Omesso versamento IVA e legale rappresentanza – guida rapida
- I motivi del ricorso
- La qualità di soggetto attivo del reato
- Superamento dei limiti di sequestrabilità
Con ordinanza del 4 ottobre 2022 il Tribunale ha confermato il decreto del 7 giugno 2022 del Giudice per le indagini preliminari con cui si procedeva al sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretti di un profitto derivate dal reato ex art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000 (omesso versamento di IVA), da rinvenire presso la società o in subordine per equivalente nei confronti del legale rappresentante, indagato per avere, in qualità di legale rappresentante della società, omesso di versare l’imposta dichiarata con Modello IVA 2019, relativo all’anno 2018.
Contro tale ordinanza il legale rappresentante ha proposto ricorso deducendo tre motivi.
In particolare, per l’amministratore il sequestro è stato eseguito sulle somme giacenti su due Postepay, su un deposito di risparmia nominativo del ricorrente, sulle quote di due società e su di un’auto.
I motivi del ricorso
Con il primo motivo si deduce l’inosservanza o l’erronea applicazione degli art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000 e 2383 cod. civ., nonché il vizio ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., in quanto il Tribunale del riesame avrebbe errato nel considerare il legale rappresentate soggetto attivo del reato ed a ritenere sussistente l’elemento soggettivo del dolo eventuale.
L’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000 si riferirebbe al versamento dell’acconto IVA previsto, nel caso in esame, per il 27 dicembre 2019. Alla suddetta data, però, il ricorrente non avrebbe ricoperto la carica di amministratore della società, come emergerebbe dalla visura camerale in atti, secondo cui la presentazione della carica di amministratore del ricorrente sarebbe avvenuta soltanto il 18 giugno 2020, con iscrizione nel Registro delle Imprese in data 23 giugno 2020, a norma dell’art, 2383 cod. civ.
Alla data di commissione del reato, dunque, il ricorrente sarebbe stato solo nominato alla carica di amministratore, con mero atto interno alla società. Senza l’iscrizione di tale nomina nel Registro delle Imprese lo stesso non avrebbe potuto provvedere al versamento dell’IVA, di talché l’’incombente in questione ricadrebbe sul precedente amministratore, firmatario della dichiarazione IVA.
Insomma, per il ricorrente solo in seguito dell’iscrizione il ricorrente avrebbe potuto operare sul conto corrente della società, su cui avrebbe dovuto addebitarsi il pagamento del modello F24 relativo all’imposta evasa. La sola nomina non consentirebbe detta operatività, in quanto gli istituti bancari richiederebbero l’iscrizione nel Registro delle Imprese, che deve essere dimostrata con visura camerale. Non sarebbe dunque sufficiente la comunicazione alla banca del cambio di amministratore, in quanto l’opponibilità ai terzi discenderebbe dall’iscrizione ex art. 2383 cod. civ.
Insomma, per il ricorrente, trattandosi di reato proprio, la fattispecie ex art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000 dovrebbe imputarsi unicamente al legale rappresentante pro tempore alla data di commissione del reato.
I presupposti per la misura cautelare
Con il secondo motivo si deduce, ex art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., l’inosservanza’ agli artt. 321 e 322 cod. proc. pen., 104 disp. att. cod. proc. pen. e 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000, nonché il vizio di motivazione.
In particolare, sarebbero insussistenti i presupposti per l’applicazione della misura cautelare reale in quanto il soggetto attivo del reato non sarebbe il legale rappresentante, come sopra. La mancanza del requisito necessario per l’emissione della misura cautelare reale renderebbe la stessa particolarmente gravosa per il ricorrente che avrebbe avuto il blocco dei rapporti bancari personali e delle sue quote societarie di altre aziende.
Infine, con il terzo motivo si deduce l’inosservanza o l’erronea applicazione degli artt. 321 e 322 cod. proc. pen,., 104 disp. att. cod. proc. pen. e 545 cod. proc. civ., nonché il vizio ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. Di fatti, sarebbe stata sequestrata la carta Postepay intestata al ricorrente, in cui sarebbero depositati i bonifici dell’INPS relativi all’indennità di disoccupazione percepita dal legale rappresentante, in violazione di quanto affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 26252 del 24 febbraio 2022.
Per il ricorrente, le rate di disoccupazione sarebbero state sequestrate per l’intero importo e non soltanto nel limite stabilito dall’art. 545 cod. proc. civ. Non osterebbe al dissequestro dei ratei dell’indennità di disoccupazione, oltre i limiti consentiti, l’accredito sul medesimo conto corrente di altre somme di denaro, essendo stata evidenziata la causale dei versamenti.
La qualità di soggetto attivo del reato
Ricordato quanto sopra, il primo motivo è relativo alla sussistenza della qualità di soggetto attivo del reato. Il motivo è infondato perché è corretta l’affermazione del Tribunale del riesame secondo cui la qualifica di amministratore, di legale rappresentante di società e il connesso potere di rappresentanza sì acquistano direttamente con l’atto di conferimento della nomina e non conseguono alla pubblicità della stessa con l’iscrizione nel Registro delle Imprese ex art. 2383, comma 4, cod. civ., la quale ha efficacia dichiarativa e non costitutiva.
Tale interpretazione, per i giudici di Cassazione, emerge dal disposto dell’art. 2193 cod. civ., che testualmente prevede l’efficacia dichiarativa dell’iscrizione, nonché dalla disciplina di cui all’art. 2384, comma 2, cod. civ., secondo cui l’iscrizione è funzionale non all’acquisto dei poteri di rappresentanza, ma a garantire la limitata opponibilità delle limitazioni ai poteri in questione, altrimenti inopponibili ai terzi.
