Reintegrato il lavoratore licenziato senza preventiva contestazione – guida rapida
L’ordinanza n. 28927 dell’11 novembre 2024 da parte della Corte di Cassazione afferma che l’assenza di una preventiva contestazione può inficiare l’intero procedimento disciplinare, comportando la reintegra del dipendente sul luogo di lavoro.
Il licenziamento per giusta causa e l’assenza di contestazione
La Corte d’appello di Napoli ha accolto il reclamo di un lavoratore e, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato illegittimo il licenziamento per giusta causa intimato dal datore di lavoro applicando la tutela di cui all’art. 18, comma 4, legge 300 del 1970, come modificato dalla legge 92 del 2012.
La Corte d’appello, qualificato il licenziamento come disciplinare, ha accertato che lo stesso era stato intimato senza alcuna preventiva contestazione di addebito. Ha dunque ritenuto applicabile la tutela reintegratoria di cui all’art. 18, comma 4 cit. (anziché quella prevista dall’art. 18, comma 6, adottata dal tribunale), richiamando precedenti di legittimita in termini (Cass. n. 25745 del 2016; n. 4879 del 2020).
Contro la sentenza, il datore di lavoro ha proposto ricorso per Cassazione.
I motivi del ricorso
Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 18, commi 4 e 6, della legge n. 300 del 1970, come modificato dalla legge 92 del 2012, e dell’art. 3 Cost. in relazione al canone di ragionevolezza, per avere la Corte d’appello ricondotto il vizio dell’omessa preventiva contestazione disciplinare alla previsione dell’art. 18 comma 4 cit., anziché al comma 6 della medesima disposizione.
Con il secondo motivo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 18, commi 4 e 6, della legge n. 300 del 1970, come modificato dalla legge 92 del 2012, per avere i giudici di appello trascurato che il comma 6 dichiara inefficace il licenziamento per “violazione del requisito di motivazione di cui all’art. 2, comma 2, della legge 15 luglio 1966 n. 604″ e “della procedura di cui all’art. 7 della presente legge…”, prescrivendo la tutela indennitaria ed eccettuando la sola ipotesi in cui il giudice accerti l’assenza di giustificazione del recesso (“a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti che vi è anche un difetto di giustificazione del licenziamento”).
Con il terzo motivo è poi dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 18, commi 4 e 6, della legge n. 300 del 1970, come modificato dalla legge 92 del 2012, e dell’art. 324 c.p.c.
Si osserva in tal punto che il lavoratore non ha mai dedotto né provato a dimostrare l’insussistenza del fatto contestato e che la stessa sentenza d’appello dà atto che nessuna verifica è stata compiuta sulla insussistenza del fatto contestato e che tale capo di sentenza è passato in giudicato.
Con il quarto e ultimo motivo, infine, si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., error in procedendo per avere la Corte d’appello, a fronte di una norma (art. 18, comma 6) che richiede |’accertamento della inesistenza della causa giustificatrice del licenziamento al fine di disapplicare il citato sesto comma, ritenuto applicabile la tutela reintegratoria di cui all’art. 18, comma 4, senza alcuna motivazione.
Le valutazioni della Corte di Cassazione
I motivi di ricorso vengono trattati congiuntamente perché riguardano tutti la questione della tutela applicabile al licenziamento privo di qualsiasi motivazione, e sono ritenuti infondati.
Per giungere a tale valutazione, la Corte di Cassazione esordisce sostenendo come l’art. 18, comma 6, della legge 300/70, come novellato dalla legge 92/2012 dispoga che
nell’ipotesi in cui il licenziamento sia dichiarato inefficace per violazione del requisito della motivazione di cui all’art. 2, comma 2, della legge 15 luglio 1966 n. 604 e successive modificazioni, della procedura di cui all’art. 7 della presente legge, o della procedura di cui all’art. 7 della legge 15 luglio 1966 n. 604, e successive modificazioni, si applica il regime di cui al quinto comma, ma con attribuzione al lavoratore di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata,
in relazione alla gravita della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei e un massimo di dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, con onere di specifica motivazione a tale riguardo, a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti che vi è anche un difetto di giustificazione del licenziamento, nel qual caso applica, in luogo di quelle previste dal presente comma, le tutele di cui ai commi quarto, quinto o settimo.
Con indirizzo unanime, la Corte di Cassazione ha poi già statuito che in tema di licenziamento disciplinare, il radicale difetto di contestazione dell’infrazione determina l’inesistenza dell’intero procedimento, e non solo l’inosservanza delle norme che lo disciplinano, con conseguente applicazione della tutela reintegratoria per il caso di difetto assoluto di giustificazione del provvedimento espulsivo, tale dovendosi ritenere un licenziamento disciplinare adottato senza alcuna contestazione di addebito.
Questa interpretazione è supportata dal precetto normativo che collega la tutela reintegratoria attenuata all’insussistenza del “fatto contestato”, ponendo in tal modo la preventiva contestazione del fatto disciplinarmente rilevante quale presupposto logico e giuridico necessario per la valutazione di illegittimità del recesso in relazione alla necessaria causalità dello stesso.
Per i giudici della Suprema Corte non si può giungere a conclusioni diverse con l’inciso contenuto nel sesto comma dell‘art. 18 (“a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti che vi & anche un difetto di giustificazione del licenziamento”), che è finalizzato solo a ribadire l’esistenza di una scala di priorità tra l’illegittimità del licenziamento per carenza di giusta causa, cui è connessa una tutela più ampia, e l’illegittimità dello stesso per vizi procedurali, cui si applica una tutela più lieve, con conseguente divieto di assorbimento.
Per la Cassazione, infine, non può dirsi formato alcun giudicato, come invece dedotto nel terzo motivo di ricorso: è infatti stata devoluta con il reclamo la questione della tutela applicabile che involge il riesame della fattispecie nella sua integralità.
Per queste ragioni si respinge il ricorso.