Pagamento bonifico domiciliato a diverso beneficiario – guida rapida
Con la sentenza n. 30932 del 7 novembre la Corte di Cassazione si è occupata del tema della responsabilità per pagamenti eseguiti in favore di soggetto non legittimato attraverso bonifici domiciliati.
Cerchiamo, come da abitudine, di ricostruire brevemente il caso e quali siano le motivazioni che hanno indotto la Corte di Cassazione a rigettare il ricorso che era stato presentato da una spa nei confronti delle Poste Italiane.
Il pagamento di un bonifico domiciliato a persona diversa dal beneficiario
La breve ricostruzione di quanto accaduto ci permette di comprendere quale sia la natura della decisione conseguente.
Nel 2018 una spa conveniva dinanzi al giudice di pace le Poste, presso cui aveva un contratto di conto corrente bancario con esecuzione di bonifici domiciliati, disposti elettronicamente dal titolare.
Nel 2015 la società aveva disposto un bonifico domiciliato in favore di una persona, inviando a mezzo posta, al domicilio eletto, la password utile per effettuare la riscossione del pagamento.
Poste Italiane effettuano il pagamento al soggetto diverso dal beneficiario, identificato sulla base di un documento di identità presumibilmente falso.
Di conseguenza, la società era stata costretta a pagare nuovamente la somma al reale creditore. Condanna dunque le Poste al risarcimento del danno consistito nella duplicazione del pagamento.
La sentenza del Giudice di Pace
Il Giudice di Pace accoglie la domanda della società condannando le Poste al pagamento della somma richiesta.
Per il Giudice, infatti, Poste Italiane avrebbe dovuto rispondere del pagamento avvenuto a favore di persona non legittimata, ai sensi dell’art. 43 Legge Assegni, a prescindere dalla sussistenza o meno di colpa nell’identificazione del beneficiario.
La sentenza del Tribunale di Trieste
Poste Italiane ricorre al Tribunale di Trieste, che rigetta la domanda accogliendo il gravame, ritenendo che:
- la domanda formulata dalla spa fosse soggetta alla disciplina delle azioni contrattuali;
- è onere di Poste Italiane dimostrare di avere adempiuto esattamente la propria obbligazione, dimostrando così l’assenza di colpa nell’erronea individuazione del beneficiario;
- Poste Italiane aveva assolto tale onere dimostrando di avere pagato a persona in possesso di documento di identità e password inviata dalla spa al creditore.
La spa ricorre allora in Cassazione con due motivi. Poste Italiane resiste con controricorso. Esaminiamo i motivi separatamente.
La violazione della Legge Assegni
Il primo motivo di ricorso da parte della società è la violazione dell’art. 43 della Legge Assegni, secondo cui
L’assegno bancario emesso con la clausola «non trasferibile» non può essere pagato se non al prenditore o, a richiesta di costui, accreditato nel suo conto corrente. Questi non può girare l’assegno se non ad un banchiere per l’incasso, il quale non può ulteriormente girarlo. Le girate apposte nonostante il divieto si hanno per non scritte. La cancellazione della clausola si ha per non avvenuta.
Colui che paga un assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore o dal banchiere giratario per l’incasso risponde del pagamento.
La clausola «non trasferibile» deve essere apposta anche dal banchiere su richiesta del cliente.
La stessa clausola può essere apposta da un girante con i medesimi effetti.
(…)
La ricorrente sostiene infatti che in caso di errato pagamento del bonifico domiciliato bisognerebbe applicarli analogicamente la regola della Legge Assegni in caso di errato pagamento di un assegno non trasferibile. La banca negoziatrice dovrebbe dunque risponderne al traente.
La Corte di Cassazione sembra però concorde con il giudice d’appello che, affermando che alla fattispecie in esame non può estendersi la disciplina della Legge Assegni, ha ritenuto soggetta la fattispecie medesima al regime della responsabilità contrattuale, sancendo così correttamente l’onere probatorio gravante su Poste Italiane, che deve alternativamente dimostrare:
- di avere esattamente adempiuto pagando al reale beneficiario o,
- di avere eseguito la prestazione con la dovuta diligenza, con conseguente non imputabilità dell’inadempimento.
La responsabilità da contatto sociale
La Corte richiama dunque un principio oramai consolidato, ribadito più volte, secondo cui la responsabilità del negoziatore ha carattere contrattuale da contatto sociale, e non di responsabilità oggettiva, che è ravvisabile solamente dove difetti un rapporto in senso lato contrattuale, tra danneggiante e danneggiato, e il primo sia chiamato a rispondere di un fatto dannoso nei confronti del secondo, non per essere con questi entrato in contatto, ma in ragione della particolare posizione rivestita o della relazione che lo lega alla res causativa del danno.
