Nullità della promessa di pagamento di un debito altrui – indice
- L’impegno al pagamento di un debito altrui
- I motivi di ricorso della parte
- La promessa di pagamento
- L’inidoneità a costituire nuove obbligazioni
- Il principio di diritto
Con sentenza Cassazione Civile, Sez. II, 10 novembre 2023, n. 31296, la Suprema Corte ha affermato il principio della nullità della promessa unilaterale di pagamento di un debito altrui, intendendo come tale quella dichiarazione con cui un soggetto si obbliga nei confronti di un altro ad effettuare un pagamento nei suoi confronti.
In particolare, con la pronuncia in commento, i giudici della Suprema Corte hanno analizzato l’ipotesi della promessa unilaterale di pagamento di un debito altrui, configurandola come un impegno di pagamento assunto da un terzo per un debito di altri, affermandone l’inidoneità a produrre effetti obbligatori in capo al promittente, in favore del creditore.
I giudici hanno infatti affermato che questa promessa debba considerarsi nulla, poiché non rientrante nello schema tipico della promessa di pagamento di cui all’art. 1988 c.c., che ha per oggetto il debito del promittente e non quello di altri soggetti.
In dettaglio, la sostanziale differenza che sussiste fra la promessa unilaterale di pagamento di cui all’art. 1988 c.c. e la promessa di un debito altrui, è residente nella sussistenza di un rapporto obbligatorio alla base, che costituisce il presupposto della promessa di pagamento del debitore.
La Cassazione ha dunque chiarito come tale promessa abbia carattere meramente confermativo di un rapporto obbligatorio preesistente, e come tale è idonea solo a determinare l’inversione dell’onere della prova tra le parti del rapporto obbligatorio. Non può però essere elevata a fonte autonoma di obbligazione e non può nemmeno produrre la modificazione soggettiva dell’obbligazione.
L’impegno al pagamento di un debito altrui
Proviamo a riassumere brevemente i fatti.
Con atto di citazione del 21 giugno 2013, una società a responsabilità limitata conveniva un uomo per sentire pronunciare la condanna del convenuto al pagamento, in favore dell‘attrice, della somma di euro 37.022,13, oltre interessi ex d.lgs. n. 231/2002, ovvero, in via subordinata, della minore somma accertata all’esito della trattazione della causa, in ragione dell’impegno al pagamento espressamente assunto con una mail, in relazione al corrispettivo della fornitura di macchinari commissionata come rappresentante fiduciario di una società con sede in Lussemburgo.
L’uomo si costituiva in giudizio, eccependo I’incompetenza territoriale del Tribunale adito, la sua carenza di legittimazione passiva e, in ogni caso, la non riferibilità alla sua persona del debito azionato nonché, in estremo subordine, I’infondatezza della domanda spiegata. Domandava in via riconvenzionale condizionata, che fosse pronunciata la risoluzione del contratto per totale inadempienza della società nella realizzazione delle macchine ad essa commissionate e, in via ulteriormente subordinata, che il prezzo per la realizzazione dei macchinari fosse ridotto al valore di rottame di ferro o al diverso valore ritenuto di giustizia.
L’assunzione di obbligazioni
Il Tribunale adito rigettava la domanda spiegata dall’attrice, escludendo che in forza della e-mail del 5 luglio 2012 e delle altre circostanze risultanti in atti, l’uomo avesse assunto I’obbligo di pagare il corrispettivo richiesto.
La società proponeva appello, lamentando I’erronea ricostruzione dei fatti prospettata dalla decisione impugnata, in ordine alla negazione di valenza negoziale dell’assunzione di debito di cui alla dichiarazione del 5 luglio 2012.
Si costituiva l’uomo, che resisteva all’appello e ne chiedeva il rigetto, escludendo che la sua dichiarazione avesse natura negoziale e prospettando, in ogni caso, l’illiceita e/o carenza di causa della dichiarazione, ribadendo altresì in via assolutamente subordinata, l’eccezione di inadempimento.
