Offerta al pubblico di acquisto di prodotti finanziari – guida rapida
Con l’ordinanza n. 10212 dello scorso 16 aprile 2024, la Corte di Cassazione è intervenuta sul tema dell’offerta al pubblico di acquisto di prodotti finanziari, pronunciandosi sulla relativa nozione.
Ricostruiamo brevemente i fatti di causa e cerchiamo di capire quali siano state le valutazioni della Suprema Corte.
Lo svolgimento del processo
Con sentenza n. 3213/2020, la Corte d‘appello di Milano ha respinto l’opposizione proposta dal componente del Collegio sindacale di una banca, contro la delibera n. 20431/2018 con cui Consob gli applicava la sanzione amministrativa pecuniaria di 100.000 euro, oltre alla “perdita dei requisiti di onorabilità per gli esponenti aziendali dei soggetti abilitati” per la durata di due mesi.
Il provvedimento era stato assunto a margine di un’ispezione Consob sulla banca e successivi approfondimenti, da cui era emerso che nel 2013 la banca aveva, nei confronti dei clienti (soci e non soci), massicciamente e sistematicamente venduto in contropartita diretta azioni proprie e fatto sottoscrivere azioni emesse con cd. “apertura libro soci”.
Per Consob questa attività era stata realizzata su base continuativa, nell’ambito di un’iniziativa promozionale qualificabile come “offerta al pubblico di prodotti finanziari” di cui all’art. 1, comma 1, lett. t), del TUF” svolta in assenza del prescritto prospetto informativo, con conseguente violazione dell’art. 94, comma 1, del TUF.
La contestazione degli illeciti sui prodotti finanziari
La Corte di merito ha ritenuto tempestiva la contestazione degli illeciti. Evidenzia che la Consob dopo indagini e accertamenti, aveva fatto correttamente emergere il perfezionamento di un’offerta al pubblico di strumenti finanziari soggetta all‘obbligo di pubblicazione del prospetto. Esclude inoltre che il nuovo regime sanzionatorio dell’art. 191 TUF, modificato dal d.lgs. 72/2015, possa applicarsi alle violazioni contestate, consumate prima dell’entrata in vigore delle disposizioni attuative adottate da Consob. Ritiene che la sanzione non abbia carattere penale e non sia invocabile il principio del favor rei e di retroattività della legge più favorevole.
Quindi, la Corte afferma anche che il termine fissato dall’art. 4 Regolamento Consob in tema di procedimento sanzionatorio non abbia carattere perentorio. Il suo superamento non comporta dunque l’invalidità della sanzione.
La sentenza ha dunque ritenuto che la campagna avviata dalla banca integrasse un’offerta al pubblico di prodotti finanziari ai sensi dell’art. 1, comma primo, lettera t) del TUF, effettuata senza l’obbligatoria pubblicazione del prospetto informativo, ritenendo fondate tutte le contestazioni in relazione al ruolo rivestito dal ricorrente e ai doveri di controllo che competono ai sindaci.
Il sindaco propone dunque ricorso in Cassazione.
L’esercizio temporaneo delle funzioni gestorie
Con il primo motivo di ricorso l’opponente afferma che la Consob non avrebbe considerato la propria particolare situazione. Il ricorrente dichiara infatti di aver svolto le funzioni gestorie per pochi mesi, nel periodo finale dell’anno, quando era ancora in fase di “ambientamento” e non era in condizione di avvedersi delle disfunzioni organizzative della Banca.
Per la Corte, però, questo motivo è infondato.
Come argomentato dalla stessa Corte di merito, infatti, il giudizio di opposizione riguarda il rapporto sanzionatorio e si traduce in un controllo sul corretto esercizio del potere punitivo dell’amministrazione. Pertanto, eventuali vizi del provvedimento sotto il profilo della legittimità e dell’esaustività della motivazione hanno un rilievo residuale. Possono in altri termini inficiare il provvedimento solo in caso di totale omissione della motivazione.
In altre parole ancora, non occorre una motivazione analitica e dettagliata come quella di un provvedimento giudiziario. È di contro sufficiente una motivazione sinteteica che dia conto delle ragioni di fatto della decisione e evidenzi il fatto che gli eventuali rilievi difensivi formulati dal ricorrente sono stati esaminati.
