Il processo penale minorile – indice:
- Il D.P.R 448/1988
- I principi del processo
- Gli organi
- Le parti
- L’imputato minorenne
- La tutela della personalità
- La parte civile
- Le fasi del processo
- La messa alla prova
- L’udienza preliminare
- Le misure precautelari
- Quelle cautelari
- I riti speciali
- Il dibattimento
- Le misure di sicurezza
- Il casellario giudiziale
Il processo penale ai minori di diciotto anni viene regolato da apposite fonti normative che hanno integrato e modificato il codice di procedura di penale. Si tratta del D.P.R 448/1988, chiamato anche codice del processo penale minorile, e del decreto legislativo n. 272/1989. Le disposizioni contenute nel codice, in particolare, adattano le regole e i principi del processo penale ordinario (cioè per le persone in età adulta) alle esigenze di rieducazione e di tutela del minore. Il perseguimento di tali fini è ulteriore ma non meno importante rispetto a quello punitivo ed è in ogni caso sancito dalla Costituzione.
Si ricorda infatti che ai sensi dell’articolo 27, terzo comma, della Costituzione le pene “devono tendere alla rieducazione del condannato”. Mentre l’articolo 31, secondo comma, garantisce che la Repubblica si impegni a tutelare l’infanzia e la gioventù “favorendo gli istituti necessari a tale scopo”.
Il processo penale minore è affidato pertanto ad organi diversi da quelli del processo ordinario. Lo svolgimento del processo segue le regole generali del processo ordinario con alcune peculiarità indicate nel D.P.R 448/1988.
Il D.P.R 448/1988 sul processo penale minorile
Il D.P.R 448/1988 è la raccolta delle norme che disciplinano il processo penale minorile. Si tratta di una raccolta di 41 articoli frutto della riforma del codice di procedura penale avvenuta alla fine degli anni 80. Con legge delega infatti si è demandato al governo il compito di emanare nuove disposizioni regolatrici del processo penale minorile in linea con il nuovo codice di procedura penale post riforma. È stata successivamente data attuazione alle norme di tale codice, entrato in vigore il 24 ottobre 1989 con il decreto legislativo n. 272 del 1989.
L’originario testo del D.P.R 448/1988 è stato successivamente modificato dai seguenti interventi normativi:
- Il d.lgs n. 12/1991 intervenuto a modificare ed integrare alcune norme del codice di procedura penale;
- La legge 123/1992;
- Il testo unico sul casellario giudiziale, ovvero il D.P.R 313/2002, che ha inglobato le poche disposizioni contenute nel codice sul casellario giudiziale per i minorenni;
- Il decreto legge 92/2008 emanato per adottare misure urgenti sulla sicurezza pubblica;
- Il d.lgs 154/2013 che ha sostituito la potestà genitoriale con la responsabilità genitoriale nell’ambito dell’intervento volto a rivedere le disposizioni in materia di filiazione;
- Il decreto legge n. 146/2013 intervenuto sulla tutela dei diritti dei detenuti e recante misure per la riduzione della popolazione carcerata.
I principi che governano il processo penale minorile
Dalle norme del D.P.R 448/1988 si ricavano una serie di principi che governano il processo penale minorile. Si tratta in particolare di principi che vogliono tutelare la personalità dell’imputato:
- Dal secondo periodo del primo comma dell’articolo 1 secondo cui le disposizioni del decreto devono essere applicate in modo adeguato alla personalità e alle esigenze educative del minorenne si ricava il principio di adeguatezza. Il giudice infatti nel dare un giudizio deve esaminare accuratamente la sfera privata del minore con riguardo alla situazione familiare, personale e all’educazione ricevuta o che sta ricevendo al momento del processo;
- Il principio di minima offensività secondo il quale l’ordinamento, nell’intento di perseguire gli scopi di giustizia e buon esito del processo, deve cercare di impedire il meno possibile il percorso educativo che il minore sta affrontando anche mediante l’utilizzo di strumenti alternativi;
- corollario del principio di minima offensività è il principio di destigmatizzazione cui risponde ad esempio il divieto di pubblicazione e divulgazione di cui all’articolo 13 del decreto. Si cerca infatti di evitare che la vicenda penale possa influire negativamente sulla sfera individuale e sociale del minore ;
- il principio di residualità della detenzione che risponde fortemente all’esigenza di rieducazione dell’impuatato minorenne. Si cerca infatti di applicare la misura cauteare o la pena della detenzione quando non è altrimenti possibile scongiurare il pericolo sociale.