La Corte d’appello di Trieste accoglieva l’appello e condannava l’uomo al pagamento, in favore della società, della somma di euro 37.022,13, oltre interessi ex d.lgs. n. 231/2002 dalla domanda al saldo.
Le ragioni della Corte territoriale
A sostegno di tale pronuncia la Corte territoriale rilevava che la dichiarazione resa dall’uomo con l’email, quanto all’individuazione del soggetto tenuto al pagamento delle forniture, aveva certamente valenza negoziale, concretizzandosi in una promessa di pagamento del debito altrui nell’ambito dell’esecuzione di un rapporto sostanziale ben noto alle parti.
Si rilevava altresì come tale assunzione discendesse dalla correttezza della fatturazione effettuata a nome dell’uomo stesso, fatto irrilevante ai fini della validità della manifestazione di volontà in esame, attenendo piuttosto agli adempimenti di natura meramente fiscale.
Ancora, nella pronuncia si faceva riferimento al fatto che I’espressione utilizzata “per semplicità di gestione” non escludeva affatto la volontà dell’uomo di obbligarsi personalmente, in quanto avrebbe avuto il significato di mero riferimento ad uno più spedito svolgimento del rapporto, non incompatibile con la volontà di impegnarsi di persona al pagamento del dovuto nei confronti del creditore.
Ulteriormente, si riferiva come, quanto all’eccezione di inadempimento, fosse inammissibile, sia perché riferita ad un‘inadempienza pressoché definitiva, sia perché la facoltà di proporre domande o eccezioni spettava alla parte sostanziale del rapporto. Infine, non si poteva estendere al terzo — che avesse spontaneamente promesso il pagamento di un debito altrui – la legittimazione a proporre l’eccezione di inadempimento.
Contro la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione l’uomo, con la società che ha resistito con controricorso.
I motivi del ricorso della parte
Riassumiamo ora brevemente i motivi del ricorso, con cui l’uomo denuncia:
- il vizio di motivazione, in assenza del rispetto del minimo costituzionale, con violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., per avere la Corte di merito erroneamente ritenuto che la dichiarazione resa avesse valenza negoziale;
- l’omesso esame dell’eccezione sull’assenza o illegittimità della causa, con violazione dell’art. 112 c.p.c.;
- il vizio di motivazione, in assenza del rispetto del minimo costituzionale, con violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., per avere la Corte territoriale mancato di esaminare la rilevanza dell’obbligo di fatturazione in relazione al presunto impegno di pagare;
- in via di assoluto subordine, I’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in ordine all’interconnessione voluta tra fatturazione e presunta assunzione di debito. Per il ricorrente la sua dichiarazione avrebbe avuto il valore di una mera dichiarazione di intenti, atta ad invitare alla fatturazione direttamente verso il deducente solo nell’ipotesi in cui questi fosse divenuto cessionario della posizione della parte sostanziale del rapporto. Per l’istante non vi sarebbe alcuna ragione economica dell’assunzione dell’obbligazione, tale da rendere causalmente giustificabile l’impegno sul piano negoziale.
La promessa di pagamento
Occupiamoci in questa sede dell’unico motivo ritenuto fondato dalla Suprema Corte, quello di nostro maggiore interesse.
La Corte di merito aveva già sostenuto che, attraverso la e-mail del 5 luglio 2012, l’uomo avesse promesso il
pagamento del debito della sostanziale parte interessata, con effetti vincolanti nei confronti della società creditrice, mentre non vi è alcun riferimento nella pronuncia alle forme di successione nel rapporto obbligatorio dal lato passivo, che presuppongono la stipulazione di un contratto.
I giudici della Suprema Corte ricordano che l’espromissione si distingue dalla promessa di pagamento, disciplinata dall‘art. 1988 c.c., perché quest’ultima si colloca fra i negozi unilaterali, mentre l’altra è considerata un contratto che è contraddistinto dall’incontro delle volontà di chi si pone come nuovo debitore, al fianco, e talora al posto, del debitore originario, e chi lo accetta come tale.