Il conferimento dei poteri e il versamento IVA
Oltre al tenore letterale della norma, anche la giurisprudenza civile sembra essere concorde nel ritenere che il potere di rappresentanza degli amministratori derivi esclusivamente dall’atto di conferimento dei relativi poteri e non dalla pubblicità della nomina, avendo al riguardo l’iscrizione degli atti riguardanti la società, efficacia dichiarativa e non costitutiva. La giurisprudenza ha più volte condiviso come il rapporto di amministrazione, di natura contrattuale, nasce con la sola accettazione della nomina, la quale può essere anche tacita, né dipende in sé dall’adempimento degli oneri pubblicitari, previsti dall’art. 2383, comma 4, c.c..
Peraltro, nella fattispecie in esame il ricorrente non contesta che la propria nomina ad amministratore legale sia avvenuta in data antecedente al 27 dicembre 2019, data di commissione del reato. Da ciò ne deriva l’irrilevanza ai fini dell’acquisto della qualità di soggetto attivo del reato ex art. 10-ter d.igs. n. 74 del 2000, dell‘iscrizione della predetta nomina nel Registro delle Imprese.
Diversamente, in assenza di elementi idonei a giustificare il ritardo nell’adempimento dell’obbligo di iscrizione ex art. 2383, comma 4, cod. civ., la sanzione penale sarebbe rimessa alla disponibilità dell’amministratore nominato che, come nel caso in esame, potrebbe procedere all’iscrizione a più di un anno di distanza dalla nomina, andando esente da responsabilità penale.
La capacità di azione sul conto corrente e il versamento IVA
Per i giudici è altresì generico l’argomento sulla pretesa impossibilità di agire sul conto corrente intestato alla società in assenza di iscrizione della nomina, perché non supportato da alcuna evidenza probatoria, nonché contrario all’art. 2384, comma 1, cod. civ., il quale definisce generale il potere di rappresentanza conseguente alla mera nomina e all’instaurazione del rapporto organico.
Ribadita la sussistenza in capo al ricorrente della qualità di soggetto attivo del reato, deve ribadirsi l’orientamento secondo cui
risponde del reato in questione, quantomeno a titolo di dolo eventuale, il soggetto che, subentrando ad altri nella carica di amministratore di una società di capitali dopo la presentazione della dichiarazione di imposta e prima della scadenza del versamento, ometta di versare all’Erario le somme dovute sulla base della dichiarazione medesima, senza compiere il previo controllo di natura puramente contabile sugli ultimi adempimenti fiscali, in quanto, attraverso tale condotta, lo stesso si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare dalle pregresse inadempienze.
Si ritiene inammissibile anche il secondo motivo, per genericità, considerato che si tratta della mera riproposizione del riesame: è infatti composto dalla sola parte in diritto e non si confronta in alcun modo con la motivazione dell’ordinanza impugnata. È anche inammissibile per il difetto del requisito della specificità estrinseca.
Superamento dei limiti di sequestrabilità
Con il terzo e ultime motivo si ricorre contro il superamento dei limiti di sequestrabilità dell’indennità di disoccupazione INPS, in violazione dell’art. 545 cod. proc. civ.
Per i giudici di Cassazione, però, anche tale ricorso è inammissibile. La questione è stata sollevata per la prima volta con la Cass. n. 7052 del 15/01/2020, secondo cui, in tema di sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, è inammissibile il ricorso per cassazione proposto contro l’ordinanza del tribunale del riesame confermativa del decreto di sequestro qualora venga dedotta per la prima volta in sede di legittimità la violazione del principio di proporzionalità tra il credito garantito ed il patrimonio assoggettato a vincolo cautelare.
Con il primo dei motivi di riesame, ricostruisce infatti la Cassazione, non si chiese l’applicazione dell’art. 545 cod, proc. civ. ma, semplicemente, la revoca della misura e il dissequestro anche dei saldi attivi “di modico valore”, sulla scorta della liceità delle somme in questione.
Omesso versamento IVA: il principio di diritto
Si ribadisce ancora il principio di diritto affermato dalle Sez. U, n. 26252 del 24/02/2022, secondo cui
i limiti di impignorabilità delle somme spettanti a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a titolo di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengano luogo di pensione o di assegno di quiescenza, previsti dall’art. 545 cod. proc. civ., si applicano anche alla confisca per equivalente ed al sequestro ad essa finalizzato.
Risulta, però, dallo stesso ricorso che – con riferimento alla carta Postepay, sui cui sarebbero accreditate le somme a titolo di indennità di disoccupazione – è stato posto sotto sequestro solo il saldo attivo. Pertanto, al momento della proposizione del riesame non risultano sottoposte a sequestro la carta e l’intero ammontare delle rate di indennità corrisposta dall’INPS. In concreto, concludono i giudici, non si è prodotta alcuna violazione del limite di impignorabilità posto dall’art. 545 cod. proc. civ.
Ulteriormente, l’eventuale sottoposizione successiva a sequestro preventivo di tali somme, astrattamente possibile tenuto conto del dispositivo del decreto genetico, non può essere fatta valere in sede di legittimità sede, dovendo essere sottoposta la questione prima all’autorità giudiziaria procedente in sede di revoca e poi, eventualmente, in sede di appello cautelare reale.
Il ricorso deve dunque essere rigettato.