Responsabilità amministratori per inadempimento società verso fornitori – guida rapida
La sentenza n. 8483 dello scorso 18 settembre del Tribunale di Napoli si è espressa sulla responsabilità degli amministratori di una società di capitali per inadempimento nei confronto di un fornitore.
L’occasione è naturalmente utile per soffermarsi sulla responsabilità diretta dell’amministratore nei confronti di soci e terzi ex art. 2476 c.c. e sulla responsabilità dell’amministratore nei confronti dei creditori.
La responsabilità extracontrattuale ex art. 2476 c.c.
In particolare, riferendosi alla responsabilità extracontrattuale di cui all’art. 2476 c.c., viene evidenziato come affinché la stessa si configuri sia necessario dimostrare un’attività illecita di tipo doloso o colposo da parte dell’amministratore, che in modo diretto abbia prodotto un danno nella sfera giuridica del terzo.
L’attore nella fattispecie in esame aveva invece dedotto il mero inadempimento della società gestita, oltre ad altre condotte che non potevano essere considerate né illecite né direttamente dannose nei suoi riguardi, ma al limite svantaggiose per il patrimonio sociale.
L’infondatezza della domanda
Più nel dettaglio, il giudice ha rammentato come l’art. 2476 c.c., al settimo comma, con previsione analoga a quella ex art. 2395 c.c. in tema di società per azioni, disponga che
le disposizioni dei precedenti commi (che hanno per oggetto la disciplina dell’azione sociale di responsabilità) non pregiudicano il diritto al risarcimento dei danni spettante al singolo socio o al terzo che sono stati direttamente danneggiati da atti dolosi o colposi degli amministratori.
L’azione individua spetta ai soci o ai terzi, e dunque anche ai creditori sociali. Il fine è il risarcimento dei danni ad essi derivati per effetto di atti dolosi o colposi degli amministratori, rientrando così nello schema della responsabilità aquiliana, essendo species della responsabilità extracontrattuale di cui all’art. 2043 c.c.
Il Tribunale rammenta poi come l’utile accesso all’azione di cui all’art. 2476 c.c. presuppone che i danni subiti dal socio o dal terzo non siano solo il riflesso di quelli arrecati al patrimonio sociale, ma siano direttamente cagionati al socio o al terzo, come conseguenza immediata della condotta degli amministratori stessi.
L’azione individuale è pertanto utilmente esperibile solo se la violazione del diritto individuale del socio o del terzo è in rapporto casuale diretto con l’azione degli amministratori.
L’inadempimento contrattuale della società
Ancora, prosegue il Tribunale in relazione a quanto di interesse per questa fattispecie, l’azione di cui all’art. 2476 c.c., settimo comma, riguarda fatti addebitabili esclusivamente agli amministratori e non riversabili sulla società.
Anche sotto questo profilo, dunque, differisce dall’azione proposta direttamente nei confronti della società per violazione degli specifici obblighi contrattuali o extracontrattuali su di essa gravanti.
Con riferimento all’azione individuale promossa dal terzo che abbia concluso con la società un contratto rimasto inadempimento, si precisa che la responsabilità che viene in rilievo per gli effetti di cui agli artt. 2476 e 2395 c.c. non può farsi discendere da un mero inadempimento contrattuale della società. Postula infatti l’addebitabilità all’amministratore di attività ulteriori e diverse che per loro illiceità di natura extracontrattuale ledano il diritto soggettivo patrimoniale del terzo.
Insomma, l’inadempimento contrattuale di una società di capitali non può implicare di per sé una responsabilità risarcitoria degli amministratori nei confronti dell’altro contraente. La responsabilità di cui ai già citati articoli, di natura extracontrattuale, postula fatti illeciti direttamente imputabili a comportamento colposo o doloso degli amministratori medesimi, come si evince dall’avverbio direttamente, che esclude che detto inadempimento e la pessima amministrazione del patrimonio sociale siano sufficienti per dare ingresso all’azione di responsabilità.
L’opinione della giurisprudenza di legittimità
A questo punto il Tribunale richiama alla mente l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, con la Corte di Cassazione che a ribadito come a fronte dell’inadempimento contrattuale di una società di capitali la responsabilità risarcitoria degli amministratori nei confronti dell’altro contraente non derivi automaticamente da tale loro qualità, ma richieda ex art. 2395 c.c. la prova di una condotta colposo o dolosa degli amministratori stessi, del danno e del nesso casuale tra questa e il danno patito dal terzo contraente.
Per la giurisprudenza di legittimità, in tema di azioni nei confronti dell’amministratore di società, il terzo è legittimato anche dopo il fallimento della società all’esperimento dell’azione aquiliana per ottenere il risarcimento dei danni subiti nella propria sfera individuale, come conseguenza di atti dolosi o colposi compiuti dall’amministratore, se questi sono una conseguenza immediata e diretta del comportamento denunciato e non il mero riflesso del pregiudizio che ha colpito l’ente, ovvero il ceto creditorio per effetto della cattiva gestione, essendo altrimenti proponibile la diversa azione contrattuale ex art. 2394 c.c.