Pertanto, dichiarando di condividere le conclusioni dell’Ufficio sanzioni, la Commissione ne ha recepito il giudizio di responsabilità anche con riferimento ali rilievi e ella deduzioni riguardanti la particolare situazione personale del sanzionato, in carica per pochi mesi, dando conto delle ragioni del provvedimento.
Separazione tra funzioni istruttorie, di ispezione e decisorie
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione degli art. 195 TUF, 24 e 111 Cost., per difetto assoluto di motivazione sulla violazione del principio di separazione tra funzioni istruttorie e di ispezione e funzioni decisorie.
Sostiene infatti il sindaco che la Corte di merito abbia respinto le deduzioni reputandole generiche sulla base di un esame sintetico ed insufficiente dei sistemi di controllo e sanzionatori dell’Autorita di vigilanza. Avrebbe omesso di dar rilievo alla commissione delle due funzioni, che risulta dalla sovrapponibilità tra i contenuti della relazione e l’atto di accertamento oggetto di opposizione.
Anche in questo caso, però, per la Corte il motivo è infondato.
Di fatti è principio costante nella giurisprudenza di legittimità che il rispetto dei principi del contraddittorio e della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie debba modellarsi in concreto, in relazione allo stato in cui si trova la procedura senza implicare la necessita che gli elementi e le valutazioni siano assunti alla costante presenza della parte interessata. È invece sufficiente che l’autorità decidente ponga a base del provvedimento sanzionatorio il nucleo del fatto contestato, in tutte le circostanze concrete che valgano a caratterizzarlo.
Non è dunque consentito agli incolpati essere ascoltati durante la discussione innanzi alla Commissione. È invece sufficiente che siano rimesse le difese scritte degli incolpati e i verbali delle dichiarazioni rilasciate.
Per i giudici di legittimità risulta essere assolto anche l’obbligo di motivazione. La sentenza ha infatti esaminato i ruoli e la ripartizione di funzioni all‘interno dell‘organo di vigilanza. Ha poi chiarito come le garanzie del contraddittorio e della separazione della funzione decisoria ed istruttoria sono assicurate in giudizio e non sono trasponibili dall’ambito del giudizio penale al procedimento sanzionatorio, in conformità con il costante orientamento della Corte.
I profili di colpa
Il terzo motivo di ricorso vede il ricorrente lamentarsi del fatto che la Corte di merito sia giunta ad un erroneo giudizio di responsabilità trascurando una pluralità di elementi decisivi che escludevano ogni suo profilo di colpa. Tra i principali:
- la durata trimestrale dell‘incarico;
- il subentro del ricorrente nel ruolo ricoperto da un Sindaco dimissionario;
- l’innesto e a fine esercizio in un programma di lavori già approvato e modulato;
- la complessità delle problematiche, di difficile e compiuta rilevazione per il Sindaco neo immesso;
- l’esito tranquillizzante degli incontri con la Società di revisione;
- il fatto che le precedenti operazioni su azioni proprie non erano state sanzionate;
- la necessaria fase di ambientamento prima che il ricorrente potesse percepire le anomalie;
- l’impegno cui si era dedicato il ricorrente per dare riscontro alle richieste ispettive di Banca d’Italia.
La Corte di merito avrebbe dovuto individuare le condotte alternative esigibili dal ricorrente e gli effettivi indicatori di allarme percepibili nel breve periodo di svolgimento delle funzioni. non potendo trascurare che le violazioni erano già in essere da molto tempo prima che il ricorrente subentrasse nel Collegio sindacale e che questi era stato prosciolto in sede penale proprio per l’impossibilità di avvedersi delle gravi anomalie nel breve arco temporale di svolgimento delle funzioni, tenuto conto delle questioni portate all’esame del Collegio sindacale.
La capacità di rilevazione del collegio sindacale e i prodotti finanziari
Con il quarto motivo il ricorrente lamenta che il giudice distrettuale abbia trascurato che l’attività e le criticità contestate erano di difficile rilevazione per il Collegio Sindacale. Potevano infatti essere ascritte a processi interni alla struttura della Banca, sviluppati dal management, dalla direzione generale, dalla direzione commerciale.
