Responsabilità medica e carenza di specializzazione – guida rapida
- Lo svolgimento del processo per la carenza di specializzazione del medico
- L’origine della causa giudiziaria
- La diversa specializzazione medica
- La condotta accertata dai giudici
Con ordinanza n. 17410/2023 la Corte di Cassazione ha affermato che la carenza della necessaria specializzazione medica non è una condizione che esclude la colpa di colui che – eseguendo un esame e pertanto assumendosene la responsabilità – lo referta in maniera erronea senza indirizzare il paziente ai necessari approfondimenti.
Per i giudici della Suprema Corte, pertanto, sussiste la responsabilità del personale sanitario per non avere avviato il paziente (in seguito deceduto per dissecazione aortica) presso una struttura sanitaria che potesse effettuare i necessari approfondimenti clinici e strumentali.
Per la Corte, ciò è dovuto al fatto che il medico radiologo non può limitarsi a una formale lettura degli esiti dell’esame diagnostico effettuato ma – essendo tenuto alla diligenza specifica ex art. 1176 c.c. comma 2 – se tali esiti lo suggeriscono è tenuto ad attivarsi per favorire un approfondimento della situazione, dovendo così prospettare al paziente anche la necessità di fare ulteriori esami.
Lo svolgimento del processo per la carenza di specializzazione del medico
Come da nostra abitudine, cerchiamo di comprendere come si è svolto il processo e, successivamente, in che modo si sia arrivati alle conclusioni da parte della Suprema Corte.
Il figlio del genitore defunto lamenta che la propria madre era deceduta dopo che con forti dolori addominali si era recata presso il Pronto Soccorso dove era stata presa in carico da una dottoressa, la quale, dopo una breve visita e senza procedere ad accertamenti, l’aveva dimessa con diagnosi di dismenorrea, iniettandole un antidolorifico.
Nello stesso giorno, la donna si era recata dal medico di medicina generale, che aveva prescritto una terapia anti spastica al bisogno.
Il giorno successivo, permanendo i dolori, la donna si era rivolta al proprio ginecologo di fiducia, che l’aveva visitata rilevando ecograficamente una cisti liquida. La paziente, poiché i dolori erano aumentati, il giorno dopo si era recata ancora presso il medesimo ospedale dov’era stato disposto ricovero d’urgenza, con diagnosi di addome acuto e conseguente intervento chirurgico.
Il giorno seguente era stato riscontrato dal medico rianimatore uno stato di shock. Si procedeva pertanto a un trasferimento nel reparto di rianimazione dove era sopravvenuto il decesso per una “sindrome da disfunzione multiorgano da sindrome compartimentale addominale secondaria a shock tossinfettivo irreversibile insorta come complicanza di un intervento chirurgico tardivo per volvolo intestinale in quadro clinico già compromesso da una ileocolite con megacolon tossico.
L’origine della causa giudiziaria
Ritenendo che la morte della madre fosse addebitabile alla condotta gravemente colposa dei medici per il ritardo della diagnosi, e alle numerose mancanze dei sanitari della struttura che avevano sottovalutato lo stato di tossicità in cui versava la donna, la figlia aveva convenuto, oltre ai medici coinvolti nella fase precedente al ricovero, anche quelli interessati dalla fase successiva, chiedendo la rifusione dei conseguenti danni anche non patrimoniali.
Il Tribunale aveva accolto la domanda, con pronuncia confermata dalla Corte di appello. Stando ai giudici di prime e seconde cure, i medici avevano infatti omesso di specificare l’urgenza del ricovero nella sua annotazione, né l’avevano rappresentata alla paziente in modo da permetterle di verificare l’effettiva causa dei dolori che l’avevano indotta a rivolgersi al medesimo, e anzi avevano prescritto analisi, per markers tumorali ovarici, incompatibili con la discussa urgenza.
I medici avevano altresì compiuto un errore di refertazione ecografica, indicando come formazioni anecogene le immagini riferite con tutta probabilità ad anse intestinali dilatate e fisse alla parete addominale. Ancora, per il giudice di prime cure una corretta analisi ecografica avrebbe dovuto indurre il deducente a correlare i sospetti ai forti dolori addominali manifestati in anamnesi, indirizzando la paziente all’immediato ricovero ospedaliero per accertamenti
Di qui, la condotta gravemente colposa, in concorso causale, imputata.
La diversa specializzazione medica non salva dalle responsabilità
Per quanto di nostro interesse ai fini del presente approfondimento, ovvero al tema della specializzazione medica del dottore che ha visitato la paziente, ginecologo e non internista, va subito detto che la diversa specializzazione medica non salva dalle responsabilità.
