Opposizione all’amministrazione di sostegno – indice:
- L’amministratore di sostegno
- L’opposizione al decreto
- Il caso recente
- Il reclamo alla Corte d’Appello
- Il giudizio della Cassazione
- Il principio dell’autodeterminazione
- Conclusioni
Il beneficiario dell’amministratore di sostegno può opporsi al decreto di nomina dell’amministrazione di sostegno in suo beneficio qualora ne abbia interesse. La figura dell’amministratore di sostegno infatti viene designata in presenza di infermità o menomazioni psichiche o fisiche che non consentano alla persona per cui si richiede la tutela di provvedere ai propri interessi. Il giudice deve pertanto effettuare un’attenta e accurata valutazione della capacità del soggetto per il quale è richiesta l’attivazione dell’istituto ovvero della tutela dei suoi interessi.
Di recente, con l’ordinanza n. 29981/2020, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso di una signora contro il decreto del tribunale che disponeva l’apertura dell’amministrazione di sostegno nei suoi confronti su richiesta dei figli. La donna, a mezzo della propria difesa, contestava al giudice tutelare e successivamente alla Corte d’Appello l’errata valutazione circa la sua capacità d’intendere e di volere. Si è rivelata infatti essere una capacità piena nel consentirle di provvedere ai propri interessi. Chiamata a pronunciarsi sul caso la Suprema Corte termina con il seguente principio di diritto “in tema di amministrazione di sostegno, l’equilibrio della decisione deve essere garantito dalla necessità di privilegiare il rispetto dell’autodeterminazione della persona interessata”.
Chi è l’amministratore di sostegno
L’amministrazione di sostegno è una figura nascente dagli articoli 404 e seguenti del codice civile. La figura viene nominata su richiesta dell’interessato per assistere una persona che non può, anche temporaneamente e parzialmente, provvedere ai propri interessi. La causa di tale impossibilità dipende da una infermità o da una menomazione fisica o psichica. I soggetti interessati a domandare al giudice la nomina dell’amministratore di sostegno possono essere:
- lo stesso soggetto che deve beneficiare dell’istituto, anche qualora fosse minore inabilitato o interdetto;
- il coniuge o la persona stabilmente convivente;
- i pareti entro il quarto grado e gli affini entro il secondo;
- il tutore o il curatore del beneficiario;
- il pubblico ministero.
La domanda dev’essere proposta con ricorso al giudice tutelare del luogo in cui il beneficiario ha la residenza o il domicilio. Il giudice può accogliere o rigettare la domanda. Qualora accolga la domanda provvede al decreto di nomina dell’amministratore di sostegno. Nel decreto sono indicati gli elementi di cui all’articolo 405 del codice civile. Fra questi rilevanti sono gli atti che l’amministratore di sostegno deve compiere in luogo del beneficiario e quelli che il beneficiario può continuare a compiere in autonomia.
Ai sensi dell’articolo 408, primo comma, del codice civile “La scelta dell’amministratore di sostegno avviene con esclusivo riguardo alla cura ed agli interessi della persona del beneficiario”.
L’opposizione all’amministrazione di sostegno
Contro il decreto del giudice che dichiara l’apertura dell’amministrazione di sostegno il beneficiario può opporsi. È ben possibile infatti che il giudice che ha disposto la nomina dell’amministratore non abbia effettuato una corretta valutazione circa l’infermità o la menomazione del soggetto in relazione agli interessi cui deve provvedere.
L’opposizione al decreto di nomina dell’amministratore di sostegno avviene ai sensi dell’articolo 739 del codice di procedura civile. Il mezzo di impugnazione è il reclamo che dev’essere proposto entro 10 giorni. Il reclamo dev’essere presentato con ricorso al Tribunale. L’organo decide in camera di consiglio se il decreto di nomina dell’amministratore è stato emesso dal giudice tutelare. Contro invece la decisione del tribunale in camera di consiglio può essere effettuato reclamo con ricorso alla Corte d’Appello anch’essa riunita in camera di consiglio.
Il recente caso di opposizione all’amministrazione di sostegno giudicato dalla Corte di Cassazione
Il figlio di una signora ricorreva al giudice tutelare per chiedere la nomina di un amministratore di sostegno per la madre. La donna, riluttante all’istituto dell’amministratore di sostegno, propone reclamo alla Corte d’Appello contro il decreto di nomina dell’amministratore. La donna infatti riteneva di essere nella piena capacità di intendere e di volere. Il decreto nominava il figlio quale amministratore di sostegno. Con il reclamo la donna ottiene la modifica del soggetto che le avrebbe fatto da amministratore di sostegno: la figlia in luogo del figlio, il quale si era costituito resistendo contro il ricorso della madre. La donna propone dunque ricorso alla Cassazione contro la decisione della Corte d’Appello mentre si costituiscono come controricorrenti anche la figlia e il marito, i fratelli della donna e la cognata.
I motivi dell’opposizione all’amministrazione di sostegno
La ricorrente in particolare porta a fondamento della propria pretesa i seguenti motivi:
- contesta al giudice dell’appello la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 404 del codice civile per non aver il giudice valutato correttamente la sua capacità di provvedere ai propri interessi, requisito fondamentale di applicazione dell’istituto;
- ritiene di essere capace di intendere e di volere e dunque contesta in altro punto la violazione e falsa applicazione dell’articolo 404 oltre ad altre norme della Costituzione e della Convenzione Europea dei diritti umani;
- sottolinea come il giudice nel pronunciarsi non abbia tenuto conto della sua contrarietà all’attivazione dell’istituto in esame;
- contesta la modifica del soggetto designato come amministratore di sostegno sulla base del presupposto di un conflitto interno alla famiglia;
- sostiene la violazione e la falsa applicazione degli articoli 115 e 116 del codice di procedura civile per aver il giudice travisato le prove sulla propria capacità e fragilità.