In particolare, il ricorrente segnala come le modalità di vendita delle azioni ai richiedenti, praticate nel 2013 (in assenza di pubblicazione di un prospetto informativo) erano identiche a quelle che la Banca aveva adottato negli anni precedenti e su cui la Consob non aveva rilevato profili di irregolarità durante precedenti ispezioni. Condivide come il saldo netto delle azioni della banca, nel 2013, si era incrementato rispetto al 2012 in misura decisamente inferiore rispetto a quanto realizzatosi per esempio nel 2014 a conferma che I’andamento delle richieste di acquisto e vendita non aveva palesato, nel 2013, un’evoluzione anomala.
La contraddizione della Corte
Si giunge così al quinto motivo, con cui si lamenta che la Corte abbia assunto statuizioni contraddittorie in sede cautelare e con la decisione finale. Avrebbe infatti ritenuto fondati in prima battuta gli argomenti difensivi del ricorrente, per poi disattenderli in sentenza.
Questo motivo, come gli altri due che precedono, sono ritenuti inammissibili, sostenendo che ai rilievi la sentenza avrebbe puntualmente replicato, con giudizio in fatto logicamente motivato.
In particolare, la pronuncia ha affermato che l’operatività sulle azioni della banca non era affatto sconosciuta al consiglio di amministrazione ed al collegio sindacale. Alle riunioni aveva anche partecipato il ricorrente. Non sono inoltre emerse in quelle sedi obiezioni o riserve o richieste di approfondimento sulle operazioni.
Una tale operatività, sostiene la Corte, non poteva passare inosservata a soggetti professionalmente qualificati, quali i componenti del collegio sindacale, consideratane la frequenza, le dimensioni e la rilevanza in relazione all’assetto finanziario della Banca. Si trattava inoltre di operazione decisiva per il risanamento della banca su cui il ricorrente era tenuto a vigilare e ad informarsi per I’importanza del ruolo rivestito, le particolari competenze richieste e il valore strategico dell’operazione.
L’arco temporale in cui son state svolte le funzioni di sindaco
Inoltre, la pronuncia ha motivatamente ridimensionato la significatività del breve lasso temporale in cui il ricorrente ha svolto le funzioni di sindaco. E’ infatti documentato lo svolgimento di un rilevante numero di riunioni del consiglio di amministrazione in cui si era proprio discusso delle operazioni sulle azioni a cui aveva partecipato anche il ricorrente, che aveva a disposizione gli elementi sufficienti – si legge nelle motivazioni della pronuncia in Cassazione
tali da restituirgli una visione sufficientemente chiara della operatività in essere sulle azioni VB, e da rendere esigibile l’esercizio dei poteri di cui all’art. 2403 bis c.c.. ove si tenga conto del contesto di tensione organizzativa e patrimoniale in cui aveva luogo l’operatività in esame, che era noto, e comunque avrebbe dovuto esserlo, al (ricorrente, ndr), essendo si discusso anche in CDA dei verbali ispettivi della Banca D’Italia.
Insomma, per i giudici di legittimità la condotta omissiva del ricorrente non poteva ottenere una giustificazione nella necessità di un periodo di ambientamento nel nuovo ruolo. Per i giudici della Suprema Corte, il ricorrente avrebbe dovuto attivarsi in proprio e tempestivamente per conoscere le particolarità di un‘operazione di tale portata.
Per quanto poi concerne l’entità del flusso di azioni, la preponderanza degli acquisti è apparso sintomo dei buoni risultati dell’operazione e della permanente consistenza quantitativa della collocazione sul mercato delle azioni della banca, nessun rilievo potendo assumere il fatto che in precedenti ispezioni nulla era stato rilevato dalla Consob per operatività di analoga natura ed oggetto o che il ricorrente fosse stato prosciolto in sede penale.
L’offerta al pubblico di prodotti finanziari
Si arriva così al sesto motivo, con cui il ricorrente lamenta che l’operazione contestata non integrava gli estremi dell’offerta al pubblico ai sensi del TUF, conforme ai requisiti dell’art. 1336 c.c. Per il sindaco, mancherebbe una vera e propria proposta contrattuale impegnativa, ma ci sarebbe piuttosto una mera disponibilità della banca a contrarre, non essendo comunque sufficiente, come invece sostenuto dalla Corte d‘appello, la veicolazione personalizzata dell‘offerta. In questo caso, sostiene ancora il ricorrente, dovrebbe sussistere un‘offerta indirizzata ad un’ampia categoria di destinatari, mancando un contatto diretto o un precedente contratto quadro tra banca ed investitore.
