Millantato credito e traffico di influenze illecite: i collegamenti secondo la Cassazione – guida rapida
- Il millantato credito in un trasferimento di lavoro
- L’evoluzione dell’art. 346 c.p.
- La verifica del nesso di continuità normativa
Esiste una sorta di continuità tra il reato di millantato credito e quello di traffico di influenze illecite? A chiederselo è l’ordinanza n. 31478/2023, che traccia un interessante rapporto tra le due ipotesi.
Il millantato credito in un trasferimento di lavoro
Come nostra abitudine, cominciamo riepilogando brevemente i fatti. L’imputato (Mazzarella), tramite il proprio difensore, ricorre contro una sentenza emessa dalla Corte d’Appello che riformando la sentenza del Tribunale di prime cure aveva riqualificato il fatto contestato ex art. 346 bis c.p. (ovvero, traffico di influenze illecite), rideterminando conseguentemente la pena da irrogare.
In particolare, all’imputato – detenuto presso la Casa circondariale di Frosinone – venne contestato, in concorso con un agente di Polizia penitenziaria non identificato e in servizio presso la stessa Casa, di aver indotto un altro detenuto (De Santis), a cui era stato prospettato l’imminente trasferimento in un altro istituto penitenziario in Sardegna, a promettere la somma di euro 3.000 al fine di evitare il trasferimento. La somma sarebbe poi stata suddivisa tra l’imputato e l’agente di Polizia, rimasto ignoto.
Il Tribunale di prime cure, sulla base di tale contestazione, condannò il ricorrente per il reato ex art. 319-quater cod. pen. (induzione indebita a dare o promettere utilità), con una sentenza poi confermata dalla Corte d’Appello. A seguito di impugnazione da parte dell’imputato, la sentenza veniva poi annullata con rinvio dalla Cassazione.
L’annullamento con rinvio
Nella sua sentenza con cui ordinava l’annullamento con rinvio la Cassazione enunciava che:
la Corte di appello e il Tribunale, con motivazioni obiettivamente sincopate, non hanno affatto accertato e spiegato se effettivamente esistesse un ordine di trasferimento per il De Santis presso un’altra struttura carceraria, se il progetto di trasferimento fosse reale o fittizio, cosa accadde dopo che De Santis accettò la proposta di Mazzarella, se e come un assistente di polizia penitenziaria potesse incidere sulla possibilità di trasferire un detenuto ovvero se l’assistente dovesse svolgere solo compiti di mediazione.
Né, ancora, è stato chiarito a chi denaro versato a Mazzarella dovesse essere corrisposto, se Mazzarella davvero agiva in concorso con un pubblico agente ovvero “spese”, con il contributo di un assistente di polizia penitenziaria, un’apparente vicinanza ad agenti di polizia per accreditarsi nei confronti di De Santis ed indurre questo a corrispondere denaro sulla base di un falso convincimento e cioè che Mazzarella davvero potesse “sistemare” tutto.
Si leggeva ancora, nella sentenza rescindente, che:
una motivazione gravemente viziata, una ricostruzione fattuale chiaramente lacunosa, una applicazione della legge penale errata, non potendo nella specie né ritenersi raggiunta la prova dell’accordo fra indotto ed induttore e neppure quella dell’abuso dei poteri da parte del pubblico agente; né, nel ragionamento dei Giudici di merito, è stato spiegato perché si debba escludere che i fatti, ove correttamente accertati, possano essere ricondotti ad altre fattispecie di reato quali la truffa o il traffico di influenze illecite.
L’impugnazione
Si arriva dunque alla Corte d’Appello che, in esito del giudizio di rinvio, ha riqualificato i fatti ai sensi dell’art. 346 bis cod. pen., ritenendo così la continuità normativa della fattispecie rispetto all’abrogato reato di millantato credito previsto dall’art. 346 cod. pen., vigente alla data di commissione del fatto contestato.