È altresì precisato come l’inadempimento contrattuale di una società di capitali non implica di per sé la responsabilità per danni dell’amministratore nei confronti dell’altro contraente. Il danno direttamente arrecato a terzi ha infatti una propria autonoma genesi, non derivando dal danno arrecato al patrimonio sociale.
Dunque, la responsabilità risarcitoria di cui all’azione ex art. 2395 c.c. o art. 2476 c.c. richiede una condotta illecita connotata da dolo o colpa. Deve dunque trascendere il mero inadempimento contrattuale, anche se può essere ad esso connessa.
L’effetto sul patrimonio del terzo
Il Collegio ha osservato che il danno diretto postulato per l’esercizio dell’azione ex art. 2476 c.c. è cosa ben diversa, limitata all’effetto immediato sul patrimonio del terzo dell’atto compiuto dall’amministratore, da intendersi nel senso che l’azione denunciata deve avere avuto una ripercussione diretta sulla sua sfera individuale.
Nel caso in esame, prosegue ancora il giudice, la parte attrice ha dedotto il mero inadempimento contrattuale della società di capitali. Ha agito direttamente nei confronti dell’amministratore per la violazione degli obblighi contrattuali connessi alla carica che ritiene aver costituito la causa dei danni lamentati.
L’istante non ha però provato l’illiceità dell’attività dell’amministratore. Né ha provato il compimento di atti dolosi o colposi da parte di quest’ultimo. Si è invece limitato a dedurre che l’amministratore ha provveduto alla chiusura di tutti i locali di impresa. Un fatto che però, di per sé, non costituisce un atto illecito dell’amministratore, né implica una diretta ripercussione sul patrimonio del creditore.
Inoltre, la parte istante ha evidenziato come l’assemblea abbia cambiato oggetto sociale, ampliandolo. L’atto non è però evidentemente riconducibile alla figura dell’amministratore bensì, appunto, all’assemblea dei soci.
Infine, ricorda ancora il giudice, la parte attrice ha allegato i comportamenti dell’amministratore e dei soci che, a prescindere dalla fondatezza del merito, in ogni caso avrebbero inciso direttamente solo rispetto al patrimonio della società, determinando una lesione indifferenziata della garanzia generica di cui godono tutti i creditori sul patrimonio sociale e non un danno diretto al suo patrimonio.
Si esclude così che sia stata fornita la prova del nesso diretto tra la condotta dell’amministratore e la lesione patrimoniale sofferta dalla parte attrice, in mancanza di atti o fatti illeciti commessi dal convenuto.
La responsabilità degli amministratori verso i creditori
Passando invece al tema della responsabilità degli amministratori verso i creditori, di cui all’art. 2476 c.c., si ribadisce la natura di azione autonoma e non surrogatoria rispetto a quella che spetta alla società, evidenziando poi come per ritenere il gestore responsabile allo stesso siano ascrivibili azioni o omissioni, perpetrate in violazione dei suoi doveri di diligenza e perizia, tali da avere diminuito il patrimonio sociale tanto da renderlo incapace di soddisfare le pretese del creditore.
Su questo punto il Tribunale ha rilevato la carenza di prova sul nesso causale, ovvero come l’attore non abbia provato che l’impossibilità di soddisfarsi sul patrimonio della società sia stata causata dalla mala gestio dell’amministratore.
Più nel dettaglio, il giudice ha ricordato che l’art. 2476 c.c. e l’art. 2394 c.c. prevede che gli amministrano rispondano verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale.
La responsabilità degli amministratori nei confronti dei creditori sociali ex art. 2476 e art. 2394 c.c. è dunque sottoposta a un duplice presupposto. Da una parte l’inosservanza degli obblighi che sono inerenti la conservazione dell’integrità del patrimonio sociale. Dall’altra parte la conseguente sua insufficienza al soddisfacimento delle ragioni dei creditori.
L’insufficienza patrimoniale come eccedenza delle passività sulle attività
Viene poi ricordato che l’insufficienza patrimoniale deve essere intesa come eccedenza delle passività sulle attività del patrimonio netto dell’impresa. Sussiste dunque se l’attivo sociale, raffrontato ai debiti della società, sia insufficiente al loro soddisfacimento.
Si tratta pertanto di una condizione più grave e definitiva rispetto alla mera insolvenza. La quale, ricordiamo, è indicata dalla Legge fallimentare come incapacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. Una condizione a cui la società si può ben trovare quando, anche se il patrimonio è integro, non può far fronte regolarmente ai propri debiti. Potrebbe inoltre accadere anche l’opposto. Ovvero, l’impresa presenta una eccedenza del passivo sull’attivo ma permane nelle condizioni di liquidità e di credito richieste.
Inoltre, la situazione di insufficienza patrimoniale è inoltre diversa anche dall’eventualità della perdita integrale del capitale sociale. Quest’ultima evenienza può infatti verificarsi anche se vi è un pareggio tra attivo e passivo. Tutti i beni sono infatti assorbiti dall’importo dei debiti. E, dunque, tutti i creditori potrebbero trovare di che soddisfarsi nel patrimonio societario.