Da ciò la Corte trae l’implicazione secondo cui la Legge Assegni non comporta alcuna deroga ai principi generali in tema di identificazione del presentatore del titolo. La responsabilità della banca non può dunque configurarsi in ogni caso, anche a prescindere dall’elemento della colpa nell’errore sull’identificazione del prenditore, essendo la debitrice ammessa, nell’ipotesi di tale errore, alla prova liberatoria di avere comunque usato la dovuta diligenza nel procedere alla stessa identificazione.
Anche alla luce della ratio decidendi della sentenza impugnata, dunque, l’applicazione o meno della Legge Assegni non avrebbe mutato il regime di responsabilità applicabile in questo caso.
Il bonifico domiciliato come delegazione di pagamento
È peraltro di interesse notare come la Corte di Cassazione abbia voluto dilungarsi su questo tema, affermando che comunque il motivo di ricorso non sarebbe stato fondato.
Il Giudice di appello – affermano ancora i giudici della suprema Corte – ha infatti correttamente in quadrato il bonifico domiciliato come delegazione di pagamento, che in riferimento al regime di responsabilità del delegato nei confronti del delegante, per l’erronea individuazione del delegatario, è soggetta alla disciplina del mandato di cui all’art. 1218 c.c., secondo cui
Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.
La fattispecie del bonifico domiciliato è dunque già disciplinata dalla legge, non essendovi possibili di ricorrere in via analogica a disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe, e dunque alla regola che disciplina la responsabilità della banca negoziatrice verso il traente di un assegno non trasferibile.
Il comportamento diligente di Poste Italiane
Il secondo motivo di ricorso riguarda invece sette articoli del Codice Civile e, in particolare, la parte in cui la sentenza d’appello ritiene diligente ex art. 1176 c.c. la condotta di Poste Italiane.
Il motivo merita di essere ricostruito attraverso diversi profili, anche se in brevità.
Il flusso telematico della disposizione di pagamento
Innanzitutto, la Corte respinge il motivo nel profilo in cui la ricorrente afferma che il flusso telematico con la disposizione di pagamento posta dalla società, recava le indicazioni del nominativo, del suo indirizzo e del suo codice fiscale, ma non anche la data di nascita e gli estremi del documento di identificazione, che l’ordinante aveva omesso di indicare nonostante fosse possibile farlo negli appositi campi del form telematico.
La Corte richiama infatti la sentenza di appello in cui il giudice non ha diminuito o escluso la responsabilità contrattuale delle Poste, in ragione del rilievo di un fatto colposo esclusivo o concorrente del creditore. Ha invece escluso la responsabilità della debitrice per avere dimostrato di avere tenuto una condotta diligente nell’identificazione del beneficiario del bonifico domiciliato, pagando alla persona che aveva esibito un documento di identità con le generalità del reale creditore, e che inoltre era in possesso di codice fiscale e password per l’incasso.
Per la Suprema Corte, rispetto a tale ratio decidendi, è dunque estraneo il rilievo relativo alla mancata comunicazione telematica di ulteriori dati relativi alla persona del beneficiario, che ne avrebbero consentito una più completa individuazione.
Il rilievo deve dunque reputarsi svolto ad abundatiam da parte del giudice del merito, con conseguente inammissibilità della censura.
Le disposizioni del regolamento contrattuale
Nel secondo profilo di censura, invece, la Corte valuta la stessa in parte inammissibile e in parte infondata.
Per quanto concerne la parte di inammissibilità, è tale quella in cui viene criticata l’interpretazione compiuta dal giudice di appello nel contratto concluso tra la società e le Poste sull’assunto che – contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale – il regolamento contrattuale avrebbe obbligato espressamente le Poste, come delegate al pagamento, a riscontrare la concordanza tra i dati anagrafici contenuti nella disposizione telematica e quelli dei documenti di riconoscimento, imponendo la presentazione e la verifica non di un solo documento, ma di più documenti di identità.
Stando al consolidato orientamento della Corte, l’interpretazione del contratto si traduce in un’operazione di ricerca e individuazione della comune volontà dei contraenti. Costituisce dunque un accertamento di fatto, riservato al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità.
Nella fattispecie in esame il giudice di appello ha considerato il testo delle condizioni generali di contratto, che imponevano a Poste Italiane di riscontrare
la concordanza dei dati anagrafici contenuti nella disposizione telematica con quelli riportati sui documenti di riconoscimento presentati dal beneficiario della riscossione
e ha interpretato l’espressione “documenti di riconoscimento presentati” come riferita al documento di identità di volta in volta esibito allo sportello dal richiedente il pagamento.
