Operazioni di c/c da parte di soggetti privi di poteri societari – guida rapida
La recente sentenza n. 27349 del 26 settembre 2023 ha indotto la Corte di Cassazione a rigettare la domanda di risarcimento che era stata proposta da una Srl nei confronti di un istituto di credito per inadempimento contrattuale, per incolpevole affidamento della banca su soggetto privo di rappresentanza.
In sintesi, l’istituto di credito per il ricorrente non avrebbe effettuato i dovuti controlli su determinate operazioni di addebito che una collaboratrice della società, priva del potere di rappresentanza, avrebbe effettuato.
Il comportamento della collaboratrice
Riassumendo la condotta della collaboratrice, la Corte di Appello ha correttamente ricostruito che la donna esibiva allo sportello dell’istituto di credito delle distinte di presentazione di ricevute bancarie in scadenza, da essa stampate, unite del timbro della società e siglate, già presenti in forma digitale nel sistema home banking della Srl.
La collaboratrice si presentava dunque presso la banca per autorizzare il pagamento e ritirare la ricevuta bancaria, un documento facente la funzione di quietanza.
Per la Corte territoriale questa modalità era stata adottata costantemente per il pagamento dei fornitori della società e impiegata dunque per l’adempimento a obbligazioni societarie fondate e legittime.
Pertanto, la prospettata assenza di potere rappresentativo in capo alla collaboratrice sulle operazioni di conto corrente avrebbe comportato la perdita di efficacia di tutti gli addebiti posti in essere dalla medesima mediante l’uso delle ricevute bancarie.
La Corte territoriale ha poi dato rilievo alla responsabilità degli organi amministrativi della società, avendo riferimento all’invio periodico degli estratti conto ed evidenziando in ogni caso come l’eccepita mancata ricezione di queste raccomandazioni ponesse in luce una responsabilità degli organi sociali per omesso controllo e culpa in eligendo.
È stata di contro riconosciuta la diligenza bancaria, tenendo in considerazione che in base alla prassi commerciale si reputa sufficiente la sicura provenienza dal sistema home banking del debitore delle distinte che risultano in scadenza in presenza dell’apposizione di credenziali che sono imputabili allo stesso obbligato come, nella specie, il timbro della società e la firma di un collaboratore incaricato.
Insomma, per il Giudice non era possibile trasferire le conseguenze dannose delle condotte illecite della collaboratrice, cui la società aveva attribuito una libertà di azione piuttosto estesa, dal piano della responsabilità degli organi amministrativi al piano di una responsabilità che assume i contorni della responsabilità oggettiva dell’istituto di credito.
Il potere di rappresentanza della collaboratrice
Ai nostri fini, l’elemento centrale di commento è legato al potere di rappresentanza della collaboratrice. Non ci soffermeremo pertanto sugli altri motivi di ricorso.
Ebbene, la collaboratrice, in base alla procura conferita, aveva il solo potere di operare versamenti sul conto corrente, oltre che prendere conoscenza delle movimentazioni che lo riguardavano (consultazione del conto).
La Corte di merito rileva che la società manca di appuntare quanto documentato volta per volta negli estratti conto, sostenendo che anche qualora questi non fossero recapitati (come eccepito dal ricorrente), la condotta tenuta dalla società sarebbe colpevole: la Srl si sarebbe infatti disinteressata ad acquisire alcuna documentazione delle operazioni poste in essere, omettendo così di informarsi su come risultava gestito il rapporto di conto corrente.
Quanto sopra, unitamente al fatto che la collaboratrice era incaricata della gestione della contabilità con ampi margini di autonomia e discrezionalità e alla circostanza per cui la stessa disponeva delle distinte in scadenza presenti sull’home banking societario, validate mediante il timbro di questa, per la Corte di merito darebbero conto dell’affidamento incolpevole risposto dalla banca nella veste rappresentativa assunta dalla collaboratrice.
La Cassazione ricorda a tal punto che in tema di rappresentanza è possibile invocare i principi dell’apparenza del diritto e dell’affidamento incolpevole se da un lato è riscontrabile la buona fede del terzo che stipula con il falso rappresentante e dall’altro un comportamento colposo del rappresentato, che ingenera nel terzo la convinzione ragionevole che il potere di rappresentanza sia effettivamente e validamente conferito al rappresentante apparente.