Con sentenza n. 38007/2018 la Corte di Cassazione è intervenuta sul tema della responsabilità medica, in caso di medico condannato per lesioni gravi e mancata impugnazione della sentenza sulla struttura sanitaria.
In particolare, la Corte ha rammentato come se un medico viene condannato per il delitto di lesioni gravi, e non ha proposto impugnazione contro la statuizione di condanna, quest’ultima diventerà definitiva anche nei confronti della struttura sanitaria, che risponderà dunque in solido come responsabile civile.
Lesioni gravi ai danni del paziente
Il caso inizia con la sentenza pronunciata dalla Corte di Appello di Firenze, che confermava la sentenza in primo grado del Tribunale di Firenze, che aveva riconosciuto la responsabilità medica per il reato di lesioni gravi ai danni di un paziente che ad esso si era rivolto per un accertamento diagnostico, con infusione di liquido di contrasto. L’imputato e l’istituto sanitario presso cui lavorava erano condannati in solido al risarcimento del danno: il giudice ha infatti riconosciuto la relazione causale tra l’inserimento dell’ago cannula nel braccio del paziente, e l’insorgenza del processo patogeno infettivo che aveva determinato le lesioni e l’indebolimento dell’arto stesso.
In particolare, il giudice riconosceva la inosservanza di regole di prudenza e di diligenza “per il fatto che il sanitario, pure a conoscenza del fatto che il paziente, già sottoposto ad intervento chirurgico oncologico per la rimozione di linfonodi tumorali in area ascellare, aveva avuto raccomandazione di non sottoporre il braccio destro a sollecitazioni, sia pure per accertamenti diagnostici, in ragione dell’assenza di difese immunitarie, ivi aveva deciso di realizzare il varco per la iniezione di liquido di contrasto”.
Responsabilità medica e della struttura sanitaria
L’imputato e la struttura ricorrente responsabile civile ricorrono in Cassazione dove, però, si scontra con l’inammissibilità delle sue articolazioni.
In particolar modo, il primo motivo di ricorso, con il quale è dedotta la violazione di legge e il difetto di motivazione sul riconoscimento del rapporto di causalità tra la condotta del medico e l’insorgenza dell’infezione, la Cassazione ricorda come tale motivo si limita “a enunciare i principi della valutazione giudiziale elaborate dalla giurisprudenza di legittimità in presenza di inosservanza ad una regola cautelare generale, in ipotesi di reato colposo riconducibile ad una condotta omissiva, previa la concreta individuazione di una regola cautelare e della verifica del comportamento rimasto inattuato”.
I giudici della Suprema Corte evidenziano poi come l’imputazione attiene a un fatto colposo commissivo ben determinato (cioè, l’iniezione del liquido di contrasto propedeutico all’esecuzione di una TAC, senza il rispetto di specifiche cautele e raccomandazioni), e che comunque l’articolazione è “del tutto generica” e assertiva, non affrontando gli argomenti spesi dai giudici di merito in modo specifico.
Anche in relazione al secondo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente deduce un difetto di motivazione in punto di riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p., ci si scontra con l’inammissibilità della motivazione.
L’opinione dei giudici
“Sotto un primo profilo il ricorso si appalesa inammissibile in quanto investe la statuizione di condanna penale dell’imputato il quale, riconosciuto colpevole del delitto di lesioni personali gravi non ha proposto impugnazione, rendendo pertanto irrevocabile la suddetta statuizione nei propri confronti, così da ritenersi non più suscettibile di modifica” – sottolineano i giudici di legittimità, rammentando altresì come sotto diverso profilo il responsabile civile risulta privo di interesse a dedurre il vizio denunciato. “Invero la verifica dell’interesse alla impugnazione rileva esclusivamente se il gravame è idoneo ad eliminare una situazione pregiudizievole per l’impugnante, determinando una situazione più favorevole di quella esistente” – si precisa ulteriormente.
Nella fattispecie in esame di Cassazione, il medico avrebbe omesso di impugnare la statuizione di condanna, con la conseguenza che essa ha assunto una definitività ai fini penali, mentre “ai fini civili l’interesse del responsabile civile ad ottenere una formula di proscioglimento dell’imputato ai sensi dell’art.131 bis c.p. risulta impedito dagli effetti riconosciuti dal legislatore alla suddetta statuizione”, laddove ex art. 561 c.p. essa ha assunto un effetto di giudicato nel giudizio civile quanto all’accertamento del fatto, alla sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso”, andando così a precludere anche sotto profilo ogni vantaggio sulla posizione del responsabile civile in ipotesi di accoglimento della doglianza proposta.
In relazione al terzo e ultimo motivo di ricorso, legato alla motivazione della sentenza impugnata in relazione alla statuizione relativa alla somma provvisionale e alla sua determinazione, la Corte conclude affermando che “è orientamento assolutamente pacifico del giudice di legittimità che non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente deliberativa, non suscettibile di passare in giudicato e non necessariamente motivata”.