Ostentazione del tradimento – guida rapida
- I fatti
- L’inammissibilità del ricorso
- Il reato di maltrattamenti contro familiari o conviventi
- Le precedenti sentenze
Secondo quanto afferma la recente sentenza n. 41568/2022 da parte della Corte di Cassazione, ostentare il fatto di aver tradito la propria compagna integra il reato di maltrattamento di cui all’art. 572 c.p., rubricato – appunto – Maltrattamenti contro familiari o conviventi, che così dispone:
Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da tre a sette anni.
La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità come definita ai sensi dell’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero se il fatto è commesso con armi.
Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni.
Il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti di cui al presente articolo si considera persona offesa dal reato.
I fatti sull’ostentazione del tradimento
La Corte di appello ha confermato dei giudici di prime cure con cui l’imputato ricorrente è stato riconosciuto responsabile del reato di maltrattamenti di cui all’art. 5782 c.p. ai danni della convivente.
Contro tale sentenza il responsabile ha proposto ricorso in Cassazione deducendo tre difetti di motivazione.
Con il primo, si deduce la violazione dell’art. 572 c.p. e il difetto di motivazione in rapporto all’unitarietà delle condotte e alla sussistenza del dolo di maltrattamenti. La Corte di merito avrebbe dunque erroneamente considerato due episodi di violenza fisica distanti nel tempo e contraddistinti da specifici moventi senza che la parte offesa abbia individuato, nelle sue dichiarazioni, ulteriori specifici episodi nell’ambito di una relazione conflittuale e burrascosa, che non prevedeva alcun obbligo di fedeltà, rispetto al quale, pertanto, la relazione con altre persone non poteva costituire ragione di rimprovero o causa di umiliazione.
Con il secondo motivo si deduce la violazione di legge e il difetto di motivazione in ordine alla mancata esclusione della recidiva. Il riferimento è quello a condanne per cui era intervenuta sia la causa di estinzione del reato ex art. 167 c.p. sia quella ex art. 445 c.p.. In ogni caso, proseguono gli atti difensivi, in assenza di specifica valutazione sulla maggiore colpevolezza su una risalente condanna per fatti del 2009 commessi in giovanissima età.
Infine, con il terzo motivo, si solleva il difetto di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio che avrebbe tenuto genericamente conto del solo risalente precedente e non del comportamento resipiscente del ricorrente in ordine al fatto per cui si è proceduto.
Perché il ricorso per ostentazione del tradimento è inammissibile
I giudici della Suprema Corte ritengono inammissibile il ricorso.
Per quanto riguarda il primo motivo, lo stesso è genericamente proposto in relazione all’individuata articolata e perdurante condotta vessatoria ricostruita dal doppio conforme accertamento, consistita in una costante pesante condotta violenta e ingiuriosa ai danni della persona offesa, a cui non può essere sottratta l’ostentata frequenza da parte del ricorrente di rapporti con altre donne, volutamente accompagnata dal manifesto disprezzo della stessa persona offesa, a lui legata da stabile relazione che implica, dunque, un obbligo di reciproco rispetto.
Anche il secondo motivo viene ritenuto generico, non essendo stata devoluta la specifica questione in appello. e, quanto alla valutazione in ordine alla maggiore gravità, è manifestatamente infondato rispetto all’incensurabile valorizzazione a riguardo di un precedente per reato commesso con violenza alle persone in rapporto alla commissione di un delitto abituale espresso anche con analoghe violenze.
Infine, con il terzo motivo, si ritiene generica la contestazione in relazione al corretto esercizio dei poteri discrezionali demandati al giudice di merito, che ha considerato non solamente il precedente penale a carico del ricorrente quanto anche la complessiva gravità oggettiva e soggettiva del reato, tenendo altresì in considerazione la durata nel tempo della condotta.
Il ricorso viene dunque ritenuto inammissibile e il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e della somma stabilita in favore della cassa delle ammende.