Ora, per il giudice i precetti che sono recati nei già citati art. 2476 e 2394 c.c. configurano un’azione autonoma rispetto all’azione sociale di responsabilità. Dunque, una responsabilità diretta verso i creditori sociali degli amministratori che, con azioni o omissioni che costituiscono violazione degli obblighi sulla conservazione del patrimonio sociale, abbiano casualmente determinato l’insufficienza dello stesso al soddisfacimento dei creditori sociali.
Quando si verifica la responsabilità degli amministratori
Si parte così dal presupposto che la responsabilità si verifichi in caso di comportamenti degli amministratori funzionali a una diminuzione del patrimonio sociale. L’entità di tale diminuzione deve però essere di entità tale da rendere lo stesso non idoneo, per difetto ad assolvere la sua funzione di garanzia generica. Sorge così il conseguente diritto dei creditori ad ottenere a titolo di risarcimento l’equivalente della prestazione che la società non è più in grado di compiere.
L’obiettivo dell’azione è pertanto quello della riparazione del danno subito dal creditore mediante lesione della sua garanzia patrimoniale generica. Garanzia che, in buona sostanza, è costituita proprio dal patrimonio della società. Il danno consiste invece nella diminuzione del valore di realizzazione del credito. È, evidentemente, una conseguenza della riduzione delle possibilità di soddisfacimento del credito, dovuta alla sopravvenuta insufficienza, o azzeramento della massa disponibile.
In tale prospettiva, la ricostruzione di cui all’art. 2476 e 2394 c.c. in termini di domanda spettante al creditore in via autonoma e non surrogatoria permette di affermare che il risarcimento ottenuto in esito alla proposizione della domanda in argomento non sia a vantaggio della società ma direttamente al creditore che agisce in giudizio. Il tutto, anche se il danno allegato consiste nella lesione perpetrata dagli amministratori all’integrità del patrimonio sociale. E, solo di riflessione, nella lesione al diritto del creditore sociale.
I presupposti per l’azione di responsabilità sugli amministratori
Dunque, conclude il giudice, presupposti necessari per l’esperimento dell’azione di responsabilità verso gli amministratori ex art. 2476 e 2394 c.c. devono ritenersi:
- la veste di creditore sociale in capo all’istante;
- l’esistenza di un pregiudizio patrimoniale per il creditore. Il pregiudizio è costituito dall’insufficienza del patrimonio sociale a soddisfarne le ragioni di credito;
- la condotta illegittima degli amministratori;
- il rapporto di causalità tra pregiudizio e condotta, dovendosi peraltro anche commisurare l’entità del danno alla riduzione della massa attiva disponibile in favore del medesimo creditore istante.
Il giudice rimarca ancora come l’utile accesso al rimedio di cui all’art. 2476 e 2394 c.c. presuppone la ascrivibilità agli amministratori di una condotta illegittima e la sussistenza di un rapporto di causalità tra questa condotta e il pregiudizio subito dal patrimonio dell’ente.
L’esercizio dell’azione di responsabilità verso gli amministratori
Si rammenta infine che in linea generale
per l’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore di una società di capitali non è sufficiente invocare genericamente il compimento di atti di mala gestione e riservare una più specifica descrizione di tali comportamenti nel corso del giudizio,
atteso che per consentire alla controparte di approntare un’adeguata difesa, nel rispetto del principio processuale del contraddittorio, la causa petendi deve, sin dall’inizio, sostanziarsi nell’indicazione dei comportamenti asseritamente contrari ai doveri imposti agli amministratori dalla legge o dallo statuto sociale.
Ciò vale tanto ove venga esercitata un’azione sociale di responsabilità, quanto laddove venga esperita un’azione dei creditori sociali, perché anche la mancata conservazione del patrimonio sociale può generare responsabilità non già in conseguenza dell’alea insita nell’attività di impresa, ma in relazione alla violazione di doveri legali o statutari che devono essere identificati nella domanda nei loro estremi fattuali.
Fatte queste considerazioni di ordine generale, e passando così alla fattispecie concreta, il giudice osserva come le doglianze dell’istante creditore non potrebbero valere a fondare la responsabilità dell’amministratore.
A fondare la responsabilità dell’amministratore ex art. 2476 comma sesto c.c. e 2394 c.c. non può valere la mera insufficienza del patrimonio sociale, occorrendo anche che la stessa sia conseguenza di atti di mala gestione, ovvero omissioni e condotte illegittime poste in essere dall’amministratore in violazione degli obblighi correlati alla carica e in contrasto con il generale dovere di preservare l’integrità del patrimonio sociale.
Nel caso di specie, conclude la sentenza, nulla è stato dedotto dalla parte attrice che, invece, si è limitata a dedurre che al momento dell’esecuzione forzata del decreto ingiuntivo la società era oramai inattiva avendo chiuso i locali di impresa, e che al momento del recupero del credito non risultavano beni utilmente aggredibili.