Contro tale sentenza il ricorrente propone due motivi di impugnazione:
- con il primo, sostiene che la configurazione del reato di traffico di influenze illecite deve essere esclusa se non è accertata una situazione fattuale che è caratterizzata dalla effettiva esistenza di una relazione e di una capacità di condizionare o, comunque, di orientare la condotta del pubblico ufficiale. Effettività di relazione che l’imputato assume come mancante e comunque non dimostrata nel caso concreto;
- con il secondo motivo, strettamente connesso al primo, si sostiene in maniera più specifica che non si ha rapporto di continuità tra il reato per il quale l’imputato ha riportato condanna e quello di millantato credito, previsto e punito dall’art. 346 cod. pen., abrogato dall’art. 1, comma 1, lett. s), legge 9 gennaio 2019 n. 3. A sostegno di ciò, il ricorrente muove dalla dedotta insufficienza della promessa di un interessamento o della mera vanteria per configurare il reato ex art. 346 bis cod. pen., sostenendo che non può ritenersi la continuità di tale reato rispetto a quello di millantato credito, poiché in quest’ultima fattispecie non risulta ricompresa la condotta di chi – attraverso artifici o raggiri – riceve o si fa dare o promettere denaro o altra utilità con il pretesto di dover comprare il pubblico ufficiale.
Il legale del ricorrente
Per il legale del ricorrente, invece, il comportamento oggetto di contestazione sarebbe una forma di raggiro nei confronti del soggetto passivo, indotto da una falsa rappresentazione della realtà, a un’intesa che lo impegnerebbe a una prestazione patrimoniale, una forma di millantato credito che si sostanzia nella specificazione del delitto ex art. 640 c.p., non riconducibile dunque al reato ex art. 346 bis c.p. per la sussistenza del quale sarebbe necessario dimostrare l’effettivo sfruttamento di una relazione.
L’evoluzione dell’art. 346 c.p.
Nelle sue considerazioni, l’ordinanza parte dalla ricostruzione dell’evoluzione dell’art. 346 cod. pen..
Così, si rammenta come l’art. 346 cod. pen. nella versione vigente all’epoca del fatto recitasse:
“Chiunque, millantando credito presso un pubblico ufficiale, o presso un pubblico impiegato che presti un pubblico servizio, riceve o fa dare o fa promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione verso il pubblico ufficiale o impiegato, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 309 a curo 2.065.
La pena è della reclusione .da due a sei anni e della multa da curo 516 a euro 3.098, se il colpevole riceve o fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, col pretesto di dover comprare il favore di un pubblico ufficiale o impiegato, o di doverlo remunerare.
La norma è stata poi abrogata dall’art. 1, comma 1, lett. s), l. 9 gennaio 2019 n. 3, a decorrere dal 31 gennaio dello stesso anno.
Il traffico di influenze illecite
L’art. 346 bis cod. pen. rubricata “Traffico di influenze illecite”, aggiunto successivamente dall’art. I. 1, comma 75, lett. r), l. 6 novembre 2012, n. 190, prevedeva invece che:
Chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 319 e 319-ter, sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di un pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio ovvero per remunerarlo, in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all’omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio, è punito con la reclusione da uno a tre anni. La stessa pena si applica a chi indebitamente dà o promette denaro o altro vantaggio patrimoniale. (…).
La nuova versione
La nuova versione dell’art. 346 bis cod. pen., introdotta dalla legge n. 3 del 2019 e in vigore dal 31 gennaio dello stesso anno, prevede invece che:
Chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 318, 319, 319-ter e nei reati di corruzione di cui all’articolo 322-bis, sfruttando o vantando relazioni esistenti o asserite con un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322-bis, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione illecita verso un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322-bis, ovvero per remunerario in relazione all’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, è punito con la pena della reclusione da un anno a quattro anni e sei mesi. La stessa pena si applica a chi indebitamente dà o promette denaro o altra utilità. (…).
Stando a quanto contenuto nella Relazione al disegno di legge, uno degli scopi principali di questo intervento è stato quello di adeguare la normativa interna agli obblighi imposti dalla Convenzione sulla corruzione del Consiglio d’Europa del 27 gennaio 1999.