Il medico, eseguendo l’ecografia addominale:
- aveva la responsabilità di leggere correttamente le relative immagini, nella consapevolezza dei limiti derivanti dalla propria competenza settoriale, ma pur sempre cointeressata dalle verifiche quanto meno per esclusione delle ipotesi superficialmente formulate (dismenorrea), ovvero nella consapevolezza dalla mancanza di ulteriori strumenti di opportuna indagine,
- aveva la connessa responsabilità di correlare quelle stesse immagini a dubbi, variamente insorti – e la cui presa in considerazione non può che far parte del bagaglio professionale del medico – in uno alla significativa e specifica anamnesi nel caso già emersa e persistente, così da indirizzare senza alcun ulteriore ritardo, la paziente presso strutture in grado di risolvere tempestivamente la criticità diagnostica.
In altri termini, non può avvallarsi la conclusione secondo cui la distinta specializzazione medica esclude la colpa di chi, eseguendo un esame e dunque assumendosi la responsabilità di quello stesso esame, lo referta in modo erroneo senza indirizzare ai necessari approfondimenti con la cautela e tempestività del caso concreto. Una condotta che si caratterizza per grave imperizia, in uno speculare quanto ingiustificato vuoto di tutela.
Una condotta imprudente e negligente
Pertanto, è in tal senso che va integrata la motivazione del Collegio di merito, aggiungendo il profilo dell’imprudenza e della negligenza, che peraltro possono essere resi evincibili dalla motivazione del Collegio di merito, la quale sottolinea come la necessità e l’urgenza del ricovero non sono state rappresentate alla paziente come dovuto, al di là delle refertazioni.
Sempre in tal senso si può leggere la sentenza Cass., 07/07/2021, n. 19372, che ha affermato il principio secondo cui il medico di guardia è responsabile per la morte del paziente visitato e dimesso, “con apposita prescrizione farmacologica, se sia configurabile il suo inadempimento nella forma di una condotta omissiva o di una diagnosi errata o di una misura di cautela non presa, ove l’evento di danno si ricolleghi deterministicamente, o in termini di probabilità, alla condotta del sanitario”.
È dunque confermata la sentenza impugnata che aveva ritenuto sussistente la responsabilità del sanitario per non aver avviato il paziente, in seguito deceduto per disseccazione aortica, presso qualsiasi struttura sanitaria in grado di effettuare i necessari approfondimenti clinici e strumentali a fronte di una sintomatologia dolorosa toracica persistente.
Le altre sentenze
Sulla stessa linea interpretativa anche la più recente sentenza Cass. 23/12/2022, n. 37728, secondo cui “il medico radiologo, essendo, al pari degli altri sanitari, tenuto alla diligenza specifica di cui all’art. 1176 c.c., comma 2, non può limitarsi a una mera e formale lettura degli esiti dell’esame diagnostico effettuato, ma, allorché tali esiti lo suggeriscano (e dunque ove, segnatamente, si tratti di esiti c.d. aspecifici del quadro radiologico), è tenuto ad attivarsi per un approfondimento della situazione, dovendo, quindi, prospettare al paziente anche la necessità o l’esigenza di far fronte ad ulteriori e più adeguati esami“.
Rimarca la sentenza che in questo quadro la transazione ha riguardato i medici dipendenti dell’azienda ospedaliera e non l’intero debito riguardante anche terzi distintamente individuati, cosi che non sussistono nemmeno i presupposti perché il ricorrente se ne possa avvalere come ipotizzato in memoria.
In conclusione, per i motivi di cui sopra la Corte ha rigettato il ricorso presentato dalla parte e ha condannato il ricorrente alla rifusione delle spese di lite delle parti controricorrenti liquidate.
Cogliamo l’occasione di ricordare a tutti i nostri lettori che sul nostro sito ci siamo occupati in tantissime occasioni di commentare delle sentenze in materia di responsabilità medica.
Altri spunti di lettura
Chi volesse saperne di più può ad esempio approfondire il caso della responsabilità medica in solido tra struttura e medico in base alla sentenza n. 38007/2018 della Corte di Cassazione, così come sul tema della responsabilità medica del paziente in stato vegetativo, come da sentenza n. 24189/2018 da parte della stessa Suprema Corte.
Ancora, segnaliamo un interessante approfondimento sulla responsabilità medica se la morte del paziente si sarebbe comunque verificata, con commento della sentenza n. 43974/2018 secondo cui il medico non avrebbe potuto esser giudicato responsabile e in grado di rispondere del decesso del paziente se tale fosse comunque avvenuto in ogni caso e ogni oltre ragionevole dubbio.
Se invece si ha necessità di una consulenza specifica sulla propria condizione o si ritiene di esser stati vittima di casi di responsabilità medica, ricordiamo che il nostro studio è a completa disposizione: per informazioni e preventivi è possibile compilare questo form o utilizzare questi recapiti: Piazza Cavour 4 – 35122 Padova (PD) – Telefono: 3397692552 – Email: info@consulenzalegaleitalia.it.
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