Gli organi del processo penale minorile
Il processo ai minori di diciotto anni è demandato ad organi giurisdizionali specializzati per il perseguimento di fini ulteriori rispetto alla punizione dell’imputato minorenne. L’articolo 1, primo comma, del D.P.R 448/1988 infatti stabilisce che le norme in esso contenuto devono essere applicate “in modo adeguato alla personalità e alle esigenze educative del minorenne“. È chiaro il perseguimento della finalità di rieducazione del minore e di punizione dello stesso tenendo conto della sua personalità ed età.
Si è ritenuto pertanto di affidare la giurisdizione penale minorile ad organi specializzati determinati nel D.P.R 448/1988.
Il tribunale per i minorenni
Tale organo interviene mediante due magistrati ordinari, uno di tribunale e uno d’appello, e due magistrati onorari ovvero esperti di sesso opposto scelti tra determinati personalità individuate dalla legge. Il tribunale per i minorenni è competente a conoscere dei reati commessi dai soggetti con meno di diciotto anni di età.
Il giudice per le indagini preliminari
All’interno del tribunale per i minorenni vengono scelti dei giudici singoli incaricati delle operazioni attinenti alle indagini preliminari e che dunque rivestono la funzione di giudici per le indagini preliminari nell’ambito del processo penale minorile.
Nell’udienza preliminare il giudice dell’udienza preliminare è il tribunale dei minorenni che interviene in composizione ridotta ovvero mediante l’intervento di un magistrato ordinario e di due magistrati esperti un uomo e una donna.
Altri organi
Dopo questi due primi organi abbiamo:
- il Procuratore della Repubblica che svolge il ruolo di Pubblico Ministero nel processo penale minorile;
- la sezione per i minorenni della Corte d’appello quale giudice di appello rispetto al tribunale per i minorenni;
- il Procuratore generale presso la Corte d’appello e infine
- il Magistrato di sorveglianza presso il Tribunale per i minorenni. Tale magistrato, insieme al tribunale per i minorenni, esercita le funzioni della magistratura di sorveglianza nei confronti di coloro che quando hanno commesso il reato erano minorenni e non hanno superato il venticinquesimo anno di età.
Integrano i ruoli appena esposti i Servizi minorili di cui all’articolo 6 del decreto di cui si avvalgono gli organi del processo penale minorile.
Le parti del processo penale minorile
Al processo penale minorile prendono parte:
- l’imputato che ha meno di diciotto anni di età;
- il suo difensore;
- la persona offesa dal reato;
- i genitori dell’imputato che sono tenuti a partecipare agli atti ai quali è chiamato l’imputato e che si prestano ad assisterlo affettivamente e psicologicamente come previsto dall’articolo 12 del D.P.R 448/1988. Tale assistenza può essere prestata anche da un soggetto diverso dai genitori che sia stato scelto dall’imputato e che l’organo giudicante abbia ritenuto idonea alla funzione;
- i servizi minorili di cui all’articolo 6 del decreto i quali sono protagonisti insieme all’imputato in tutto il processo penale dal momento in cui gli vengono applicate delle misure precautelari e fino alla fase del dibattimento. Sono infatti essenziali al giudizio finale in quanto permettono all’autorità giudiziaria di acquisire informazioni sulla personalità dell’imputato.
Per alcuni atti del processo penale è possibile derogare alla presenza delle parti di cui ai punti terzo e quarto quando richiesto dal pubblico ministero o dall’autorità giudiziaria per esigenze inderogabili del processo.
Un’ulteriore figura che riveste un ruolo importante nel processo minorile è l’esercente la responsabilità genitoriale. Tale ruolo può essere ricoperto da entrambi i genitori o da uno di questi o anche da una persona diversa da questi. L’esercente la responsabilità genitoriale, ai sensi dell’articolo 7 del decreto, è colui che riceve, oltre all’imputato, le notifiche degli atti processuali ovvero l’avviso di garanzia e il decreto di fissazione di udienza. La notifica a tale soggetto è prevista dalla legge a pena di nullità.
Non può invece prendere parte al processo penale minorile la parte civile, ovvero il soggetto che è stato danneggiato dal reato e vuole ottenere i risarcimento del danno come previsto dall’articolo 10 del decreto.
L’imputato minorenne
Assumono rilevanza ai fini dell’accertamento dell’imputazione del minore le operazioni di cui agli articoli 8 e 9 del D.P.R 448/1988.
Le indagini sull’età
L’articolo 8 del codice sul processo penale minorile si intitola “Accertamento sull’età del minorenne“. Solo accertando che al momento della commissione del reato l’imputato aveva meno di diciott’anni di età si può determinare:
- la competenza delle sezioni specializzate del tribunale dei minori;
- se l’impuatato aveva o meno sviluppato la capacità di intendere e di volere ai sensi dell’articolo 98 del codice penale;
- che l’imputato venga condannato ad una pena minore.
