registro in modo tale da consentire alle autorità competenti ed al pubblico di determinare con chiarezza e precisione l’oggetto della protezione conferita al titolare“.
L’oggetto del marchio, inoltre, dev’essere qualcosa di estraneo al prodotto che identifica. Deve cioè consentirne l’identificazione, differenziarlo dagli altri, ma non costituirne una qualità. Marchio e prodotto devono essere due entità che possono almeno essere pensate separatamente. Si sottolinea infatti che la norma sopracitata si riferisce anche alla forma del prodotto o alla confezione di esso. Tali forme costituiscono dunque oggetto del marchio ma per non entrare in contrasto con il principio di estraneità del marchio al prodotto non devono essere, ai sensi dell’articolo 9 del Codice della Proprietà Industriale, forme imposte dalla natura stessa del prodotto.
Classificazioni
Prima di addentrarsi più nel dettaglio su alcuni dei principali temi legati al marchio, si ricorda come il legislatore e la giurisprudenza abbiano consentito di poter classificare il marchio sulla base di alcuni criteri di riferimento.
È dunque possibile classificare il marchio rappresentabile graficamente (non quindi il marchio sonoro) in base alla sua forma:
- nominativo;
- denominativo;
- figurativo o emblematico;
- misto o composto.
E, ancora, si può classificare il marchio in base all’oggetto:
- di servizio;
- in senso stretto.
Infine, possiamo anche classificare il marchio in base ai soggetti che lo utilizzano:
- di fabbrica;
- di commercio;
- individuale;
- collettivo o di categoria;
- di certificazione.
I requisiti del marchio
Chiarito quanto sopra, si sottolinea che il marchio – per dirsi tale – deve rispettare alcuni requisiti di validità. Fra questi si individuano:
- primo fra tutti, la capacità distintiva da cui discende l’originalità. Ad esempio, si possono scegliere delle parole di fantasia, prive di valore semantico e che non abbiano nulla a che vedere con il prodotto o il servizio offerto dall’impresa. Oppure inerenti allo stesso in parte. Si parla in questo caso di marchi espressivi, molto utilizzati nel settore farmaceutico;
- la novità, cioè il fatto che il marchio dev’essere diverso rispetto ad altri marchi e segni distintivi ad esso simili e sui quali siano già stati acquistati dei diritti (prima che la domanda di registrazione del nuovo marchio venga depositata) da parte di terzi. Tale requisito è espresso dall’articolo 12 del codice della proprietà industriale che stabilisce cosa non sia da considerarsi nuovo;
- la liceità ovvero la conformità alla legge, all’ordine pubblico e al buon costume di cui all’articolo 14 del Codice della proprietà industriale;
- la mancata violazione di altri diritti esclusivi dei terzi (ad esempio il diritto d’autore).
Nel caso in cui i requisiti di validità siano assenti in tutto o in parte, il marchio è nullo. Nell’ipotesi di marchio registrato che non ha il requisito della novità, o che viola un diritto di autore (altrui), di proprietà industriale o altro diritto esclusivo di terzi, è prevista una convalidazione, perché la nullità non può essere dichiarata se esso è stato registrato in buona fede, e il suo uso pubblico sai stato consapevolmente tollerato per cinque anni senza contestazioni.
Cosa non può essere registrato come marchio
Il Codice della Proprietà Industriale pone in evidenza alcuni segni che mancano dei requisiti previsti per la validità del marchio e che pertanto non possono essere oggetto di registrazione. Fra questi si segnalano:
- tutti quelli che non hanno capacità distintiva. Questa manca nei casi previsti dalla lettera a) del primo comma dell’articolo 7 e cioè quando un segno non è in grado di distinguere il prodotto di un’impresa da quello di un’altra. E in quelli di cui al primo comma dell’articolo 13, ovvero i segni di uso comune nel linguaggio corrente o in ambito commerciale e quelle formati esclusivamente da denominazioni generiche o indicazione descrittive;
- quelli che non hanno il requisito della novità ovvero quelli di cui alle lettere a), b), c), d), e) e f) del primo comma dell’articolo 12. Si tratta di marchi già registrati o comunque presenti sul mercato in quanto già usati e noti in generale, cioè in certo ambito territoriale. I concetti di preuso e notorietà non sono collegati l’uno all’altro, ben può essere che un marchio già usato non sia noto. Non sempre, inoltre, il preuso del marchio esclude la novità;
- quelli privi di liceità. Ad elencarli è l’articolo 14 del Codice della proprietà industriale alle lettere a) e b) . Si tratta di quelli contrari alla legge, all’ordine pubblico e al buon costume e di quelli decettivi o ingannevoli. Fra le ipotesi di illiceità ci sono anche alcuni marchi consistenti in stemmi, bandiere, emblemi, sigle o denominazioni delle organizzazioni internazionali governative di cui siano membri alcuni paesi dell’Unione Europea. Ad elencarli è l’articolo 10 del Codice;
- quelli che violano i diritti dei terzi di cui alla lettera c) – c-quinquies) del primo comma dell’articolo 14.