La verifica del nesso di continuità normativa
Con queste premesse, la Cassazione si trova a dover valutare se esista o meno un nesso di continuità normativa tra la formulazione vigente dell’art. 346 bis cod. pen. e l’abrogato art. 346 cod. pen. sono principalmente due le interpretazioni contrastanti in legittimità.
Il primo orientamento
Il primo orientamento propende per la continuità normativa. Per questo orientamento, il legislatore avrebbe recepito la Convenzione succitata, riscrivendo la formulazione del delitto di traffico di influenze illecite ex art. 346 bis cod. pen., inglobandovi la condotta sanzionata sotto forma di millantato credito nella disposizione precedente.
In relazione alla sola condotta passiva, l’art. 346-bis cod. pen. punisce la condotta di chi “sfruttando o vantando relazioni esistenti o asserite con un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322-bis, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità come prezzo della propria mediazione illecita verso un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322-bis, ovvero per remunerarlo in relazione all’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri“.
Per chi sostiene tale orientamento, la nuova ipotesi del traffico di influenze illecite punisce anche la condotta del soggetto che si sia fatto dare o promettere da un privato vantaggi personali – di natura economica o meno -, rappresentandogli la possibilità di intercedere a suo vantaggio presso un pubblico funzionario, a prescindere dall’esistenza o meno di una relazione con quest’ultimo. Il tutto, a condizione che l’agente non eserciti effettivamente un’influenza sul pubblico ufficiale o sul soggetto equiparato e non vi sia mercimonio della pubblica funzione, dandosi, altrimenti, luogo a taluna delle ipotesi di corruzione previste da detti articoli.
Pertanto, da questa lettura interpretativa della norma vi è un’equiparazione sul piano penale della mera vanteria di una relazione o di credito con un pubblico funzionario soltanto asserita ed in effetti insussistente (appunto, millantata) alla rappresentazione di una relazione realmente esistente con il pubblico ufficiale da piegare a vantaggio del privato.
Il principio di diritto
Si può dunque affermare il principio di diritto secondo cui, in rapporto alla condotta di chi, vantando un’influenza – effettiva o meramente asserita – presso un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio, si faccia dare denaro e/o altre utilità come prezzo della propria mediazione, sussiste piena continuità normativa tra la fattispecie di cui all’art. 346 cod. pen. formalmente abrogata dall’art. 1, comma 1 lett. s), legge 9 gennaio 2019, n. 3, e la fattispecie di cui all’art. 346-bis cod. pen., come novellato dall’art. 1, comma 1 lett. t), stessa legge.
Il secondo orientamento
Di diverso avviso il secondo orientamento, che trae origine dalla sentenza n. 5221 del 19/09/2019 della Corte di Cassazione, che propende per la negazione della continuità normativa. La sentenza muove proprio dal richiamo della sentenza succitata, pronunciata pochi mesi prima, sottolineando come con essa la Corte di Cassazione avesse rilevato la sussistenza della continuità normativa tra il reato di millantato credito, formalmente abrogato, e quello di traffico di influenze di cui al novellato art. 346-bis cod. pen., ritenendo che in quest’ultima fattispecie fossero ricomprese le condotte già previste in detta norma penale, incluse quelle di chi, vantando un’influenza, effettiva o meramente asserita, presso un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, si faccia dare denaro ovvero altra utilità quale prezzo della propria mediazione.
Il richiamo veniva però premesso per dare conto delle ragioni per cui si riteneva dì addivenire alla conclusione opposta, in dichiarato contrasto con il precedente pronunciamento.
Si legge infatti nella sentenza che:
Diversamente, il Collegio ritiene che vada esclusa la continuità normativa tra la fattispecie di cui all’art. 346, secondo comma, cod. pen. e l’attuale art. 346-bis cod. pen., in relazione alle condotte contestate al ricorrente nelle imputazioni sub A), C) ed E), che la Corte di appello ha ritenuto assorbissero le rispettive contestazioni di truffa (di cui ai capi B, D, ed F); fatti che hanno visto il ricorrente richiedere somme dì denaro alle parti offese [.,.] facendo credere a costoro che le stesse dovessero essere consegnate a pubblici ufficiali o impiegati.