Ai sensi dell’articolo 8 infatti “Quando vi è incertezza sulla minore età dell’imputato, il giudice dispone, anche di ufficio, perizia. Qualora, anche dopo la perizia, permangono dubbi sulla minore età, questa è presunta ad ogni effetto. Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano altresì quando vi è ragione di ritenere che l’imputato sia minore degli anni quattordici”.
Il giudice che accerti che l’imputato al momento della commissione del fatto aveva già compiuto il diciottesimo anno di età si dichiara incompetente.
Quando viene accertato che l’impuatato aveva meno di quattordici anni di età al momento della commissione del fatto il processo si conclude con sentenza di non luogo a procedere in quanto persona non imputabile i sensi dell’articolo 97 del codice penale.
Quelle sulla personalità
Il Pubblico ministero e il Giudice minorile devono acquisire nel corso del processo più informazioni possibili circa la vita del minore. In particolare con riguardo all’ambiente familiare, sociale, educativo per:
- accertare che sia imputabile;
- stabilire il grado di responsabilità;
- valutare l’offensività del fatto e la sua rilevanza sociale;
- adottare le adeguate misure penali e i provvedimenti civili.
Le informazioni possono essere ricavate anche da incontri con persone che hanno intrattenuto o intrattengono rapporti con l’imputato e sentire pareri di esperti. Questo è quanto si ricava dalla lettura dell’articolo 9 del D.P.R 448/1988.
Le disposizioni a tutela della personalità dell’imputato
Nel D.P.R 448/1988
Recita il secondo comma dell’articolo 1 del decreto che “Il giudice illustra all’imputato il significato delle attività processuali che si svolgono in sua presenza nonché il contenuto e le ragioni anche etico-sociali delle decisioni”.
L’articolo 13 vieta la divulgazione e la pubblicazione di notizie o immagini “idonee a consentire l’identificazione del minorenne comunque coinvolto nel procedimento”. È fatto salvo il caso in cui l’autorità giudiziaria proceda con l’udienza pubblica. Ciò può avvenire quando l’imputato abbia compiuto i sedici anni di età e sia stato egli stesso a richiedere la seduta dibattimentale a porte aperte. L’autorità giudiziaria valuta la domanda e la accetta qualora venga fatto l’interesse dell’imputato e non ci siano coimputati minori di sedici anni o che siano contrari all’udienza pubblica.
Ai sensi dell’articolo 33 l’esame dell’imputato viene svolto solo dal presidente proprio per ridurre la tensione della procedura ordinaria che prevede l’esame incrociato e il controinterrogatorio. Gli altri organi, ovvero il Pubblico ministero, i giudici e il difensore pongono le domande o le contestazioni al presidente che le sottopone all’impuatato.
Nell’udienza preliminare, ai sensi dell’articolo 31, “Il giudice, sentite le parti, può disporre l’allontanamento del minorenne, nel suo esclusivo interesse, durante l’assunzione di dichiarazioni e la discussione in ordine a fatti e circostanze inerenti alla
sua personalità”.
A tutela della personalità del minore inoltre sono ammessi ad assisterlo durante tutto il processo i genitori e i servizi minorili.
Nel d.lgs 272/1989
Come previsto dal decreto legislativo 272/1989 infine devono essere rispettate alcune cautele nell’esecuzione delle misure precautelari dell’arresto in flagranza e del fermo dell’indiziato. Si cerca infatti di ridurre le sofferenze fisiche e psicologiche, di proteggerli dalla curiosità del pubblico, di assisterli psicologicamente tramite i servizi dei centri per la giustizia minorile e di trattenerli in locali separati da quelli in cui sono trattenuti per arresto o fermo soggetti maggiori di età.
La costituzione di parte civile nel processo penale minorile
Nel processo penale minorile non è possibile costituirsi parte civile. Si tratta di un’altra peculiarità di tale processo volta a tutelare la personalità dell’imputato.
Non è ammissibile dunque l’azione civile nell’ambito del processo penale minorile. L’articolo 10 del decreto infatti stabilisce che “Nel procedimento penale davanti al tribunale per i minorenni non è ammesso l’esercizio dell’azione civile per le restituzioni e il risarcimento del danno cagionato dal reato. La sentenza penale non ha efficacia di giudicato nel giudizio civile per le restituzioni e il risarcimento del danno cagionato dal reato”.
Le fasi del processo penale minorile
Il processo penale minorile prevede le stesse fasi che sono previste in un processo penale ordinario.
