Con sentenza dello scorso 30 luglio 2024, il Tribunale di Napoli, è intervenuto sulla prova per testi con una pronuncia piuttosto interessante sulla prova del pagamento.
Cerchiamo di ricostruire brevemente i fatti e comprendere quali siano le conclusioni a cui sono giunti i giudici di merito.
Il caso del Fondo di Garanzia e la prova di pagamento
La Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. (MPS) ha concesso a una società, con garanzia personale di un fideiussore, un finanziamento a lungo termine in relazione al quale ha ottenuto dalla Banca per il Mezzogiorno – Mediocredito Centrale (di seguito, MCC) ulteriore garanzia ex L. 662/96 per l’80% dell’importo erogato.
Considerato che la debitrice principale non ha onorato la sua obbligazione nei confronti dell’istituto di credito, MPS ha escusso la garanzia prestata dal fondo, incassando la somma.
Anche Banco di Napoli s.p.a. ha concesso alla suddetta società, garantita da un fideiussore, un ulteriore finanziamento in relazione al quale ha ottenuto da MCC una garanzia ex L. 662/96 per il 70%.
Non avendo la debitrice principale onorato la sua obbligazione nei confronti dell’istituto di credito, anche quest’ultimo ha escusso la garanzia prestata dal fondo.
La Banca per il Mezzogiorno, surrogatasi nei crediti suddetti per l’importo corrispondente a quanto versato, ha iscritto la sua pretesa a ruolo esattoriale e l’Agenzia delle Entrate Riscossione ha notificato per suo conto al fideiussore un importo pari all’entità della garanzia escussa, maggiorata di interessi e oneri di riscossione.
L’opposizione del fideiussore sul pagamento
Il fideiussore si è però opposto a questa richiesta di pagamento, deducendo:
- la nullità della cartella e della relativa notificazione;
- la carenza di motivazione della cartella e l’illegittimità del ruolo;
- la giuridica impraticabilità della surroga di MCC nella posizione originariamente vantata dalle banche finanziatrici verso l’opponente;
- l’incertezza del credito già di pertinenza di Banco di Napoli s.p.a., in quanto azionato da quest’ultima in altro giudizio.
Occupiamoci di ciascuna deduzione in maniera specifica.
La carenza di legittimazione passiva e il pagamento
In primo luogo, i giudici rigettano l’eccezione di carenza di legittimazione passiva, sollevata da Agenzia delle Entrate Riscossione.
Sebbene le doglianze rappresentate dall’opponente attengano parzialmente all’esistenza del credito, anziché alle modalità con le quali l’agente della riscossione ha minacciato di agire in via esecutiva, quest’ultimo conserva la legittimazione passiva all’azione di accertamento negativo proposta dall’obbligato.
Il soggetto dal quale promana la minaccia dell’esecuzione e dunque destinatario della relativa opposizione, infatti, ha la facoltà di formulare domanda di garanzia nei confronti dell’ente impositore per il caso di soccombenza imputabile alla condotta di questo.
La notifica con una società di posta privata per la cartella di pagamento
L’opponente sostiene che la notificazione della cartella esattoriale, avvenuta con le modalità dell’art. 140 c.p.c., sarebbe inesistente per esserle stata recapitata la raccomandata informativa per il tramite di una società di posta privata, anziché mediante il servizio postale pubblico.
Per i giudici l’eccezione è però infondata, poiché – pur ammettendo che gli atti compiuti per il tramite di un’impresa di poste private siano invalidi – il vizio atterrebbe unicamente all’invio della raccomandata informativa, e non già all’intero procedimento di notifica.
Quest’ultimo, pertanto, anche nella prospettiva giuridica prescelta dall’opponente, andrebbe considerato come privo dell’attività integrativa prevista dall’ultima parte dell’art. 140 c.p.c. e, dunque, come affetto da nullità, non già da inesistenza.
