Restituzione integrale NASPI e incostituzionalità della norma – guida rapida
- La restituzione dell’intera anticipazione della NASPI
- L’evoluzione del quadro normativo
- Una questione fondata
- La sentenza n. 38/2024
- La violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 90 del 20 maggio 2024, ha affermato che la restituzione dell’anticipazione NASPI deve riguardare solo i mesi interessati dalla cessazione dell’attività imprenditoriale avviata grazie all’anticipazione stessa, nel caso in cui la causa della chiusura non sia imputabile al percettore.
La restituzione dell’intera anticipazione della NASPI
Considerata la natura del caso, cerchiamo prima di tutto di riepilogare i fatti.
In particolare, con ordinanza del 6 dicembre 2022, il Tribunale di Torino, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in rifermento agli artt. 3, 4, primo comma, 36 e 41 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 22 del 2015, nella parte in cui prevede, senza alcuna possibilità di valutare il caso concreto, l’obbligo di restituire l’intera anticipazione della NASPI se il beneficiario stipuli un contratto di lavoro subordinato entro il termine di scadenza del periodo per cui l’indennità è riconosciuta.
Il Tribunale riferisce di essere investito di un giudizio di opposizione contro la richiesta dell’INPS di restituzione integrale dell’anticipazione della NASPI erogata al lavoratore ricorrente, come incentivo all’autoimprenditorialità per intraprendere l’attività di esercizio commerciale di ristoro (un bar).
Dopo aver chiarito che nel caso in esame l’anticipazione dell’indennità era stata corrisposta in un’unica soluzione in relazione ad importi spettanti fino al 28 maggio 2021, il giudice a quo dà atto che il ricorrente ha dimostrato – allegando documentazione – di non aver conseguito alcun reddito a causa dell’interruzione dell’esercizio dell’attività commerciale, avvenuta in conformità alla decretazione d’urgenza adottata nel corso della pandemia esplosa nel marzo del 2020.
Proprio per questo motivo il ricorrente aveva accettato, in data 15 febbraio 2021, un lavoro a tempo determinato.
L’INPS domanda la restituzione
L’INPS, sulla base di quanto indicato con l’art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 22 del 2015, ha domandato la restituzione dell’intero importo erogato a titolo di NASPI per avere l’opponente intrapreso il rapporto di lavoro subordinato nel periodo coperto dall’indennità.
Dal canto suo, il rimettente sostiene che la disposizione indicata è affetta da illegittimità costituzionale nella parte in cui prevede l’obbligo della restituzione integrale dell’anticipazione NASPI nel caso in cui il beneficiario abbia stipulato un contratto di lavoro subordinato entro il termine di scadenza del periodo per cui l’indennità è riconosciuta, senza consentire al giudice di adeguare la decisione sull’obbligo restitutorio al caso concreto nel quale l’attività imprenditoriale sia divenuta impossibile per cause sopravvenute, come accaduto nella specie, per effetto dell’emergenza pandemica.
Ad avviso dello stesso rimettente, sussisterebbe infatti il contrasto con l’art. 3 Cost., per due motivi. Nei casi in cui diventa impossibile continuare l’attività d’impresa per cause sopravvenute, la norma risulterebbe incoerente nel richiedere la restituzione completa dell’indennità ricevuta, nonostante l’attività sia stata effettivamente svolta per un certo periodo. Allo stesso modo, ci sarebbe un’incoerenza nella sproporzione tra la sanzione (restituzione totale) e la situazione reale dell’impresa, che potrebbe aver operato per un tempo significativo prima dell’interruzione forzata.
In particolare, il rimettente evidenzia come il ricorrente abbia acquistato l’attività commerciale da un terzo per un costo superiore all’importo anticipato dall’INPS. L’attività è stata esercitata per oltre un anno tra il 2019 e il 2021, ma la pandemia per COVID-19, manifestatasi all’inizio del 2020, ha inciso negativamente sulla redditività degli esercizi pubblici, come dimostrato dalla mancanza di reddito per l’anno 2020.
La costituzione del rapporto di lavoro subordinato tre mesi prima della scadenza del periodo di NASPI, si legge ancora nelle ricostruzioni, si giustificava con l’esigenza del ricorrente di procurarsi un reddito per elementari esigenze di sussistenza.
La finalità antielusiva
Il rimettente osserva dunque come l’integrale restituzione dell’indennità percepita non possa trovare una ragionevole giustificazione nella finalità antielusiva, dimostrato che l’attività imprenditoriale è stata iniziata e proseguita anche con l’impiego di capitali rilevanti, per interrompersi poi a seguito di un evento imprevedibile, come la pandemia legata alla diffusione del COVID-19, che ha obbligato i titolari di esercizi commerciali alla chiusura degli stessi per periodi non trascurabili.
Per quanto poi attiene l’assenza di proporzionalità della reazione legislativa, il rimettente evidenzia come la Corte di legittimità in passato abbia già evidenziato come la scelta del legislatore
fosse stata esercitata in modo non manifestamente irragionevole,
precisando poi che
sarebbe possibile ipotizzare criteri alternativi, connotati, da una qualche flessibilità.
In definitiva, la restituzione integrale dell’anticipata liquidazione della NASPI rappresenterebbe una conseguenza irragionevole nella sua rigidità, che non lascia né all’INPS né al giudice alcun margine di valutazione in relazione al caso concreto.