Il procedimento si apre con la notizia di reato e prosegue con le indagini preliminari condotte dal giudice per le indagini preliminari scelto all’interno del tribunale per i minorenni.
Se il processo prosegue senza sospensioni il giudice fissa l’udienza preliminare, nella quale, se l’imputato consente può essere già data una definizione del procedimento come previsto all’articolo 32 del decreto. In tal sede può il giudice può pronunciare sentenza di non luogo a procedere oppure sentenza di condanna se richiesto dal pubblico ministero e quando ritiene che possa essere applicata una pena pecuniaria o una pena sostitutiva.
Se l’imputato non consente la definizione del procedimento con l’udienza preliminare si giunge alla fase dibattimentale disciplinata all’articolo 33.
Nel corso del giudizio, ai sensi dell’ultimo comma dell’articolo 32, il giudice con separato decreto può disporre provvedimenti civili urgenti e temporanei di protezione del minore. L’esecutività di tali provvedimenti è immediata. La norma prevede che tuttavia tali provvedimenti perdano efficacia entro 30 giorni dalla loro emissione.
La sentenza di non luogo a procedere e la sospensione del processo
Il processo può concludersi in tempi più brevi quando il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto. Ai sensi dell’articolo 27,primo comma, del decreto “Durante le indagini preliminari, se risulta la tenuità del fatto e l’occasionalità del comportamento, il pubblico ministero chiede al giudice sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto quando l’ulteriore corso del procedimento pregiudica le esigenze educative del minorenne”.
La decisione di non procedere viene presa dal giudice in camera di consiglio dopo aver ascoltato il minorenne, l’esercente la potestà genitoriale e la persona offesa dal reato. La sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto può essere inoltre pronunciata d’ufficio dal giudice nelle altre fasi del procedimento.
Il procedimento inoltre può essere sospeso ai sensi dell’articolo 28 del decreto per messa alla prova dell’imputato minorenne.
Minorenni e messa alla prova: articolo 28 del D.P.R 448/1988
L’articolo 28, primo comma, del D.P.R 448/1988 stabilisce che “Il giudice, sentite le parti, può disporre con ordinanza la sospensione del processo quando ritiene di dover valutare la personalità del minorenne all’esito della prova disposta a norma del comma 2. Il processo è sospeso per un periodo non superiore a tre anni quando si procede per reati per i quali è prevista la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a dodici anni; negli altri casi, per un periodo non superiore a un anno. Durante tale periodo è sospeso il corso della prescrizione”.
Il secondo comma invece si occupa degli effetti della sospensione del procedimento per messa alla prova affermando che “Con l’ordinanza di sospensione il giudice affida il minorenne ai servizi minorili dell’amministrazione della giustizia per lo svolgimento, anche in collaborazione con i servizi locali, delle opportune attività di osservazione, trattamento e sostegno. Con il medesimo provvedimento il giudice può impartire prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa dal reato”.
Cos’è la messa alla prova e come funziona nel processo minorile
La messa alla prova è l’istituto previsto dall’articolo 168-bis del codice penale che consente a colui che è imputato per reati puniti con le pene previste dalla norma di chiedere la sospensione del procedimento ed ottenere l’estinzione del reato dopo l’esito positivo di un percorso rieducativo. Per ottenere gli effetti “premiali” della messa alla prova infatti l’imputato deve svolgere dei lavori di pubblica utilità, risarcire il danno derivante dal reato commesso o, in assenza di danno, deve pagare una somma a un fondo di utilità sociale.
Nel caso dell’imputato minorenne il giudice con la messa alla prova:
- consente la sospensione del procedimento per al massimo tre anni nel caso in cui l’imputato sia accusato di uno dei reati puniti con la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore al massimo a dodici anni;
- sospende il procedimento per al massimo un anno per l’accusa di reati puniti con pene diverse da quella appena citata;
- affida l’imputato minorenne ai servizi minorili per il percorso rieducativo e di sostegno;
- può ordinare la riparazione delle conseguenze del reato e promuovere la conciliazione dell’imputato con la persona offesa.
Terminato il periodo di messa alla prova il giudice fissa un’udienza in cui valuterà l’esito della messa alla prova. L’esito del percorso di messa alla prova può essere positivo o negativo. Se positivo il giudice in sede di udienza dichiara il reato estinto. Se negativo il processo prosegue.
La sospensione del processo per messa alla prova interrompe la prescrizione del reato. Può essere revocata qualora si riscontrino gravi e ripetute trasgressioni alle prescrizioni imposte.
Se l’imputato sceglie il rito speciale del giudizio immediato o abbreviato non può essere richiesta la sospensione per messa alla prova.
