La responsabilità odontoiatrica del dentista – indice
- Cos’è la responsabilità del dentista
- La responsabilità contrattuale e extracontrattuale
- I danni risarcibili
- La colpa e il dolo
- Le obbligazioni di mezzi e di risultato
- I termini di prescrizione
- Il danno biologico e il nesso causa – effetto
Come intuibile, il tema della responsabilità odontoiatrica del dentista è parte integrante dell’argomento, ben più ampio, della responsabilità medica.
D’altronde, tutti coloro che effettuano prestazioni che impattano sulla salute delle persone – e i dentisti sono evidentemente tra di essi – sono esposti a profili di responsabilità anche molto gravi. E, come conseguenza, è possibile che il paziente possa domandare risarcimenti e indennizzi dei danni subiti in caso di lesioni, traumi e altre problematiche.
Ma quali sono le caratteristiche della responsabilità odontoiatrica del dentista?
Cerchiamo di scoprirlo, esaminando tutti gli aspetti maggiormente salienti.
Cos’è la responsabilità del dentista
A ben vedere, i profili di responsabilità odontoiatrica del dentista sono numerosissimi. D’altronde, non è rarissimo (ancorché poco frequente, per fortuna!) che una prestazione odontoiatrica possa essere eseguita in maniera errata dal dentista, e che in virtù di ciò il paziente possa lamentare danni più o meno seri e più o meno permanenti.
Si pensi a:
- lesione di nervi;
- infezioni;
- ascessi;
- rottura dell’impianto dentale;
- caduta del dente;
- ritardata o omessa diagnosi;
- problemi dell’anestesia.
Insomma, una vasta gamma di potenziali situazioni nocive per il paziente, che espongono quest’ultimo a situazioni di pregiudizio e, conseguentemente, alla volontà di ottenere un risarcimento dei danni subiti.
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La responsabilità contrattuale e extracontrattuale
Proseguiamo questa nostra guida rammentando che, così come avviene per la generalità dei medici, anche il dentista risponde dei danni cagionati ai pazienti sia a titolo contrattuale che a titolo extracontrattuale.
In modo più specifico, si parla di responsabilità contrattuale del dentista nel momento in cui si esegue una prestazione come libero-professionista. Non rileva, in tale ambito, il luogo e il regime di prestazione: studio, intramoenia, convenzione con il Servizio sanitario nazionale.
Si parla invece di responsabilità extracontrattuale del dentista quando il professionista ha operato come dipendente di una struttura, privata o pubblica, e non è legato al paziente da un contratto diretto.
La differenza non è affatto marginale, considerato che dalla qualificazione della natura della responsabilità odontoiatrica, discenderanno diverse conseguenze in termini – ad esempio – di onere della prova.
Si tenga conto, in merito, che l’onere della prova nella responsabilità contrattuale determina generalmente un percorso più agevole, per l’ottenimento dell’indennizzo, rispetto ai casi di responsabilità extracontrattuale.
A variare a seconda della natura della responsabilità è anche il termine di prescrizione: 10 anni nel caso della responsabilità contrattuale, 5 anni nel caso della responsabilità extracontrattuale. Ne parleremo tra breve.
Quali danni il dentista deve risarcire
Nelle ipotesi di responsabilità del dentista, i danni risarcibili possono essere riconducibili a differenti categorie senza che, ovviamente, l’una escluda l’altra. Tra i principali, non esaustivi:
- danno biologico: è il danno tipicamente da invalidità permanente (dall’1% al 100%), nel caso in cui dal comportamento del dentista siano derivate delle lesioni di natura irreversibile sul paziente;
- danno da inabilità temporanea: è il danno risarcibile nel caso in cui il paziente sia inabile nel periodo di tempo utile per poter guarire dalle lesioni provocate dalla condotta del dentista. Il danno è proporzionale ai giorni e ai punti percentuali di inabilità;
- danno morale: è il danno, di tipo “esistenziale”, che discende dalle conseguenze delle lesioni fisiche subite in seguito all’operato del dentista;
- danno patrimoniale: è il danno ricollegabile agli esborsi che si sono resi necessari a seguito degli errori del dentista.
La colpa e il dolo del dentista
Nello svolgimento della sua professione il dentista è obbligato al rispetto della leges artis. Dovrà agire avendo cura di valutare correttamente rischi e benefici di ogni intervento, attivarsi secondo scienza e coscienza con strutture, accessori e materiali idonei, e avvalendosi della collaborazione del personale adatto.
Chiarito ciò, il dentista risponde sotto il profilo civile dei danni procurati al paziente nel caso in cui gli venga riscontrato:
- dolo: il danno è intenzionale e l’azione lesiva nei confronti del paziente è stata oggetto di previsione e di volontà;
- colpa grave: il danno non è stato volontario e previsto, ma è stato determinato da negligenza, imperizia, imprudenza e/o inosservanza di regolamenti e buone pratiche.
È tuttavia anche possibile che il dentista possa essere chiamato a rispondere per danni anche per colpa lieve, ex art. 1176 c.c., per i pregiudizi determinati in caso di prestazioni professionali ritenute ordinarie e di routine, ovvero con procedure che avrebbe dovuto seguire, sulla base di una media preparazione e diligenza, per evitare di procurare i danni invece generati.
