La lesione al diritto del consenso informato – indice:
Torniamo oggi a occuparci di responsabilità medica e, in particolar modo, delle ipotesi di responsabilità da lesione del diritto al consenso informato, separate dalle ipotesi di responsabilità per determinato danno alla salute.
L’occasione ci è offerta dalla recente sentenza n. 20885/2018 da parte della Corte di Cassazione, che si è concentrata sul tema della lesione del diritto al consenso informato, specificando come le conseguenze che dalla stessa possono derivare variano in base alle diverse ipotesi verificabili.
Le ipotesi di lesione da omesso consenso
Nelle ragioni della propria decisione, la Corte invita innanzitutto a tenere distinti due diversi casi di lesione da omesso consenso.
La prima ipotesi è quella della lesione del diritto al consenso informato, dalla quale si siano verificate delle conseguenze lesive per la salute del paziente, asseritamente discendenti dal trattamento sanitario, e che proprio di esse si richieda il risarcimento (danno alla salute).
La seconda ipotesi è invece quella per la quale il paziente faccia valere esclusivamente la diversa lesione del proprio diritto all’autodeterminazione in sé e per sé considerato, discendente comunque dalla violazione del relativo obbligo da parte del medico e della struttura sanitaria.
Ebbene, la separazione delle due distinte ipotesi non è certo priva di conseguenze, valutato che per la Suprema Corte solamente la prima delle due, ovvero la risarcibilità del consenso informato in quanto ne è derivato danno alla salute, può condurre a un danno risarcibile nella misura in cui il danneggiato alleghi e provi – anche per via presuntiva – che se compiutamente informato avrebbe rifiutato di sottoporsi alla terapia, perché in questo modo viene fornita la prova del nesso causale tra la mancanza di un consapevole consenso e il danno alla salute che si è verificato a seguito della sottoposizione all’operazione.
Risarcimento del diritto di consapevole autodeterminazione
La seconda ipotesi fa invece riferimento al caso in cui il danneggiato domandi esclusivamente di essere risarcito del danno che deriva da una violazione del proprio diritto ad una consapevole autodeterminazione.
Ebbene, in questo caso, la prova del rifiuto del trattamento – ove la persona fosse stata compiutamente informata – non è necessaria, perché non si assume il verificarsi di un danno diverso dalla stessa mancanza del proprio diritto all’autodeterminazione.
Tuttavia, questo danno non è incondizionatamente risarcibile.
Per i giudici, la condizione di risarcibilità (in via evidentemente equitativa) per questo tipo di danno non patrimoniale, è che si superi la soglia della gravità dell’offerta, secondo i canoni che sono delineati dalle sentenze delle Sezioni unite nn. 26972-26975/2008, con le quali si afferma che il diritto deve essere inciso oltre un certo livello minimo di tollerabilità, da determinarsi dal giudice nel bilanciamento tra principio di solidarietà e di tolleranza, secondo il parametro costituito dalla coscienza sociale in un determinato momento storico.
Non è risarcibile il danno “in re ipsa”
Ad ogni modo, la sentenza in esame precisa come anche in tale prospettiva, non essendo predicabile un danno in re ipsa, presupposto indispensabile per l’apprezzamento e per la conseguente risarcibilità di un pregiudizio discendente dalla lesione del diritto del paziente ad autodeterminarsi, è che l’intervento si ponga in una correlazione causale con le sofferenze patite, seppure nei termini esposti.
In termini più sintetici, se non è necessario per la risarcibilità di tale tipo di danno, che dall’intervento consegua un danno alla salute, è pur sempre necessario che si dimostri l’esistenza di pregiudizi riconducibili al trattamento, che possono ad esempio essere rappresentati dalle sofferenze cagionate dalle stesse modalità e dai tempi di esecuzione.
In questo senso, prosegue la pronuncia della Suprema Corte, la giurisprudenza da ultimo citata si pone in linea con un principio già contenuto nella sentenza n. 2947/2010, secondo il quale in tema di responsabilità professionale del medico,
l’inadempimento dell’obbligo di informazione sussistente nei confronti del paziente può assumere rilievo ai fini risarcitori – anche in assenza di un danno alla salute o in presenza di un danno alla salute non ricollegabile alla lesione del diritto all’informazione – tutte le volte in cui siano configurabili, a carico del paziente, conseguenze pregiudizievoli di carattere non patrimoniale di apprezzabile gravità derivanti dalla violazione del diritto fondamentale all’autodeterminazione in se stesso considerato, sempre che tale danno superi la soglia minima di tollerabilità imposta dai doveri di solidarietà sociale e che non sia futile, ossia consistente in meri disagi o fastidi.