L’udienza preliminare del processo penale minorile
Il giudice fissa l’udienza preliminare quando il processo non si è concluso per archiviazione o esito positivo della messa alla prova e conseguente estinzione del reato. L’udienza preliminare nel processo minorile è disciplinata agli articoli 31 e 32 del decreto.
La notifica della data di fissazione dell’udienza dev’essere inoltrata al pubblico ministero, all’imputato e al suo difensore, alla persona offesa dal reato, ai servizi minorili e all’esercente la potestà genitoriale. A quest’ultimo, si ricorda, la notifica è obbligatoria a pena di nullità. L’esercente la responsabilità genitoriale infatti è una delle parti fondamentali del processo. Se non compare senza un legittimo impedimento viene condannato al pagamento di una somma di denaro. Così è previsto dal quarto comma dell’articolo 32. La legge inoltre prevede che l’imputato non comparso senza un giustificato motivo all’udienza vi possa essere accompagnato coattivamente.
Nell’ossequio del principio di tutela della personalità dell’imputato minorenne il secondo comma dell’articolo 31 stabilisce che “Il giudice, sentite le parti, può disporre l’allontanamento del minorenne, nel suo esclusivo interesse, durante l’assunzione di dichiarazioni e la discussione in ordine a fatti e circostanze inerenti alla sua personalità”.
Il minore inoltre sentito dal giudice in presenza anche insieme agli altri soggetti convocati qualora il giudice abbia necessità di acquisire ulteriori informazioni circa la personalità del minore.
La definizione del processo nell’udienza preliminare
Come già accennato, prima di proseguire con la discussione il giudice chiede all’imputato se consente alla definizione del processo in sede di udienza preliminare. A consenso prestato il giudice può procedere:
- alla sospensione del procedimento per messa alla prova;
- ad emanare sentenza di non luogo a procedere per una delle cause previste dall’articolo 425 del codice di procedura penale ovvero per irrilevanza del fatto o per concessione del perdono giudiziale;
- con la condanna dell’imputato, su richiesta del pubblico ministero, e l’applicazione di una pena pecuniaria o di una sanzione sostitutiva. La pena può essere ridotta fino alla metà del minimo edittale.
La persona offesa dal reato, cioè il soggetto titolare del bene protetto dalla norma penale violata, viene sentita mediante il deposito di memorie e la presentazione di elementi di prova come previsto dall’articolo 90 del codice di procedura penale.
Le misure precautelari nel processo penale minorile
La polizia giudiziaria può applicare sottoporre il minore:
- all’arresto in flagranza e
- al fermo dell’indiziato.
Si tratta delle due misure precautelari principali previste dal codice di procedura penale. La minore età tuttavia è ragione di limitazione dei casi in cui la libertà del minore può essere circoscritta.
L’arresto in flagranza
La polizia giudiziaria può procedere all’arresto in flagranza quando il minore commette uno dei reati per i quali ai sensi del D.P.R 448/1988 è prevista la custodia cautelare. Si tratta in particolare di:
- delitti non colposi per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a nove anni;
- delitti, consumati o tentati, previsti dall’articolo 380, comma 2, lettere e), f), g), h) del codice di procedura penale;
- delitto di violenza carnale.
Ai sensi dell’articolo 18-bis primo comma del codice di procedura penale l’arresto in flagranza, quando applicato per un delitto non colposo per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, può comportare l’accompagnamento del minore presso gli uffici della polizia giudiziaria. Il minore può essere trattenuto presso gli uffici per il tempo necessario alla sua consegna all’esercente la potestà genitoriale, all’affidatario o ad altra persona da questi incaricata e comunque per un massimo di 12 ore.
Dell’intrattenimento presso gli uffici viene data immediata notizia al pubblico ministero, ai servizi minorili e all’esercente la potestà genitoriale o all’affidatario i quali vengono invitati a prendere il minore in consegna. Tali soggetti vengono inoltre invitati a tenere a disposizione del pubblico ministero il minore e a vigilare su di esso.
Nell’applicare tale misura la polizia giudiziaria deve tenere conto della gravità del fatto, dell’età e della personalità del minore.
Il fermo dell’indiziato
Il fermo dell’indiziato per l’imputato minorenne invece è disciplinato dall’articolo 17 del D.P.R 448/1988 ai sensi del quale “È consentito il fermo del minorenne indiziato di un delitto per il quale, a norma dell’articolo 23, può essere disposta la misura della custodia cautelare, sempre che, quando la legge stabilisce la pena della reclusione, questa non sia inferiore nel minimo a due anni”.