Il vizio, continua la sentenza, sarebbe tuttavia sanato dalla formulazione stessa della presente iniziativa giudiziaria, da cui si desume la sanatoria ex art. 156 c.p.c. dell’invalidità dalla quale la notificazione era in ipotesi affetta.
La pronuncia rimarca poi come, in concreto, la cartella esattoriale risulta essere stata invece notificata a mani della stessa destinataria il 12.3.2017 e che, in ogni caso, costei ne è venuta a conoscenza, avendo promosso la presente opposizione, senza dedurre, quale conseguenza dei pretesi vizi di notifica, alcun pregiudizio alla sua sfera giuridica, con conseguente sanatoria.
La mancata sottoscrizione del dirigente
In secondo luogo l’opponente deduce poi la nullità della cartella esattoriale poiché priva della sottoscrizione del dirigente, della data di consegna del ruolo all’esattore, dell’indicazione dei termini per impugnare e delle modalità di presentazione del ricorso in autotutela.
Per quanto concerne il primo aspetto, la Corte di Cassazione ha già chiarito che la materiale sottoscrizione del dirigente dell’ufficio che ha emesso la cartella esattoriale non ne costituisce requisito indispensabile, poiché non è richiesto dall’art. 25 D.P.R. n. 602/73.
È invece piuttosto necessario e sufficiente che essa sia inequivocamente riconducibile al concessionario della riscossione e che sia redatta secondo lo schema approvato con apposito d.m.
Ancora, i giudici chiariscono che la data di consegna del ruolo all’esattore non è uno degli elementi della cartella esattoriale, come richiesti dall’art. 7 l. n. 212/00, dove invece si indica la data della sua esecutività.
Infine, come affermato dalla Suprema Corte, l’erronea indicazione del termine per l’impugnazione o la mancata indicazione del termine o dell’Autorità alla quale proporre ricorso non determina la nullità dell’atto, ma una mera irregolarità che può essere risolta nell’impedimento al verificarsi di preclusioni processuali a seguito del mancato rispetto, da parte dell’interessato, del termine in ragione della scusabilità dell’errore in cui egli sia eventualmente incorso.
Il principio, pronunciato nelle ipotesi di arresto in materia di ordinanze di ingiunzione per sanzioni amministrative, appare applicabile anche alle cartelle esattoriale, essendo analoga la struttura normativa di riferimento e sussistendo, alla base, la medesima ratio decidendi.
La mancata notificazione di atti prodromici
Ancora, i giudici ricostruiscono come l’opponente si dolga della mancata notificazione di atti prodromici, ma non chiarisce quali siano. Sembra tuttavia alludere alla mancata notificazione di un titolo esecutivo e così aderire a quel filone ermeneutico per cui l’esattore non possa far ricorso alla procedura di riscossione mediante ruoli, in tesi consentita solo per il caso di revoca dell’agevolazione, e che debba invece munirsi, per procedere a esecuzione, di un ordinario titolo esecutivo giudiziale.
Per dirimere la questione i giudici riassumono brevemente il quadro normativo applicabile alla fattispecie.
Le banche finanziatrici hanno concesso alla debitrice principale – garantita dall’opponente – due linee di credito che erano a loro volta garantite dal Fondo pubblico della l. n. 662/96. Le banche lamentano dunque l’inadempimento del debitore, escutendo la garanzia prestata dal Fondo.
La Banca per il Mezzogiorno – Mediocredito Centrale s.p.a., nella qualità di soggetto presso il quale il fondo è costituito, si è quindi surrogata nei diritti spettanti alle banche mutuanti contro il debitore principale e i suoi fideiussori.
Non è stato prodotto l’atto con il quale il Fondo ha prestato la garanzia richiesta, ma la circostanza di fatto è pacifica tra le parti.
