Prescrizione dei crediti retributivi nel pubblico impiego – indice
- Il riconoscimento dei periodi di lavoro
- Il riconoscimento dell’anzianità di servizio
- La decorrenza della prescrizione
- Rapporti pubblici e privati
- Le conclusioni
Con sentenza n. 36197 del 28/12/2023, la Corte di Cassazione si è pronunciata sul tema della prescrizione dei crediti retributivi nel pubblico impiego, affermando che essa decorre sempre in costanza di rapporto (dal momento di loro progressiva insorgenza) o dalla sua cessazione (per quelli originati da essa), attesa l’inconfigurabilità di un metus.
Il riconoscimento dei periodi di lavoro
Con sentenza del 23 luglio 2016 la Corte d’appello di Roma ha rigettato l’appello dell’Inail contro la pronuncia di primo grado di accertamento del diritto di un lavoratore al riconoscimento – ai fini dell’anzianità lavorativa e della maturazione dei conseguenti aumenti stipendiali – dell’intero periodo di lavoro prestato come dipendente a tempo determinato di un ente pubblico.
Il lavoratore aveva prestato servizio in forza di plurimi contratti a tempo determinato, tra il 1993 e il 2008, finendo con l’essere stabilizzato con un rapporto di lavoro a tempo indeterminato dal 18 febbraio 2008, con azzeramento dell’anzianità maturata nei pregressi rapporti a termine, che gli era peraltro valsa un solo passaggio ad una superiore fascia stipendiale.
A seguito della soppressione dell’ente pubblico nel 2010, tutto il personale, compreso il lavoratore predetto, era stato trasferito all’Inail, cui pure erano state attribuite le relative funzioni.
Il principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo determinato e indeterminato
La Corte territoriale ha condiviso il riconoscimento del suo diritto all’anzianità di servizio maturata nel periodo anteriore alla stabilizzazione, in applicazione del principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo determinato e indeterminato, sancito dalla clausola 4 dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato del 18 marzo 1999, trasfuso nella Direttiva 1999/70/CE.
In particolare, la Corte ha ritenuto che tale diritto rientri “condizioni di impiego” di cui al p.to 1 della suddetta clausola, secondo l’interpretazione della Corte di Giustizia UE, con derogabilità del principio di parità del trattamento per “ragioni oggettive” non ravvisabili nella mera temporaneità del rapporto.
Dinanzi a questa presa di posizione, l’Inail ha proposto ricorso per cassazione con un unico motivo, illustrato da memoria finale, cui ha resistito il lavoratore con controricorso. Con ordinanza interlocutoria 28 febbraio 2023, n. 6051, la Sezione Lavoro ha ritenuto l’oggetto della controversia devoluta “questione di massima di particolare importanza” disponendone la trasmissione al Primo Presidente per l’eventuale rimessione alle Sezioni Unite. Ne ha quindi individuato la questione centrale nella decorrenza, nel pubblico impiego contrattualizzato, della prescrizione dei crediti retributivi dei lavoratori assunti a seguito di procedura di stabilizzazione, dopo lo svolgimento di rapporti di lavoro regolari e dotati di stabilità reale.
I quesiti
Vengono così posti i seguenti quesiti:
- se la prescrizione dei crediti retributivi dei lavoratori nel pubblico impiego contrattualizzato debba decorrere dalla fine del rapporto, a termine o a tempo indeterminato, o, in caso di successione di rapporti, dalla cessazione dell’ultimo, come accade nel lavoro privato;
- se, nell’eventualità di abuso nella reiterazione di contratti a termine, seguita da stabilizzazione presso la stessa P.A. datrice di lavoro, la prescrizione dei crediti retributivi debba decorrere dal momento di tale stabilizzazione;
- se la prescrizione dei crediti retributivi, nell’ipotesi sub b), sia comunque preclusa, interrotta o sospesa ove la P.A. neghi il riconoscimento del servizio pregresso dei dipendenti.
Il riconoscimento dell’anzianità di servizio
Il ricorrente deduce la violazione degli artt. 2948, n. 4, 2941 e 2942 c.c., per essere la domanda di condanna al pagamento di differenze retributive, conseguenti al riconoscimento dell’anzianità maturata dal lavoratore nel corso di più contratti a termine dotati della necessaria stabilità, soggetta alla prescrizione quinquennale, senza alcuna sospensione per il metus del lavoratore medesimo.
Per la Suprema Corte il motivo di ricorso è fondato.
In particolare, e in via preliminare, viene ribadita la formazione del giudicato sul diritto del lavoratore al riconoscimento dell’anzianità di servizio maturata prima della sua stabilizzazione, elemento che non è più in discussione. Non si pone nemmeno un problema di prescrizione, considerato che l’anzianità non è uno status, né elemento costitutivo di uno status del lavoratore subordinato, né di un distinto bene della vita oggetto di un autonomo diritto, rappresentando piuttosto la dimensione temporale del rapporto di lavoro di cui integra il presupposto di fatto di specifici diritti.
Quindi, l’attribuzione, in sede di assunzione a tempo indeterminato dell’anzianità di servizio maturata nei precedenti rapporti a termine dà diritto al lavoratore alla percezione, dal momento dell’assunzione, di una retribuzione commisurata a tale anzianità.