A seguito dell’applicazione delle suddette misure gli ufficiali o la polizia giudiziaria devono comunicare tempestivamente le misure al pubblico ministero, all’esercente la potestà genitoriale del minorenne e all’eventuale affidatario nonché ai servizi minorili come stabilito dall’articolo 18, primo comma, del decreto.
Il pubblico ministero non appena informato dispone che il minore venga indirizzato presso un centro di prima accoglienza o presso una comunità pubblica o autorizzata da lui indicata. In alternativa, qualora le circostanze familiari, personali, educative ed ambientali lo richiedano il minore può essere tenuto a disposizione presso la l’abitazione familiare.
È in ogni caso fatto obbligo al pubblico ministero di convalidare le misure adottate facendone apposita richiesta al giudice per le indagini preliminari entro le quarantotto ore successive ai sensi degli articoli 390 e 391 del codice di procedura penale.
Quelle cautelari personali
Nell’applicare le misure cautelari il giudice deve tenere conto dei criteri previsti dall’articolo 275 del codice di procedura penale ma anche dei processi educativi in atto nella vita del minore che non devono essere interrotti.
Le misure cautelari che possono essere disposte nei confronti del minore, quando sussistono le esigenze cautelari di cui all’articolo 274 del codice di procedura penale, sono previste agli articoli 21, 22 e 23 del D.P.R 448/1988 e sono:
- le prescrizioni di cui all’articolo 20;
- la permanenza in casa;
- il collocamento in comunità e
- la custodia cautelare.
Tali prescrizione sono in ordine di gravità.
I servizi minorili cui viene affidato il minore e i servizi di assistenza degli enti locali sostengono e controllano il minore durante la limitazione della sua libertà.
Le prescrizioni, la permanenza in casa e il collocamento in comunità possono essere applicate solo quando il minore è imputato per un delitto per il quale è prevista la pena dell’ergastolo o la detenzione non inferiore a 5 anni.
Prescrizioni ex articolo 20 D.P.R 448/1988
Il giudice può, ai sensi dell’articolo 20 del D.P.R 448/1988 impartire delle prescrizioni di studio, di lavoro o di altre attività utili alla sua educazione al minore quando non c’è necessità di applicare altre misure cautelari.
Tali prescrizioni perdono efficacia decorsi due mesi dal provvedimento che le ha disposte.
Se vengono violate ripetutamente il giudice può disporre la misura della permanenza in casa del minore.
La permanenza in casa
“Con il provvedimento che dispone la permanenza in casa il giudice prescrive al minorenne di rimanere presso l’abitazione familiare o altro luogo di privata dimora. Con il medesimo provvedimento il giudice può imporre limiti o divieti alla facoltà del minorenne di comunicare con persone diverse da quelle che con lui coabitano o che lo assistono”. Così recita l’articolo 21, primo comma, del D.P.R 448/1988 sulla misura cautelare della permanenza in casa.
Il comportamento del minore durante la permanenza presso il luogo di misura cautelare dev’essere controllato dai genitori se si tratta dell’abitazione familiare. In alternativa da altre persone presso la cui abitazione il minore è costretto. Tali soggetti devono cooperare con i servizi minorili. Ciò al fine di consentire la vigilanza e il controllo sul corretto espletamento della misura nonché ulteriori eventuali controlli prescritti dal giudice.
Il giudice dispone il collocamento in comunità qualora vi siano gravi e ripetute violazioni della misura di permanenza in casa.
Il collocamento in comunità
“Con il provvedimento che dispone il collocamento in comunità il giudice ordina che il minorenne sia affidato a una comunità pubblica o autorizzata, imponendo eventuali specifiche prescrizioni inerenti alle attività di studio o di lavoro ovvero ad altre attività utili per la sua educazione”. L’articolo 22 del decreto stabilisce così con riguardo alla misura del collocamento in comunità. Il minore in ogni caso può allontanarsi dalla comunità per le attività di studio, di lavoro o le altre prescritte dal giudice.
Se il minore si allontana dalla comunità ripetutamente o commette delle gravi irregolarità nelle prescrizioni che gli sono state impartite il giudice può disporre la misura della custodia cautelare per un tempo non superiore ad un mese e qualora si proceda per un delitto per il quale è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni.
La custodia cautelare
La custodia cautelare è la più rigida delle misure previste dal decreto e può essere applicata:
- quando si procede per delitti non colposi per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a nove anni;
- quando si procede per uno dei delitti, consumati o tentati, previsti dall’articolo 380, comma 2, lettere e), f), g), h) del codice di procedura penale;
- per il delitto di violenza carnale.