Per la Corte di Cassazione, però, anche questo motivo è infondato.
Ricordano infatti i giudici di legittimità come l‘art. 1, comma primo, lettera t) TUF qualifica come offerta pubblica di acquisto di prodotti finanziari “ogni comunicazione rivolta a persone, in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo, che presenti sufficienti informazioni sulle condizioni dell’offerta e dei prodotti finanziari offerti cosi da mettere un investitore in grado di decidere di acquistare o di sottoscrivere tali prodotti finanziari, incluso il collocamento tramite soggetti abilitati”.
La disposizione fu originariamente introdotta con il d.lgs. 28 marzo 2007, n. 51, in attuazione della Direttiva 2003/71/CE, relativa al prospetto da pubblicare per l’offerta pubblica o l’ammissione alla negoziazione di strumenti finanziari. La nuova formulazione ha sostituito la precedente previsione che contemplava la nozione di “sollecitazione all’investimento” che, ai sensi dall’art. 1, 1° comma, lettera t) del TUF, nel testo precedente, includeva ogni offerta, invito a offrire o messaggio promozionale, in qualsiasi forma rivolti al pubblico, finalizzati alla vendita o alla sottoscrizione di prodotti finanziari.
Le modalità di comunicazione dei prodotti finanziari
Per i giudici di legittimità, nemmeno l’attuale previsione non richiede specifiche modalità vincolanti della comunicazione, essendo recepita una nozione estremamente ampia che non si identifica o si esaurisce in una specifica fattispecie contrattuale già contemplata dagli ordinamenti interni, né tipizza in modo vincolante le ipotesi che integrano un‘offerta al pubblico, essendo piuttosto valorizzata l’idoneità in concreto di qualsivoglia iniziativa capace di veicolare contenuti economici e giuridici sufficienti a porre il destinatario in condizione di effettuare scelte di investimento, dato lo scopo di ampliare il campo applicativo dell‘obbligo di prospetto informativo e, di conseguenza, la tutela dell‘investitore.
Nelle loro ultime motivazioni, i giudici di legittimità affermano che invece la disposizione condivide con l’art. 1336 c.c. il fatto che l’attività regolata deve dirigersi ad un numero indeterminato e indistinto di investitori in modo uniforme e standardizzato, ovvero a condizioni di tempo e prezzo predeterminati. Così, quando la diffusione di strumenti finanziari presso il pubblico avviene con la prestazione di “servizi di investimento”, e cioè con attività di negoziazione, ricezione e trasmissione di ordini, a condizioni diverse a seconda dell’acquirente e del momento in cui l’operazione è eseguita, la tutela del cliente è affidata all’adempimento, da parte dell’intermediario, di obblighi informativi specifici e personalizzati, ai sensi degli art. 21 del d.lgs. n. 58 del 1998.
Nella fattispecie in esame, il ricorrente ha affermato che si tratterebbe di ordini impartiti dal cliente, frutto di trattative individuali o attuate in esecuzione di un precedente contratto. Tale evidenza è però smentita dalla Corte di merito. I giudici territoriali hanno infatti evidenziato come la banca avesse proceduto ad una massiccia campagna pubblicitaria volta al collocamento delle azioni proprie a condizioni uniformi e rivolta indistintamente a clienti (soci e non soci) architettata e programmata dai vertici e dalla rete commerciale per superare le criticità emerse in sede ispettiva.
Le conclusioni
Da quanto sora ne deriva che l’obiettivo perseguito dall’istituto di credito mediante tale operazione non è stato solo quello di coniugare l’interesse a soddisfare le esigenze di disinvestimento della clientela utilizzando il Fondo Acquisto Azioni Proprie, ma anche – e soprattutto – quello di svuotare tale fondo, per rispettare i vincoli normativi sopra richiamati e quello di procedere alla patrimonializzazione dell’istituto di credito alla luce delle verifiche ispettive condotte da Banca d’Italia e anche in vista del comprehensive assessment condotto dalla BCE, a conferma che l’offerta non provenne dal cliente e che fu formulata sulla base di condizioni contrattuali uniformi e non personalizzate, indispensabili per conseguire i target programmati, in presenza di un ordine tassativo impartito dai vertici aziendali alla rete di rivolgersi a tutti i clienti, soci o non soci, per soddisfare le impellenti necessita della Banca.
Il ricorso viene dunque respinto.