La gestione degli interessi della ricorrente secondo la Corte d’appello
Nel caso di specie la nomina dell’amministratore di sostegno era funzionale alla ricorrente ritenuta incapace di provvedere ai propri interessi. Tali interessi erano per lo più di natura economica. L’analisi circa la residua capacità della donna nell’organizzare la propria vita economica e quella della famiglia e le conclusioni che hanno portato alla decisione del giudice dell’appello sono state elaborate da un consulente tecnico d’ufficio e da consulenti di parte.
In particolare la donna era stata definita come “persona in gran parte lucida, benché con qualche deficienza legata (..) a taluni aspetti pratici della vita quotidiana” – “deficienza correlata all’età, alle condizioni di salute, alle menomazioni rinvenienti dalla completa cecità” – e che la stessa era da considerare bisognosa del sostegno “tenuto conto delle disponibilità economiche su cui può contare (rappresentate dalla titolarità di più trattamenti pensionistici, nonché da depositi bancari e da proprietà immobiliari)”.
Sulla scorta di tali osservazione la Corte d’Appello riteneva presenti i presupposti per la nomina di un amministratore di sostegno. Ha disposto pertanto, essendo già stato nominato un amministratore dal giudice tutelare, la sola sostituzione di questo con un altro. Ciò in ragione della più proficua gestione degli interessi della donna da parte della figlia piuttosto che del figlio definita dalla corte d’appello come “la persona più adeguata a far fronte all’esigenza di protezione della beneficiaria, con lo scopo di non modificarne le abitudini e di rispettarne la volontà”.
Il giudizio della Cassazione sull’opposizione all’amministrazione di sostegno
I giudici della Cassazione non hanno condiviso il ragionamento eseguito dalla Corte d’appello per quanto concerne il caso di specie. Approvano pertanto la falsa applicazione dell’articolo 404 del codice civile lamentata dalla donna nel ricorso. Dopo aver ribadito i presupposti di applicazione dell’istituto i giudici affermano che “la procedura, pur se non esige che la persona versi in uno stato di vera e propria incapacità d’intendere o di volere, presuppone comunque il riscontro di una condizione attuale di menomata capacità che la ponga nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi; e quindi per converso esclude che il sostegno debba esser disposto nei confronti di chi si trovi, invece, nella piena capacità di determinarsi, anche se in condizioni di menomazione fisica...”.
Nel caso di specie infatti ci si trovava di fronte ad un beneficiario dell’amministrazione di sostegno in piena capacità di intendere e di volere. Ciò nonostante la menomazione fisica della cecità in cui versava. Sarebbe stata pertanto ingiustificata a parere dei giudici la limitazione della capacità di agire. Si legge nella sentenza infatti che il provvedimento sarebbe “invasivo della sfera della persona per ragioni diverse dalla tutela di essa”.
Le finalità dell’istituto dell’amministrazione di sostegno sono altre come affermano i giudici. L’istituto “non può essere piegato ad assicurare la tutela di interessi esclusivamente patrimoniali, ma deve essere volto, più in generale, a garantire la protezione alle persone fragili in relazione alle effettive esigenze di ciascuna, ferma la necessità di limitare nella minor misura possibile la capacità di agire”.
Il principio dell’autodeterminazione e l’opposizione all’amministrazione di sostegno
Il sesto punto delle considerazioni del diritto dell’ordinanza sono fondamentali ai fini della decisione. Il giudice infatti fa riferimento al principio dell’autodeterminazione, valore fondamentale della dignità umana. Con riguardo all’amministrazione di sostegno tale principio emerge nell’articolo 408 del codice civile. La norma consente al beneficiario dell’istituto di nominare anticipatamente il proprio amministratore di sostegno in previsione della propria eventuale futura incapacità.
Nel suo ragionamento il giudice pertanto si focalizza sul fatto che “ora, salvo che non sia provocata da una patologia psichica, tale da rendere l’interessato inconsapevole finanche del bisogno di assistenza, pure l’opposizione alla nomina costituisce espressione di autodeterminazione; e come tale non può non esser considerata dal giudice nel contesto della decisione che a lui si richiede; in altri termini, la volontà contraria all’attivazione della misura, ove provenga da una persona pienamente lucida, non può non esser tenuta in debito conto; il che giustappunto si trae dal fatto che la condizione di ridotta autonomia, che si colleghi a menomazioni soltanto fisiche, è ben compatibile con l’esplicazione di una volontà libera, consapevole e dunque, in base allo statuto dei diritti di ogni persona, non coercibile”.
Conclusioni
Riprendendo inoltre gli elaborati del consulente tecnico d’ufficio sulle condizioni della donna emergeva una piena capacità di intendere e di volere. Risultava inoltre “una rete adeguata di sostegno e risorse” a disposizione della donna per la gestione dei suoi interessi. I figli infatti coadiuvavano le capacità della donna in parte impedita dalla menomazione fisica da cui era stata colpita. I motivi inoltre che spingevano per la nomina di un amministratore di sostegno non dipendevano da una residua capacità della signora di gestire i propri interessi patrimoniali a causa di un deficit psico-cognitivo. Dipendevano piuttosto dall’aver delegato alla figlia già da tempo la gestione delle proprie risorse economiche.
In ragione di tali considerazioni la Corte di Cassazione avrebbe ritenuto distorsivo delle finalità proprie dell’istituto l’adozione dell’amministrazione di sostegno. I giudici infatti hanno ritenuto di dover dare preminenza al principio di autodeterminazione della persona espressosi nel caso di specie mediante l’opposizione all’amministrazione di sostegno.
Il Supremo Collegio pertanto accoglie il ricorso della donna e cassa il provvedimento impugnato.