Tale misura può essere inoltre disposta dal giudice quando:
a) sussistono gravi e inderogabili esigenze attinenti alle indagini, in relazione a situazioni di concreto pericolo per l’acquisizione o la genuinità della prova;
b) se l’imputato si è dato alla fuga o sussiste concreto pericolo che egli si dia alla fuga;
c) se, per specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità dell’imputato, vi è il concreto pericolo che questi commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l’ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quelli per cui si procede.
L’articolo 303 del codice di procedura penale stabilisce i termini di durata massima della custodia cautelare. Tali termini sono ridotti della metà per i reati commessi dai minori degli anni 18 e dei 2/3 per i minori degli anni sedici e decorrono dal momento della cattura, dell’arresto, del fermo o dell’accompagnamento.
Così recita l’articolo 23 del D.P.R 448/1988.
Il giudice può disporre la misura delle prescrizioni allo scadere dei termini e alla conseguenseguente scarcerazione dell’imputato.
Procedimenti speciali e processo penale minorile
I riti speciali ammessi nel processo penale minorile sono:
- il giudizio direttissimo;
- quello abbreviato;
- il giudizio immediato.
L’articolo 25 del decreto tuttavia pone alcune condizioni. Il giudizio direttissimo ad esempio può essere disposto solo se consente di svolgere gli opportuni accertamenti sulla personalità del minorenne come previsto all’articolo 9. Può essere disposto inoltre qualora sia possibile garantire al minore l’assistenza dei genitori e dei servizi minorili. Il giudizi direttissimo inoltre può essere disposto anche quando il minore è stato accompagnato presso gli uffici della polizia giudiziaria a seguit di flagranza. Gli altri due riti sono ammessi alle stesse condizioni in cui vengono concessi nel processo ordinario salvo che la scelta in ordine a tale tipologia di rito non comprometta “gravemente le esigenze educative del minore”. Così recita l’ultimo comma dell’articolo 25 del D.P.R 448/1988.
Il processo penale minorile invece non può aver luogo con i riti del patteggiamento e del decreto penale di condanna. Il patteggiamento infatti richiede una capacità di discernimento che il minore non può aver ancora sviluppato. Il decreto penale di condanna invece è contrario ai principi che governano il processo penale minorile ovvero non consente di valutare adeguatamente la personalità dell’imputato.
L’applicazione delle misure cautelari dipende dalla pena prevista per il reato consumato o tentato, come stabilisce l’articolo 278 del codice di procedura penale. Il giudice tuttavia in questo caso deve tenere conto anche dell’età tranne che per il reato di spaccio di stupefacenti di cui all’articolo 73 del Testo unico sugli stupefacenti.
Il dibattimento nel processo penale minorile
La fase dibattimentale del processo penale è la fase successiva all’udienza preliminare in cui si instaura il contraddittorio fra le parti per la formazione della prova. Al processo penale minorile si applicano le disposizioni sull’udienza preliminare come previsto dall’articolo 3, quarto comma, del D.P.R 448/1988. La data dell’udienza deve pertanto essere notificata all’imputato e al suo difensore, alla persona offesa dal reato, al pubblico ministero e all’esercente la potestà genitoriale. Tale ultimo soggetto se non si presenta senza legittimo impedimento viene condannato al pagamento di una sanzione pecuniaria.
Processo penale minorile e udienza dibattimentale
L’udienza dibattimentale è disciplinata all’articolo 33 del D.P.R 448/1988 e presenta delle peculiarità rispetto a quella del processo penale ordinario. L’udienza si tiene infatti a porte chiuse mentre nell’ordinario il dibattimento è una seduta pubblica e pertanto tenuta a porte aperte. Fatto salvo sia stato disposto diversamente dal giudice per obbiettivi motivi. Nel processo penale minore l’imputato può chiedere che l’udienza sia pubblica. Il tribunale accoglie la richiesta quando ritiene fondate le ragioni del minore ovvero ritiene che la seduta così svolta lo sia nel suo interesse. La domanda non può essere accolta quando ci sono coimputati minori di sedici anni o che non hanno prestato il consenso all’udienza pubblica.
Nell’ottica di tutelare la personalità dell’imputato l’unica figura che si rivolge a lui è il presidente della seduta. Gli altri organi del collegio invece rivolgono le domande o le contestazioni da sottoporre all’imputato a quest’ultimo.
Dopo la discussione finale il dibattimento si conclude con una sentenza di proscioglimento o di condanna. È fatto salvo il caso in cui il giudice provveda in ordine alla sospensione del procedimento per messa alla prova dell’imputato.