Truffa e millantato credito
Parte della giurisprudenza ha poi osservato come, in continuità con conformi precedenti, il reato di truffa debba assorbito in quello di millantato credito previsto dall’art. 346 cod. pen. proprio in ragione dell’impossibilità di configurare il concorso formale tra i due reati. La condotta sanzionata dall’art. 346 cod. pen consiste infatti in una forma di raggiro nei confronti del soggetto passivo, indotto ad un accordo che lo impegna ad una prestazione patrimoniale in quanto determinato da una falsa rappresentazione della realtà.
La ragione per cui le due fattispecie sono ritenute ipotesi autonome risiede nel fatto che la norma in esame censura il comportamento di chi si fa dare o promettere per sé o per altri “denaro o altra utilità, col pretesto di dover comprare il favore del pubblico ufficiale o impiegato, o di doverlo remunerare”, condotta che, a differenza di quella ricompresa nella fattispecie di cui al primo comma dell’art. 3456 cod. pen., non può che realizzarsi attraverso artifici e raggiri propri della truffa, contegno fraudolento ben evidente là dove la norma fa espresso e significativo riferimento al “pretesto”, termine che evoca la rappresentazione di una falsa causa posta a base della richiesta decettiva idonea ad indurre in errore la vittima che si determina alla prestazione patrimoniale.
Il comportamento truffaldino è poi palese nella parte in cui ciò che assume rilevanza nella complessiva dinamica dell’operazione che si conclude con depauperamento patrimoniale della vittima non è tanto l’ipotetico futuro rapporto (considerato inesistente) tra il millantatore e il pubblico funzionario, bensì la tutela patrimoniale accordata dalla norma al truffato.
Il comportamento del legislatore
Seppure risulta evidente che intenzione del legislatore fosse quella di inglobare la fattispecie di cui all’art. 346, primo e secondo comma, nella fattispecie di cui all’art. 346-bis cod. pen., diversi sono i dati che depongono per una discontinuità tra la vecchia fattispecie di cui all’art. 346, comma secondo, e quella di cui all’attuale art. 346-bis cod. pen..
In particolare, bisogna osservarsi come non sia indifferente la circostanza che la norma che ingloba la fattispecie abrogata preveda la punizione di condotte afferenti al traffico di influenze illecite, che il legislatore ha ritenuto essere prodromiche alle più gravi condotte di corruzione, “circostanza che è resa ancor più evidente proprio dalla riserva di legge posta ad apertura della norma con riferimento agli artt. 318, 319, 319-ter nei reati di cui all’art. 322-bis cod. pen., anche l’attuale inserimento con la medesima legge del 9 gennaio 2019, n. 3, dell’art. 318 cod. pen., in precedenza non previsto, tra le norme ricomprese nella riserva di legge, rafforza tale convincimento”.
Tramite la nuova ipotesi di reato il legislatore ha dunque inteso anticipare la soglia di punibilità rispetto a condotte che difficilmente avrebbero potuto integrare il delitto di corruzione (neppure nella forma tentata) e che fanno chiaramente presagire come la tutela sia eminentemente volta a salvaguardare l’attività della pubblica amministrazione nelle sue varie articolazioni nazionali ed internazionali.
“Sotto tale aspetto, allora, non può che osservarsi che un reato che era rivolto in maniera preponderante alla tutela del patrimonio della vittima truffata dal «venditore di fumo», difficilmente si presta a realizzare un vulnus alla pubblica funzione e di necessitare di una tutela rispetto a fatti che nessun collegamento, sia in astratto che in concreto, potrebbero avere con gli interessi pubblici teleologicamente tutelati dalla norma penale in esame” – aggiunge l’ordinanza.