Le obbligazioni di mezzi e di risultati
A questo punto della trattazione di tale vasto argomento, risulta altresì utile compiere un passo in avanti, e cercare di comprendere quando possa scaturire un risarcimento dei danni nelle diverse ipotesi in cui vi sia una obbligazione di mezzi e una obbligazione di risultati.
Più nello specifico, nella stragrande maggioranza delle ipotesi, il dentista contrae nei confronti del paziente una obbligazione di mezzi. Ovvero, si impegna a utilizzare nella maniera più opportuna i mezzi e gli strumenti a disposizione, e tenere un comportamento diligente, per poter arrivare al risultato sperato, NON garantito.
Ne deriva che, quando vi è una obbligazione di mezzi, al dentista è sufficiente dimostrare di avere effettuato la propria prestazione con la giusta perizia e diligenza, e di aver seguito le linee guida scientifiche, per non essere considerato inadempiente.
Di contro, può anche capitare che il dentista abbia stipulato con il cliente una obbligazione di risultato.
È questo, tipicamente, il caso in cui si sia intervenuti con operazioni di chiaro impatto estetico, in cui il medico si impegna a ottenere un risultato ragionevolmente pianificato e condiviso con il paziente, rispondendone se tale risultato non è stato ottenuto.
I termini di prescrizione del risarcimento danni del dentista
Nelle scorse righe abbiamo visto che i termini di prescrizione del risarcimento danni del dentista dipendono dalla forma di responsabilità.
Nel caso di responsabilità contrattuale, infatti, il paziente che vuole ottenere un risarcimento deve agire entro 10 anni. Il paziente dovrà provare di aver effettuato la prestazione dal dentista, di aver subito un danno e che il danno sia stato cagionato dall’intervento (cioè, il nesso causale). Al dentista spetterà invece il dover dimostrare di aver rispettato tutti gli obblighi e le linee guida previste.
Nel caso invece di responsabilità extracontrattuale, ovvero quando il contratto è stipulato con la struttura di cui il medico è dipendente, i termini di prescrizione sono pari a 5 anni. La decorrenza ha il via dal momento in cui il danno diventa riconoscibile e percepibile, e non dal giorno dell’intervento.
Danno biologico e nesso causa – effetto
Con sentenza del 25 giugno 2018, la Corte d’Appello di Palermo ha apportato un interessante chiarimento sulla sussistenza del danno biologico subito dal paziente a causa degli errori terapeutici del dentista.
In particolare, il paziente aveva lamentato che il proprio dentista non avesse adottato la corretta terapia canalare, con ricostruzione mediante l’uso di perni in fibra e ceramica, per la cura di una carie al morale inferiore destro.
In seguito a questa presunta sbagliata esecuzione della terapia, il paziente aveva domandato ai giudici di prime cure la condanna al risarcimento del danno subito. Un risarcimento sia sotto il profilo del danno patrimoniale, per le spese sostenute per successivi interventi, sia per danno non patrimoniale, a causa di altri pregiudizi come l’aumento dell’alitosi, dello spazio interdentale inferiore, la comparsa di una formazione cistica nella gengiva, l’asportazione forzata del dente cariato.
I giudici di primo grado hanno accolto solo parzialmente la domanda. Anche se il Tribunale ha ritenuto sussistente un errore imputabile al dentista per l’errata esecuzione della terapia canalare, lo stesso giudice ha affermato che il danno sarebbe potuto essere eliminato mediante successivo trattamento che, però, il paziente non aveva voluto eseguire.
Di qui il riconoscimento della responsabilità per danno non patrimoniale in capo al primo dentista. Di contro, non erano riconducibili alla responsabilità del primo dentista tutti gli ulteriori danni lamentati dal paziente, come l’eliminazione del dente.
Per il Tribunale, infatti, questo danno era esclusivamente imputabile al comportamento omissivo del secondo dentista cui si era rivolto il paziente. Tale intervenuto professionista, infatti, omettendo di intervenire sul dente aveva contribuito ad aumentare l’infezione e, di conseguenza, successivamente, rendere indispensabile l’asportazione del dente stesso.
La pronuncia della Corte d’appello
Il paziente, non contento della decisione del Tribunale, ha tuttavia proposto appello contro la sentenza. La Corte d’appello di Palermo ha dunque fornito una pronuncia molto interessante, che andiamo di seguito a riassumere nei punti salienti:
- viene ricordato che nei giudizi aventi ad oggetto la responsabilità medica grava sul paziente danneggiato l’onere di provare l’esistenza del nesso di causalità fra la condotta del medico e il danno lamentato;
- per quanto sopra, il paziente deve provare che la condotta del sanitario è causa del danno, secondo il principio del più probabile che non;
- il mancato assolvimento di tale onere e, quindi, l’ipotesi dell’incertezza della causa, ha determinato il rigetto della domanda risarcitoria; non è dunque sufficiente dimostrare l’errore del sanitario, ma bisogna dimostrare l’esistenza del nesso di causalità.
In virtù di quanto sopra la Corte di appello di Palermo ha rigettato l’appello. Ritiene infatti che il paziente non abbia fornito la prova del nesso di causalità fra la condotta del dentista e il danno.
Nella fattispecie, la condotta del dentista sarebbe stata rappresentata dall’incuria di aver lasciato un frammento di materiale all’interno della gengiva. Il danno era conseguente invece alla perdita obbligata del dente