Quando la sentenza è di condanna, ai sensi dell’articolo 30, primo comma, del decreto “il giudice, quando ritiene di dover applicare una pena detentiva non superiore a due anni, può sostituirla con la sanzione della semidetenzione o della libertà controllata, tenuto conto della personalità e delle esigenze di lavoro o di studio del minorenne nonché delle sue condizioni familiari, sociali e ambientali”.
Le misure di sicurezza
Le misure di sicurezza sono dei provvedimenti che il giudice può adottare in due momenti del giudizio:
- all’esito dell’udienza preliminare;
- al termine del dibattimento.
In base a quando vengono applicate il legislatore del 1988 ha previsto una disciplina differente.
Prima di operare tale distinzione, l’articolo 36 del D.P.R. 448/1988 esordisce facendo subito un appunto su come avviene l’applicazione delle misure della libertà vigilata e del riformatorio giudiziale. La libertà vigilata è eseguita nelle forme delle misure cautelari delle prescrizioni e della permanenza in casa. Il riformatorio giudiziario è eseguito nella forma del collocamento presso una comunità. Tale misura tuttavia viene applicata soltanto quando il minore ha commesso un delitto per il quale è prevista l’applicazione della custodia cautelare.
Ai sensi dell’articolo 40 del D.P.R 448/1988 la competenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza spetta al Magistrato di sorveglianza per i minorenni del luogo dove la misura stessa deve essere eseguita. Tale organo deve stabilire le modalità di esecuzione della misura vigilare sul suo espletamento anche incontrando informalmente il minore, l’esercente la potestà genitoriale, l’eventuale affidatario e i servizi minorili.
Applicate all’esito dell’udienza preliminare
Il giudice può disporre le misure di sicurezza all’esito dell’udienza preliminare quando il minore non è imputabile per proscioglimento da un delitto e vi sia il concreto pericolo che in ragione della sua personalità e delle circostanze in cui è avvenuto il fatto “questi commetta delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro la sicurezza collettiva o l’ordine costituzionale ovvero gravi delitti di criminalità organizzata”.
La misura viene applicata provvisoriamente con la sentenza di non luogo a procedere. Il tribunale dei minorenni riceve gli atti dal giudice che ha applicato la misura di sicurezza in via provvisoria e conduce un giudizio di pericolosità dell’imputato a norma dell’articolo 678 del codice di procedura penale. Se entro 30 giorni non ha luogo tale giudizio la misura di sicurezza applicata in via provvisoria decade. All’esito di tale giudizio può convalidare, modificare o revocare la misura di sicurezza applicata in via provvisoria. Dopo aver udito l’impuatato, l’esercente la responsabilità genitoriale, l’affidatario, i servizi minorili e dopo aver verificato che il minore non era imputabile per proscioglimento da un delitto, ai sensi dell’articolo 224 del codice penale, il tribunale applica la misura di sicurezza con sentenza. Così dettano gli articoli 37 e 38 del D.P.R 448/1988.
In sede di udienza dibattimentale
Ai sensi dell’articolo 39 del D.P.R 448/1988 “Con la sentenza emessa a norma degli articoli 97 e 98 del codice penale o con la sentenza di condanna, il tribunale per i minorenni può disporre l’applicazione di una misura di sicurezza, se ricorrono le condizioni previste dall’articolo 37 comma 2″.
All’esito dell’udienza dibattimentale il tribunale per i minorenni può disporre l’applicazione di una misura di sicurezza:
- nei confronti del minore di anni 14 quando il giudice ha emesso sentenza di proscioglimento per non imputabilità ai sensi degli articoli 224 del codice penale e 37, secondo comma, D.P.R 448/1988. Oppure quando è stata emessa sentenza di condanna;
- al minore di anni 18 quando sussistono gli stessi requisiti appena menzionati.
Il casellario giudiziale per i minorenni
Presso il tribunale dei minorenni è istituito un apposito ufficio che ha competenza in materia di casellario giudiziale.
Il casellario giudiziale, come stabilito dal testo unico che lo disciplina, è “il registro nazionale che contiene l’insieme dei dati relativi a provvedimenti giudiziari e amministrativi riferiti a soggetti determinati”.
L’ufficio del tribunale dei minorenni pertanto si occupa di iscrivere gli estratti dei provvedimenti emessi dallo stesso tribunale nel registro.
Precisa il quarto comma dell’articolo 5 del testo unico sul casellario giudiziale che i provvedimenti riguardanti i minorenni iscritti nel registro sono cancellati al compimento del diciottesimo anno di età. Fanno eccezione:
- le iscrizioni riguardanti il perdono giudiziale che sono eliminate al compimento del ventunesimo anno di età e
- quelle relative a provvedimento di condanna a pena detentive.