L’emissione della cartella di pagamento
Poiché la legge prevede che, una volta escussa, dalla banca finanziatrice, la garanzia prestata dal Fondo, quest’ultimo, surrogatosi ex lege nel credito di quella, possa recuperarlo ricorrendo
come previsto dall’art. 9, comma 5, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 123, [al]la procedura esattoriale di cui all’art. 67 del decreto del Presidente della Pagina 6 di 22 Repubblica 28 gennaio 1988, n. 43, così come sostituita dall’art. 17 del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46,
esso ha costituito, contro la parte debitrice, un ruolo esattoriale, cui ha fatto seguito l’emissione di una cartella di pagamento ad opera del concessionario per la riscossione.
Parte della giurisprudenza – ricostruisce la sentenza – dubitava della possibilità di procedere a tale iscrizione a ruolo, in mancanza di un apposito e preesistente titolo esecutivo.
Invero, come si è visto, la legge rimanda al d. lgs. n. 46/99 e, in particolare, al suo art. 17, che disciplina la riscossione mediante ruolo delle entrate dello Stato.
Tale ultima disposizione va coordinata con il restante articolato della medesima fonte normativa e, in particolare, con il successivo art. 21, a mente del quale,
salvo che sia diversamente disposto da particolari disposizioni di legge, e salvo, altresì, quanto stabilito dall’art. 24 risultano da titolo avente efficacia esecutiva” per le entrate degli enti previdenziali, le entrate previste dall’articolo 17 aventi causa in rapporti di diritto privato sono iscritte a ruolo quando onde stabilire le modalità di recupero del credito per il quale è causa, occorre, pertanto, chiarirne preliminarmente la natura giuridica: se cioè, scaturente da un rapporto di diritto pubblico o di diritto privato.
Nella sentenza si legge poi che il credito che era originariamente spettante a Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. e a Banco di Napoli s.p.a. deriva da due contratti di finanziamento concessi alla debitrice principale, garantita a sua volta dal fideiussore opponente e, dunque, da rapporti di tipo privatistico.
La surrogazione
In seguito all’evoluzione di cui si è detto, l’attuale creditore è la Banca per il Mezzogiorno – Mediocredito Centrale, surrogatasi nei diritti della banca finanziatrice.
La surrogazione è un istituto giuridico che implica l’acquisto di un diritto di credito per via derivativa e a ciò consegue che essa ne presuppone l’esistenza in capo all’originario creditore, non potendosi, in difetto, ravvisare alcun fenomeno successorio, e che non incide sull’identità oggettiva del credito.
Pertanto, il diritto di Mediocredito Centrale coincide con quello in precedenza vantato dalla banca finanziatrice, presentando come tale connotazione privatistica.
Quindi, l’art. 9 d. lgs. n. 123/98, nel disciplinare le modalità della revoca degli interventi di sostegno pubblico alle imprese, prevede che al recupero dei crediti da restituzione si provveda mediante dal Fondo a titolo di perdite. In modo analogo, l’art. 8 bis d.l. n. 3/15, nel riferirsi specificamente al Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, contiene una disposizione analoga in merito alla restituzione delle somme liquidate.
Tuttavia, secondo un filone giurisprudenziale ricordato dalla sentenza, ciò non porta a deviare dalle conclusioni sopra raggiunte, considerato che entrambe tali disposizioni non fanno che abilitare il ricorso alla speciale procedura di riscossione mediante ruoli, senza, tuttavia, modificare i principi generali che la reggono, come la necessità che l’ente creditore si munisca di apposito titolo esecutivo, ove il suo diritto origini da rapporti di diritto privato.
L’intervento della Cassazione
I giudici rammentano però che questo costrutto è stato smentito dalla Cassazione, che (v. Cass., Sez. III, n. 1005/23; Sez. VI, n. 9657/24), ha osservato che il Fondo, surrogandosi nel credito della banca finanziatrice, attribuisce ad esso una coloritura nuova e pubblicistica, perché è connessa al recupero di risorse erariali stanziate al fine di promuovere l’accesso delle piccole e medie imprese ai finanziamenti bancari e di agevolare, di conseguenza, i loro investimenti.