La punizione con identica pena
In secondo luogo, bisogna osservarsi come il comma secondo dell’art. 346- bis cod. pen. abbia previsto la punizione con identica pena (da un anno a quattro anni e sei mesi di reclusione) del soggetto che indebitamente dà o promette denaro o altra utilità, con una fattispecie penale che sembrerebbe conciliarsi piuttosto male con un’ipotesi – seppur particolare – di truffa.
Di fatti, considerato che l’agente pone in essere raggiri per indurre il soggetto passivo in errore sull’esistenza di un rapporto con un soggetto pubblico in realtà inesistente, non si comprende come possa ipotizzarsi da parte del «truffato» un’aggressione al bene giuridico che la norma intende preservare.
È dunque preponderante, con lo scopo di negare la continuità normativa a condotte in precedenza ricomprese nel secondo comma, e anche se in presenza di una esplicitata intenzione del legislatore di una “abrogatio sine abolitione”, la non esatta corrispondenza tra la condotta in precedenza prevista dalla norma abrogata e quella attualmente inglobata nel primo comma dell’art. 346-bis cod. pen., nella parte in cui è stato riprodotto il sintagma:
sfruttando o vantando relazioni esistenti o asserite con un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’art. 322-bis cod. pen., indebitamente fa dare o promettere a sé o ad altri, denaro o altra utilità (…) per remunerarlo in relazione all’esercizio delle sui funzioni o dei suoi poteri.
Il pretesto
Per tale orientamento, la mancata riproposizione del termine pretesto contenuto nella precedente ipotesi di reato o altro di natura equipollente, fondava il carattere autonomo della fattispecie di reato di cui all’art. 346, comma secondo, cod. pen. Una omissione che, peraltro, non si può valutare certamente come indifferente ove si scelga di assegnare alla parte della norma che fa riferimento al vanto di relazioni asserite (“vantando relazioni […] asserite“), il significato di ritenere che tali relazioni siano meramente enunciate dall’agente.
Sotto questo aspetto si osserva anche, aggiunge l’ordinanza, come il riferimento “al vanto a relazioni asserite” non debba intendersi come comportamento sovrapponibile a quello posta in essere con l’inganno. Bisogna infatti ritenersi come l’enunciazione da parte del mediatore-faccendiere al rapporto con i pubblici poteri non sia rivolto ad indurre in errore per mezzo di artifici e raggiri il cliente, quanto necessariamente a prospettare, seppure non in termini di certezza, la concreta possibilità di influire sull’agente pubblico, condotta tesa non a sfruttare una relazione inesistente ma a vantare la concreta possibilità di riuscire ad influenzare l’agente pubblico, condotta che si pone nella fase immediatamente prodromica rispetto ad un eventuale reale coinvolgimento dell’agente pubblico, circostanza che, qualora si realizzi, integra le fattispecie di cui agli artt. 318, 319, 319-ter e nei reati di corruzione di cui all’art. 322-bis cod. pen.
Si riconosce dunque che non vi è continuità normativa tra le due fattispecie.
Il rinvio alla Corte
La sentenza è stata così massimata
Non sussiste continuità normativa tra il reato di millantato credito di cui all’art. 346, comma secondo, cod. pen., abrogato dall’art. 1, comma 1, lett. s), legge 9 gennaio 2019, n. 3, e quello di traffico di influenze illecite di cui al novellato art 346-bis cod. pen., in quanto in quest’ultima fattispecie non risulta ricompresa la condotta di chi, mediante raggiri o artifici, riceve o si fa dare o promettere danaro o altra utilità, col pretesto di dovere comprare il pubblico ufficiale o impiegato o doverlo comunque remunerare, condotta che integra, invece, il delitto di cui all’art. 640, comma primo, cod. pen.
Sulla base di ciò, il collegio ha rimesso alle Sezioni Unite la seguente questione controversa sul millantato credito e le influenze illecite, che appare rilevante ai fini della decisione:
Se sussista continuità normativa tra il reato di millantato credito’ di cui all’art. 346, comma secondo, cod. peri., abrogato dall’art. 1, comma 1, lett. s), legge 9 gennaio 2019, n. 3, e quello di traffico di influenze illecite di cui al novellato art. 346- bis cod. pen.