Tutto ciò rende irrilevante il profilo dell’ordinanza di rimessione di un prospettato contrasto (che non sussiste) del supposto svuotamento di contenuto dell’anzianità di servizio dei lavoratori a termine nel pubblico impiego contrattualizzato, fino al suo azzeramento (con pesanti conseguenze anche sulla progressione stipendiale), con la giurisprudenza della Corte di giustizia, in materia di maggiorazioni retributive derivanti dall’anzianità di servizio, in quanto condizioni di impiego, ai sensi della clausola 4 dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato.
La decorrenza della prescrizione dei crediti retributivi
Considerato quanto precede come pacifico, la questione posta dall’ordinanza di rimessione riguarda dunque la decorrenza della prescrizione dei crediti retributivi del lavoratore “stabilizzato” dall’amministrazione pubblica, maturati nel corso dei rapporti di lavoro a termine legittimi intercorsi prima della stabilizzazione.
Ora, in questo senso è ben noto l’insegnamento giurisprudenziale costituzionale e di legittimità secondo cui
la prescrizione dei diritti retributivi matura in costanza di rapporto (dal momento di loro progressiva insorgenza) o dalla sua cessazione (per quelli originati da essa), nel lavoro pubblico ancorché contrattualizzato: sia nell’ipotesi di rapporto a tempo indeterminato, sia nell’ipotesi di reiterazione di rapporti a tempo determinato.
Tale principio è stato esteso in analogia anche ai rapporti di lavoro ed è altresì noto che in carenza dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, con il conseguente venir meno di un regime di stabilità, sia stata ritenuta la decorrenza, per tutti i diritti non prescritti al momento di entrata in vigore della legge n. 92/2012, del termine di prescrizione, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4 e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro.
La questione diviene dunque verificare se analoga conclusione sia estensibile anche ai rapporti di lavoro pubblico suindicati, sulla base della rimeditazione sollecitata dall’ordinanza di rimessione.
Rapporti di lavoro pubblico e privato e crediti retributivi
Le Sezioni Unite negano una piena parificazione dei rapporti di lavoro privato e pubblico contrattualizzato alla luce dei principi che regolano questo secondo comparto, sulla base delle principali leggi di riforma varate negli anni.
È altresì certo, prosegue la pronuncia, che la privatizzazione del pubblico impiego abbia comportato una scissione fra l’organizzazione amministrativa e i rapporti di lavoro e che in conseguenza del processo di privatizzazione e di contrattualizzazione, la prima rimane affidata alla legge e coperta dalla riserva di cui all’art. 97 della Costituzione, mentre è ad essa sottratta la disciplina dei rapporti di lavoro, invece regolati dalla contrattazione collettiva.
Tuttavia, se il rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato è regolato dalla disciplina di diritto comune, esso trova comunque limiti conformativi nelle norme costituzionali. Inoltre, le pubbliche amministrazioni devono sempre assicurare l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico in un armonico assetto che miri alla sostenibilità del complessivo debito dello Stato, così coordinandosi come parti di un unico complesso organizzativo.
Dal canto suo, la giurisprudenza di legittimità ha correttamente ribadito la distinzione tra rapporto di lavoro privato e di pubblico impiego contrattualizzato.
Le conclusioni sui crediti retributivi
Ricostruita l’evoluzione normativa e giurisprudenziale, le Sezioni Unite ritengono di non poter accogliere la proposta dell’ordinanza interlocutoria di rilettura e di ampliamento del concetto di metus, in asimmetria con quanto costantemente ritenuto dal giudice costituzionale e di legittimità.
Al riguardo, appare ostativa la corretta qualificazione giuridica del metus (non già del licenziamento, ma) del mancato rinnovo del contratto a termine da parte del datore. Contrariamente al primo, infatti, che si colloca all’interno di un rapporto di lavoro fonte di una posizione giuridica qualificabile alla stregua di diritto soggettivo tutelabile, il mancato rinnovo del contratto a tempo determinato suscita un’apprensione, che, per quanto meritevole di giustificabile comprensione, integra tuttavia una mera aspettativa di fatto, non giustiziabile per la sua irrilevanza giuridica.
Viene poi richiamata la radicale negazione dell’esistenza del metus quale delineato dal giudice costituzionale per il riconoscimento ai rapporti a termine, in caso di illegittimità del recesso, di una piena tutela attraverso la condanna al pagamento delle retribuzioni dovute e il risarcimento del danno.
Il ricorso viene così accolto e la sentenza impugnata cassata con rinvio alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, sulla base del seguente principio di diritto:
La prescrizione dei crediti retributivi dei lavoratori nel pubblico impiego contrattualizzato decorre sempre – tanto in caso di rapporto a tempo indeterminato, tanto di rapporto a tempo determinato, così come di successione di rapporti a tempo determinato – in costanza di rapporto (dal momento di loro progressiva insorgenza) o dalla sua cessazione (per quelli originati da essa), attesa l’inconfigurabilità di un metus. Nell’ipotesi di rapporto a tempo determinato, anche per la mera aspettativa del lavoratore alla stabilità dell’impiego, in ordine alla continuazione del rapporto suscettibile di tutela.