A quanto sopra consegue anche che l’iscrizione a ruolo e la successiva riscossione esattoriale prescindono dal conseguimento di un sottostante titolo esecutivo. Non si deve considerare l’attinenza a un’entrata di tipo privatistico.
L’eccezione relativa alla mancata notificazione di un atto presupposto e, in particolare, di un preesistente titolo esecutivo, deve dunque essere disattesa.
Ancora, l’opponente deduce la carenza di motivazione della cartella e la sua irregolare iscrizione in un ruolo straordinario, in assenza di alcun pericolo per la riscossione, che è invece previsto dall’art. 11 D.P.R. n. 602/73 come presupposto per l’emissione di tale titolo esecutivo.
L’eccezione sollevata da Mediocredito
Tuttavia, come eccepito da Mediocredito la società debitrice è stata sottoposta a procedura concorsuale.
Questa circostanza ne attesta la condizione di insolvenza, che a sua volta determina il pericolo per la riscossione che giustifica l’emissione del ruolo straordinario.
La cartella esattoriale deve inoltre contenere la specifica motivazione quando rappresenta il primo atto impositivo ricevuto dal debitore. In concreto, le informazioni che sono complessivamente fornite alla parte opponente sono sufficienti a chiarire adeguatamente la natura e l’oggetto del credito controverso, ritenendosi con ciò assolto l’onere motivazionale incombente sul concessionario.
Nella fattispecie, la cartella stessa indica chiaramente la fonte dei crediti erariali (“surroga MCC a seguito di escussione di garanzia sull’operazione n. […]”) e, in ogni caso, l’opponente non ha subito o dedotto alcun concreto pregiudizio al suo diritto di difesa, avendo anzi compiutamente percepito, difendendosi nel merito, l’origine della sua obbligazione.
La cessione dei diritti
Ancora, l’opponente nega che i diritti derivanti in favore delle banche finanziatrici possano intendersi ceduti a MCC in seguito all’escussione della garanzia e alla sua conseguente surrogazione nel credito, sostenendo che il tessuto normativo applicabile al caso di specie implicherebbe esplicitamente la surrogazione del Fondo solo nei crediti contro l’impresa finanziata, e non già contro i suoi garanti.
Anche aderendo alla qualificazione del rapporto in oggetto nei sensi suggeriti dall’opponente, non può però concludersi che esso sfugga agli effetti della surrogazione.
Il d.m. 20.6.2005 chiarisce infatti che
ai sensi dell’art. 1203 del codice civile, nell’effettuare il pagamento, il Fondo acquisisce il diritto a rivalersi sulle piccole e medie imprese inadempienti per le somme da esso pagate.
La norma richiama l’istituto codicistico della surrogazione legale, gli effetti del quale sono disciplinati anche dall’art. 1204 c.c., norma che stabilisce che la surrogazione abbia effetto anche contro i terzi che abbiano prestato garanzie per il debitore, senza peraltro distinguere fra quelle tipiche e quelle atipiche e senza escludere alcuna forma di esse.
Per il giudice, d’altronde, non si capisce quale possa essere l’interesse nel prestatore di garanzia autonoma – e non nel semplice fideiussore – tale da escludere che il credito nei suoi confronti possa essere ceduto a soggetti diversi dal suo originario titolare, rimanendo immutate, al succedersi di quelli, la sua posizione giuridica e l’alea ad essa connaturata, dipendente dalla condotta del debitore principale.
L’autonomia della garanzia
L’autonomia della garanzia in oggetto non è totale né assoluta. Residua dunque in capo a chi l’ha prestata, la possibilità di sollevare nei confronti del creditore – sia pur limitate eccezioni inerenti al rapporto principale
l’accessorietà dell’obbligazione autonoma di garanzia rispetto al rapporto debitorio principale assume un carattere certamente più elastico, di semplice collegamento/coordinamento tra obbligazioni, ma non viene del tutto a mancare, come dimostrato, da un lato, dalla rilevanza delle ipotesi in cui il garante è esonerato dal pagamento per ragioni che riguardano comunque il rapporto sottostante […]; dall’altro, dal meccanismo di riequilibrio delle diverse posizioni contrattuali attraverso il sistema delle rivalse.