Il reato di maltrattamenti contro familiari o conviventi
L’occasione ci è naturalmente utile per ripercorrere una breve spiegazione dell’art. 572 c.p., introdotto dal legislatore all’interno del capo IV del titolo XI avente ad oggetto i delitti contro l’assistenza familiare. Come tale, anche questo reato è contraddistinto dal fatto che l’offesa è generata all’interno del gruppo familiare e, in particolar modo, tra persone che appartengono alla stessa famiglia o, comunque, ad un vincolo ad essa assimilabile.
Proprio per questo motivo il reato è proprio: può essere commesso solamente da persone che sono legate da un particolare vincolo nei confronti del soggetto passivo. È altresì un reato abituale, che è caratterizzato da condotte che sono di per sé lecite, ma assumono un carattere illecito in rapporto al loro protrarsi. Le condotte che determinano reato possono inoltre essere sia di tipo omissivo e commissivo. Il dolo è di natura generica: consiste infatti nella coscienza e nella volontà di infliggere una serie di sofferenze alla vittima.
Le precedenti sentenze
Cogliamo altresì l’occasione per rammentare che questa non è certamente la prima sentenza che qualifica l’ostentato tradimento come una condotta che integra il reato di maltrattamento.
Cassazione penale, sez. VI, sentenza 28/09/2009 n. 38125
Un esempio ci arriva ad esempio dalla sentenza n. 38125/2009 della Cassazione penale, le cui considerazioni ricalcano in buona parte quanto già riepilogato nella sentenza oggi in commento.
All’epoca, i fatti riguardavano un settantenne che ostentava in maniera costante e ripetuta la propria infedeltà nei confronti della moglie, sottoponendo la stessa a una serie di umiliazioni e confessandole di averla tradita più volte nel corso degli anni.
Per tale condotta l’uomo è stato condannato per il reato ex art. 572 c.p., una norma con cui il legislatore ha evidentemente voluto fornire una tutela estesa e ad ampio raggio del bene giuridico in essa protetto, prevedendo una fattispecie causale pura o a forma libera che contempla qualsiasi tipo di maltrattamento, sia di tipo fisico che psicologico.
Peraltro, per qualificare tale reato è sufficiente che il soggetto attivo realizzi una serie di atti che, se considerati complessivamente, assumono un loro specifico significato, essendo peraltro difficile che l’agente, al compimento di ogni atto, qualifichi un maltrattamento. Dunque, è la sistematica condotta dell’agente, tesa a rendere la vita insopportabile al partner, con l’umiliante e ingiustificata vessazione, ad integrare gli estremi del reato di maltrattamenti in famiglia.
Insomma, come ricordato dalla sentenza ora richiamata, l’illecito è configurabile dinanzi a una condotta che sia reiteratamente e abitualmente prevaricatrice. E, come tale diretta a umiliare il partner anche moralmente. In questo modo l’agente intende infatti, con dolo, rendergli l’esistenza penosa. E sottoporre sottoponendo la persona a un continuo stress emotivo insieme a una serie di abituali vessazioni, umiliazioni e insulti.
Una situazione di questo tipo, di costante e frequente sofferenza morale, oltre che ovviamente fisica, può determinare nel soggetto passivo una condizione di vita dolorosa e avvilente. Si integra in tale modo il reato ex art. 572 c.p.
Nella sentenza, i giudici sottolineano come
l’infedeltà ostentata rendeva certa l’esistenza di una condotta dell’imputato reiteratamente e abitualmente prevaricatrice, tendente a umiliare e sottoporre la congiunta a sofferenze fisiche e morali, così da renderle penosa l’esistenza.
Ancora, la Suprema Corte ha confermato la condanna per maltrattamenti affermando che
correttamente i giudici del merito hanno ritenuto integrato il reato in esame dalla «continua serie di insulti, prepotenze, meschine cattiverie», tra le quali l’infedeltà ostentata, perpetrata dal marito ai danni della moglie
ritenendo peraltro attendibile la versione fornita dalla moglie che
non aveva manifestato alcuna animosità nei confronti del marito tanto che non aveva avanzato alcuna pretesa risarcitoria.