Differenze con l’espromissione
Dunque, nell’espromissione, che si perfeziona verso il creditore, senza bisogno di un suo atto di accettazione, quando egli venga a conoscenza dell’impegno assunto dall’espromittente, la causa del contratto è rappresentata dall’assunzione del debito altrui. Diventano irrilevanti, invece, sia i rapporti interni intercorrenti tra il debitore e I’assuntore, sia le ragioni che hanno determinato l’intervento di quest’ultimo, essendo invece necessario che il terzo, presentandosi al creditore, non ponga a fondamento del proprio impegno un preesistente accordo con I’obbligato.
La promessa di pagamento di cui all’art. 1988 c.c., a cui si riferisce la Corte territoriale, ha un effetto meramente confermativo di un preesistente rapporto fondamentale di debito e, pertanto, è inidonea a costituire nuove obbligazioni ed a porre in essere una successione a titolo particolare nel suddetto rapporto, di natura sia cumulativa sia privativa.
La successione può però avvenire solo nei casi previsti in modo espresso dalla legge, ossia generalmente con la forma contrattuale, attraverso la delegazione, |’espromissione, I’accollo o la cessione del contratto, ovvero nelle specifiche e determinate ipotesi di subentro nella posizione debitoria altrui fissate dalla legge medesima.
L’inidoneità a costituire nuove obbligazioni
Da quanto sopra ne deriva che la sola promessa unilaterale fatta dal terzo di pagare un debito altrui non è idonea ad obbligare il promittente nei riguardi del creditore, nonostante la mancata stipula di un contratto di espromissione, perché la promessa di pagamento è un negozio causale, che presuppone I’esistenza di un rapporto obbligatorio tra promittente e promissario.
Sono ancora i giudici di Cassazione a rammentare che alla promessa di pagamento non può certo essere attribuita efficacia costitutiva di nuovi diritti ed obblighi. Le promesse unilaterali costituenti fonte di obbligazione sono tutte tipiche e nominate e il legislatore ha stabilito che “la promessa unilaterale di una prestazione non produce effetti obbligatori fuori dei casi ammessi dalla legge” ex art. 1987 c.c. indicando poi al successivo art. 1988 c.c. come unico effetto della promessa di pagamento l’inversione dell’onere della prova in deroga ai principi generali.
Si conclude dunque che la promessa di pagamento, per il suo carattere meramente confermativo di un rapporto obbligatorio preesistente, determina l’inversione dell’onere della prova tra le parti del rapporto obbligatorio, ma non è fonte autonoma di obbligazione e non può produrre la modificazione soggettiva dell‘obbligazione.
La Corte ha su questo punto già rilevato come nessuna norma preveda la possibilità di subentrare, con promessa unilaterale, nel debito altrui, con la conseguenza che una simile promessa deve essere considerata nulla, poiché non rientrante nello schema di cui all’art. 1988 c.c., che ha per oggetto il debito dello stesso promittente e non quello di altri soggetti.
Il principio di diritto
In definitiva il ricorso deve essere accolto limitatamente al secondo motivo. La sentenza impugnata va dunque cassata, in relazione al motivo accolto e nei sensi di cui in motivazione, con rinvio della causa alla Corte d’appello, in diversa composizione, che deciderà sulla base del seguente principio di diritto
La promessa di pagamento, per il carattere meramente confermativo di un rapporto obbligatorio preesistente, è idonea a determinare l’inversione dell’onere della prova tra le parti del rapporto obbligatorio, ma non è fonte autonoma di obbligazione e non può produrre la modificazione soggettiva dell’obbligazione, con la conseguenza che la promessa unilaterale di pagamento di un debito altrui è da considerarsi assolutamente nulla, in quanto non rientra nello schema di cui all’art. 1988 c.c., che ha per oggetto il debito dello stesso promittente e non quello di altri soggetti.