Chi può chiedere il fallimento – indice:
Nel nostro sistema giuridico l’iniziativa per l’apertura della procedura concorsuale sul patrimonio del debitore (fallimento) è rimessa sia all’iniziativa privata, che all’iniziativa pubblica. Ma chi sono i soggetti legittimati a richiedere il fallimento del debitore? Cerchiamo di compiere qualche chiarimento in materia, svelando tutto ciò che c’è da sapere sulla legittimazione a domandare il fallimento.
L’iniziativa privata
L’iniziativa privata è certamente quella più ampiamente fruita quando si tratta di richiedere l’apertura di una procedura concorsuale sul patrimonio del debitore.
In essa, un ruolo decisivo è sicuramente attribuito ai creditori, legittimati a richiedere il fallimento del loro debitore anche se il credito non è scaduto. La sopravvenuta insolvenza del debitore determina infatti la decadenza del beneficio del termine e quindi l’immediata esigibilità del loro credito.
Si noti come la qualità di creditore che è richiesta dall’art. 6 della Legge Fallimentare, non presuppone l’avvenuto accertamento giudiziale del credito ne è necessario che l’istante disponga di un titolo anche solo provvisoriamente esecutivo, essendo viceversa sufficiente che in sede di dichiarazione del fallimento, l’esistenza del credito possa essere accertata incidentalmente, anche in presenza di contestazioni del debitore, allo scopo esclusivo di verificare la legittimazione del creditore istante.
Nell’iniziativa privata, inoltre, la legittimazione è attribuita anche al debitore. Rimane da chiarire – dalla lettura del tenore dell’art.6 L.F. non si capisce in modo univoco – se il debitore abbia una mera facoltà o un vero e proprio obbligo di richiedere il proprio fallimento.
Peraltro, bisogna ricordare come l’art. 217, al comma 1, prevede come fattispecie delittuosa (la bancarotta semplice) il comportamento di quel debitore che “ha aggravato il proprio dissesto astenendosi dal richiedere al dichiarazione del proprio fallimento”. In tali limiti, è configurabile un vero e proprio obbligo del debitore di richiedere il proprio fallimento.
L’iniziativa pubblica
Chiarito che l’iniziativa privata di aprire la procedura fallimentare può spettare al creditore o al debitore stesso, rimane da comprendere come l’iniziativa pubblica possa estrinsecarsi nel concreto.
Innanzitutto, si può ricordare come la legittimità della richiesta di fallimento spetti al pubblico ministero se l’insolvenza risulta all’interno di un procedimento penale, e quindi in funzione dell’esercizio dell’azione penale, in funzione degli artt. 216 ss., con riguardo alle quali la dichiarazione di fallimento assume rilievo di elemento costitutivo del reato.
In aggiunta a ciò, la nuove versione dell’art. 7 prevede anche l’iniziativa del pubblico ministero quando l’insolvenza risulta dalla segnalazione del giudice che l’abbia rilevato nel corso di un procedimento civile. La segnalazione può provenire dal giudice civile che ha rilevato l’insolvenza di un imprenditore commerciale di un procedimento monitorio nel quale viene emanato un decreto ingiuntivo che è provvisoriamente esecutivo, per importo non trascurabile, o ancora in un procedimento per sequestro conservativo, in un procedimento esecutivo.
La soppressione dell’iniziativa di ufficio è dunque stata bilanciata dalla possibilità di segnalare al ubblico ministero, che può provenire dallo stesso tribunale fallimentare, “anche – si legge nella Relazione – nei casi di rinuncia al ricorso per dichiarazione di fallimento da parte dei creditori istanti”, ovvero in quelli che in precedenza rappresentano le ipotesi tipiche della peraltro poco frequente iniziativa d’ufficio.
Anche nell’ipotesi di incidenti di percorso in un procedimento finalizzato a regolare la crisi mediante un’intesa con i creditori, è previsto che il fallimento vada dichiarato “su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero”. Così avviene nell’ipotesi di declaratoria di inammissibilità della proposta di concordato preventivo, o ancora nell’ipotesi di inammissibilità della proposta di concordato preventivo, o ancora in caso di compimento di atti di frode o di atti non autorizzati, e infine di diniego di omologazione.
Dove si apre la procedura di fallimento
La competenza a dichiarare il fallimento è del tribunale del luogo dove l’impresa ha la sede principale. Si tratta, in questo caso, di competenza funzionale, che è prevista non solamente per la pronuncia, quanto anche per il procedimento che con essa si apre, e che verrà svolto mediante la verifica della situazione debitoria del fallito e l’amministrazione e liquidazione del suo patrimonio, ed è pertanto razionale che debba essere svolta laddove si concentra la maggior parte dei rapporti che fanno capo all’impresa.
Diviene dunque importante capire dove ha sede principale l’impresa. Un concetto che generalmente coincide con quello di sede legale, come risulta dal registro delle imprese, che si risulta possa presumersi con quella effettiva. Può tuttavia accadere anche che la sede legale sia fissata in un determinato luogo, ma che in realtà la sede effettiva sia altrove. In questo caso, ovvero nell’ipotesi di divergenza tra la sede legale e la sede effettiva, la competenza va determinata con riguardo a quest’ultima.
A sua volta, con sede effettiva si intende quella in cui si svolge l’attività amministrativa e direzionale, mentre non rileva il luogo in cui si trovano gli stabilimenti e dove viene esercitata l’attività produttiva. L’importanza della sede amministrativa non deve stupire, visto e considerato che il curatore subentrerà al fallito nell’amministrazione del patrimonio e dovrà esercitare le sue funzioni nel luogo in cui fino ad allora l’imprenditore provvedeva alla sua amministrazione, ovvero nel luogo in cui si presume che siano presenti le scritture contabili, viene intrattenuta la corrispondenza, e così via.
Naturalmente, può anche capitare che l’impresa abbia diverse sedi secondarie, che non rilevano tuttavia al fine della determinazione della competenza. Se tuttavia vengono esercitate dallo stesso soggetto diverse attività imprenditoriali autonome, aventi ciascuna la propria sede amministrativa, non è più possibile individuare una sede principale dell’impresa. In questo caso è competente a dichiarare il fallimento il tribunale del luogo in cui viene esercitata ciascuna delle autonome attività imprenditoriali, trovando applicazione il principio della prevenzione, tale per cui la dichiarazione di fallimento da parte di uno dei tribunali competenti preclude la dichiarazione di fallimento da parte degli altri.
Infine, si ricorda come il trasferimento della sede influisce sulla competenza purché sia effettivo e tempestivo. Insomma, se come abbiamo visto qualche riga fa per la determinazione della competenza bisogna fare riferimento alla sede effettiva e non alla sede legale, risulta evidente come il trasferimento della sede possa influire sulla competenza solamente se è effettivo. Per quanto concerne poi il carattere di tempestività, si farà riferimento al fatto che il trasferimento della sede intervenuto nell’anno antecedente all’esercizio dell’iniziativa per la dichiarazione di fallimento non sarà rilevante ai fini della competenza. Pertanto, rileverà solamente se il trasferimento della sede è avvenuta almeno un anno prima del momento in cui viene avviata l’iniziativa per la dichiarazione di fallimento.