Da tale residua connessione si trae argomento per l’ambulatorietà della garanzia autonoma in parallelo al credito principale, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità.
La prova dell’escussione della garanzia
Tra le ultime eccezioni, l’opponente lamenta che non vi sia stata prova dell’avvenuta escussione della garanzia da parte delle banche finanziatrici, né, di credito principale.
L’eccezione è ammissibile. È vero che
nel giudizio di opposizione all’esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ., l’opponente ha veste sostanziale e processuale di attore; pertanto, le eventuali “eccezioni” da lui sollevate per contrastare il diritto del creditore a procedere ad esecuzione forzata costituiscono “causa petendi” della domanda proposta con il ricorso in opposizione e sono soggette al regime sostanziale e processuale della domanda, sicché l’opponente non può mutare la pretesa modificando le eccezioni che ne costituiscono il Pagina 17 di 22 fondamento, né il giudice può accogliere l’opposizione per motivi che costituiscono un mutamento di quelli espressi nel ricorso introduttivo” (v. Cass., Sez. III, n. 1328/11).
Questo principio deve tuttavia essere raccordato con la successiva evoluzione del diritto vivente in ordine alla distinzione fra mutatio ed emendatio libelli, per cui la
modificazione della domanda ammessa ex art. 183 cod. proc. civ. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (“petitum” e “causa petendi”), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l’allungamento dei tempi processuali” (cfr. Cass., Sez. Un., n. 12310/15).
Sulla base di ciò, i giudici ritengono così che l’introduzione nel processo di ulteriori eccezioni finalizzate a contrastare il diritto di procedere a esecuzione, pur rappresentando indubbiamente un’innovazione della causa petendi, non si risolvano necessariamente nella proposizione di una domanda nuova.
Le condizioni della Cassazione
Al contrario, possono determinare, alle condizioni richiamate dalle Sezioni Unite della Cassazione, una mera modificazione della stessa, ammissibile entro i termini previsti dalla legge.
Una considerazione che il tribunale ritiene che debba essere affermato a maggior ragione nel caso di opposizione c.d. preventiva all’esecuzione, dove – in assenza della struttura bifasica propria dell’opposizione c.d. successiva – non sussiste l’esigenza di preservare la coincidenza fra i motivi dedotti nel ricorso introduttivo e quelli versati nel giudizio a cognizione piena.
Nella fattispecie ora in commento, i fatti impeditivi dell’altrui diritto esposti nella memoria istruttoria dell’opponente, anche se ulteriori rispetto a quelli enunciati in citazione, sono finalizzati a ottenere il medesimo bene della vita, ovvero l’accertamento negativo dell’altrui diritto di procedere a esecuzione, e strettamente collegati alla preesistente definizione della vicenda contenziosa.
Nel concreto, conclude poi la sentenza, MCC ha documentato il proprio pagamento in favore di MPS e di Banco di Napoli s.p.a. con le comunicazioni allegate, ad esse dirette, di deliberazione di liquidazione della perdita per l’importo corrispondente alla garanzia prestata. realmente avvenuto.
Tutto ciò manifesta però solamente la disponibilità del garante a indennizzare gli originari creditori. Non dimostra invece che il pagamento sia eseguito.
Tra le memorie è però rinvenibile una PEC proveniente da MPS, che conferma l’avvenuto incasso per la posizione oggetto della lite.
La quietanza, proveniente da un terzo – peraltro non certo interessato a dimostrare la sia pur parziale estinzione del debito – dimostra a sufficienza l’avvenuto pagamento dello stesso.