Chi può registrare un marchio e come
Come stabilito dall’articolo 2569 del codice civile, ogni imprenditore ha diritto di avvalersi in modo esclusivo del marchio. Ma la norma che più precisamente individua i soggetti legittimati a registrare un marchio è l’articolo 19 del Codice della proprietà industriale. Questo stabilisce che “Può ottenere una registrazione per marchio d’impresa chi lo utilizzi o si proponga di utilizzarlo, nella fabbricazione o commercio di prodotti o nella prestazione di servizi della propria impresa o di imprese di cui abbia il controllo o che ne facciano uso con il suo consenso”. La norma sembra essere destinata a chi è imprenditore o si adopera per diventarlo, in realtà è rivolta a chiunque purché il marchio venga registrato per essere utilizzato come tale e non per altri scopi.
Il codice della proprietà industriale, tuttavia, individua alcuni limiti agli articoli 7, 8 e 14 con riguardo all’uso dei nomi nella registrazione del marchio di cui non ci si sofferma in questa sede.
L’acquisto del diritto all’uso esclusivo di un marchio si può ottenere in due modi:
- mediante il deposito della domanda di registrazione presso l’Ufficio Italiano Brevetti o Marchi oppure presso le Camere di Commercio industria e artigianato o presso gli uffici e gli enti pubblici individuati con decreto del Ministro dello sviluppo economico. A stabilirlo è l’articolo 147 del Codice della proprietà industriale;
- attraverso l’uso di fatto, intenso e diffuso, che faccia acquisire al marchio notorietà non meramente locale. Se invece il preuso non produca tale effetto, ai sensi in particolare, dell’articolo 2571 del codice civile, colui che ha fatto uso di un marchio non registrato può continuare ad utilizzarlo, nonostante la successiva registrazione da parte di altri, pur nei limiti in cui anteriormente se ne è avvalso.
Quanto dura un marchio
Una volta depositata la domanda di registrazione del marchio, che può averne ad oggetto uno solo, l’ufficio verifica la regolarità della stessa in relazione ai requisiti formali della domanda, ai requisiti di validità del marchio (eccezion fatta per il requisito della novità che deve essere fatto valere dal titolare del diritto anteriore mediante opposizione o azione giudiziale di nullità). Effettuate tali verifiche l’ufficio pubblica la domanda nel Bollettino Ufficiale dei marchi d’impresa di cui all’articolo 187 del Codice della proprietà industriale e ritiene il marchio registrabile. Da tale momento iniziano a decorrere i tre mesi entro i quali il soggetto titolare del diritto anteriore con cui la domanda di marchio è in conflitto può fare opposizione alla registrazione. Decorso inutilmente questo periodo o in caso di rigetto dell’opposizione l’ufficio concede la registrazione. Gli effetti della registrazione, ovvero l’acquisto del diritto, retroagiscono al momento in cui la domanda viene depositata.
Il diritto di esclusiva sul marchio ha una durata di 10 anni che decorre dalla data del deposito della domanda. Ad ogni scadenza, tuttavia, il titolare del diritto può rinnovare la registrazione ed è dunque consentito farlo un numero illimitato di volte.
Tutela giudiziale
Il titolare di un marchio registrato, può esercitare quattro diverse tipologie di azioni di tutela giudiziale del marchio, quali:
- rivendicazione;
- contraffazione;
- concorrenza sleale.
Delle quattro azioni di cui sopra, val la pena spendere qualche parola in più nei confronti dell’azione di contraffazione.
Con l’azione di contraffazione, infatti, il titolare della privativa industriale – può proporre diverse domande: quella di accertamento della violazione del proprio diritto, e conseguentemente di inibitoria, di risarcimento del danno, di ritiro dei prodotti dal commercio e così via. Prima della proposizione dell’azione di contraffazione o eventualmente, pendente la causa, il soggetto danneggiato può richiedere provvedimenti di natura cautelare, come la descrizione, il sequestro e l’inibitoria.
Trasferimento
Ai sensi dell’articolo 2573 del codice civile, il marchio può essere trasferito. Il trasferimento del marchio può avvenire in tre distinte modalità.
La prima, legata alla cessione a titolo definitivo, può aversi in maniera indipendente o meno rispetto alla cessione di altri elementi aziendali. L’ultimo comma dell’articolo 2573 del codice civile infatti stabilisce che “Quando il marchio è costituito da un segno figurativo, da una denominazione di fantasia o da una ditta derivata, si presume che il diritto all’uso esclusivo di esso sia trasferito insieme con l’azienda”.
In questo caso, il trasferimento può non solamente essere indipendente dalla cessione di altri elementi aziendali, bensì può essere altresì parziale, pur non potendo generare degli inganni nei confronti dei terzi.
Le altre modalità di trasferimento del marchio sono invece attribuibili alle ipotesi di:
- licenza: concessione in godimento temporaneo, anche non esclusiva;
- merchandising: concessione in uso a terzi di un marchio celebre.
Il trasferimento o la concessione della licenza possono tuttavia avvenire purché da essi non derivi “inganno in quei caratteri dei prodotti o servizi che sono essenziali nell’apprezzamento del pubblico”.
Ai sensi dell’articolo 23 del Codice della Proprietà Industriale, il trasferimento a titolo definitivo può avere ad oggetto la totalità o parte dei prodotti e servizi per i quali è stato registrato. La stessa cosa vale per la licenza che inoltre può essere concessa limitatamente a parte del territorio nazionale a condizione che, in caso di licenza non esclusiva, il licenziatario si obblighi espressamente ad usare il marchio per contraddistinguere prodotto o servizi eguali a quelli corrispondenti messi in commercio o prestati nel territorio dello Stato con lo stesso marchio dal titolare o da altri licenziatari.