La plausibilità di questa interpretazione, prosegue poi la Corte, trova conferma nella circostanza che la clausola contrattuale non prevedeva che il beneficiario dovesse presentare due documenti ma si limitava a fare riferimento ai “documenti di riconoscimento presentati dal beneficiario”, rendendo dunque evidente che ai fini dell’esatto adempimento era sufficiente che la verifica fosse condotta su quel documento di identità volta per volta esibito dal richiedente.
L’interpretazione del contratto e il pagamento del bonifico
La circostanza che il giudice del merito abbia fornito un’interpretazione del contratto plausibile esclude dunque la possibilità di dolersene in sede di legittimità solamente perché la parte che propone la censura aveva interesse a che fosse privilegiata una diversa interpretazione rimasta disattesa.
Se questa parte è inammissibile, vi è un’altra parte della censura del secondo motivo di ricorso che è invece infondata. È l’assunto secondo cui il giudizio di osservanza o di violazione della regola di diligenza di cui all’art. 1176 c.c., formulato dal giudice del merito, sarebbe censurabile quando posto in contrasto con gli “standard valutativi esistenti nella realtà sociale” nell’ipotesi in cui “il caso contrato sia idoneo a fungere da modello generale di comportamento in una serie indeterminata di casi analoghi”, sostiene che il necessario esame di due documenti di identità sarebbe stato comunque imposto dall’esigenza di conformarsi al modello di diligenza professionale ex art. 1176 c.c.
La Cassazione osserva in tal proposito che, sebbene sia condivisibile l’assunto secondo cui il giudizio di inadempimento e il conseguente giudizio di responsabilità contrattuale, pur essendo riservati al giudice del merito, restano sindacabili in Cassazione, quando si pongono in contrasto con i principi dell’ordinamento e con gli standard valutativi espressi nella realtà sociale.
Le regole di riparto dell’onere probatorio
L’ultima censura del secondo motivo è infondata anche nella parte in cui deduce la violazione delle regole di riparto dell’onere probatorio.
Per la Corte di Cassazione, infatti, il giudice di appello ha ritenuto che Poste Italiane avesse fornito la prova di avere adoperato la dovuta diligenza professionale nell’identificare la persona che si era presentata all’incasso, procedendo a riscontrare la concordanza dei dati anagrafici contenuti nella disposizione telematica effettuata dalla società con quelli che erano riportati sul documento di riconoscimento presentato allo sportello dal preteso beneficiario della riscossione.
Inoltre, Poste avevano ricevuto da parte di quest’ultimo la comunicazione del codice fiscale e della parola chiave fornitagli dall’ordinante, controllandone la coincidenza con quelli presenti nel flusso del mandato elettronico.
Il tribunale ha ritenuto poi accertato che gli estremi di un documento di identità esibito dalla persona presentatasi all’incasso e il suo codice fiscale erano stati annotati nella quietanza di pagamento e verificati mediante apposita procedura.
La procedura in questione comporta l’uso di uno strumento informatico di backoffice che permette di controllare in tempo reale l’autenticità dei documenti di identificazione mediante un collegamento diretto alle banche dati di Poste Italiane.
Il documento e la verifica in procedura per il pagamento del bonifico
Partendo da tale accertamento di fatto, il giudice di appello ha dunque inferito che del documento – i cui estremi erano stati annotati sulla quietanza di pagamento insieme al codice fiscale, in quanto debitamente verificato con la suddetta procedura – non fosse dato conoscere l’eventuale falsità.
Ha pertanto concluso che la mancanza di evidenti anomalie nel documento di identità esclusiva l’esigibilità dalla banca mandataria di maggiori cautele, ai fini dell’assolvimento dell’obbligo di identificazione secondo gli standard propri del banchiere.
Viene così a considerarsi un motivato accertamento di merito che, come tale, è incensurabile in sede di legittimità, al cui esito il giudice d’appello ha ritenuto che Poste Italiane avesse debitamente assolto quello imposto dalla norma generale di cui all’art. 1218 c.c., pur traendo tale dimostrazione, invece che dal mezzo di prova precostituita che è rappresentato da una copia del documento di identità, dal ragionamento inferenziale fondato su una presunzione che, muovendo dal fatto accertato dell’espletamento della procedura di backoffice e dell’annotazione degli estremi del documento nella quietanza, ha permesso di risalire al fatto ignoto della verifica della sua apparente autenticità.