In relazione alla fattispecie in esame, il rimettente afferma che la disposizione censurata, che prevede l’integrale restituzione della somma anticipata, sarebbe comunque irragionevole, perché l’importo anticipato è stato interamente utilizzato al fine di acquistare l’attività economica. Ne deriva che la restituzione integrale sarebbe eccessivamente gravosa, anche alla luce delle perdite già subite dal ricorrente, che ha venduto l’attività per un prezzo molto inferiore a quello di acquisto.
La sproporzione emergerebbe anche dalla considerazione della brevità del periodo del rapporto di lavoro subordinato, che ricade in quello della NASPI (tre mesi dalla sua scadenza).
La violazione dell’art. 4 Cost
Per il rimettente sussisterebbe anche la violazione dell’art. 4, primo comma, Cost., che tutela il diritto al lavoro nelle sue declinazioni di lavoro dipendente (art. 36 Cost.) e di lavoro autonomo (art. 41 Cost.).
In tal senso, il rimettente osserva anche come la disposizione censurata impedisca per i percettori dell’indennità anticipata, la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato per tutto il periodo in cui viene corrisposta la NASPI, pena la restituzione integrale dell’importo ricevuto. Per il rimettente è questa una deroga inammissibile all’art. 4, primo comma, Cost. che riconosce in generale il diritto al lavoro.
Un altro contrasto sarebbe verificabile poi con l’art. 36 Cost.: il soggetto percettore dell’indennità anticipata si trova infatti dinanzi alla scelta di rinunciare allo svolgimento di attività retribuita al fine di evitare di restituire l’importo ricevuto, privandosi del reddito necessario per la sua sussistenza
Infine, viene segnalato anche il contrasto con l’art. 41 Cost., in relazione al principio della libera imprenditorialità riconosciuta anche ai soggetti percettori della NASPI anticipata.
L’evoluzione del quadro normativo sulla NASPI
Prima di comprendere in che modo la Corte, dopo aver recepito le dichiarazioni dell’INPS e dell’Avvocatura, ha argomentato le sue decisioni, riepiloghiamo l’evoluzione del quadro legislativo di riferimento.
Nel far questo si può ricordare come la disposizione censurata, per favorire la ricollocazione del lavoratore, involontariamente inoccupato, al di fuori del mercato del lavoro subordinato, consente all’avente diritto al trattamento NASPI di ottenerne la corresponsione anticipata per poter avviare un’attività autonoma, di impresa o in forma cooperativa.
L’art. 8 del d.lgs. n. 22 del 2015 è infatti chiaro a stabilire al comma 1 che
il lavoratore avente diritto alla corresponsione della NASPI può richiedere la liquidazione anticipata, in unica soluzione, dell’importo complessivo del trattamento che gli spetta e che non gli è stato ancora erogato, a titolo di incentivo all’avvio di un’attività lavorativa autonoma o di impresa individuale o per la sottoscrizione di una quota di capitale sociale di una cooperativa nella quale il rapporto mutualistico ha ad oggetto la prestazione di attività lavorative da parte del socio.
Se però il lavoratore instaura un rapporto di lavoro subordinato prima della scadenza del periodo per cui è riconosciuta la liquidazione anticipata della NASPI, la disposizione oggetto di censura stabilisce anche che è tenuto a restituire «per intero» l’anticipazione ottenuta, eccettuando la sola ipotesi in cui il rapporto di lavoro subordinato sia instaurato con la cooperativa della quale il lavoratore ha sottoscritto una quota di capitale sociale.
La ratio della norma
La Corte ha ricordato poi come il presupposto dell’incentivo in esame consista nell’agevolare il lavoratore nell’intraprendere un’attività autonoma o avviare un’impresa al fine di favorire il reimpiego del lavoratore “disoccupato” in un’attività diversa da quella di lavoro subordinato, allo scopo di ridurre la pressione sul relativo mercato.
Viene poi portata alla mente la sentenza n. 38 del 2024, che esclude la compatibilità della indennità di mobilità ricevuta ratealmente e periodicamente con lo svolgimento di un’attività lavorativa autonoma, imponendo al lavoratore autonomo la necessità della richiesta di corresponsione anticipata, pena la perdita del diritto. La Corte ha evidenziato in questo ambito che anche questa modalità di erogazione costituisce “una sorta di finanziamento destinato a uno scopo, quello dell’investimento in un’attività autonoma o di impresa, per far fronte alle spese iniziali dell’attività che il lavoratore in mobilità svolgerà in proprio, così fuoriuscendo dal mercato del lavoro dipendente”.
In altri termini, l’erogazione della NASPI, in via anticipata e in una unica soluzione, costituisce una modalità di corresponsione del beneficio del tutto peculiare rispetto alla erogazione “ordinaria” della stessa indennità. Nel caso in cui il lavoratore inoccupato non intenda avvalersi di questo incentivo all’autoimprenditorialità, la NASPI segue la disciplina prevista, in particolare, dagli artt. 5 e 7 del d.lgs. n. 22 del 2015.
La corresponsione della NASPI
Ora, al di là dell’opzione per l’erogazione anticipata, l’art. 5 del d. lgs. n. 22 del 2015 stabilisce che
la NASPI è corrisposta mensilmente, per un numero di settimane pari alla metà delle settimane di contribuzione degli ultimi quattro anni. Ai fini del calcolo della durata non sono computati i periodi contributivi che hanno già dato luogo ad erogazione delle prestazioni di disoccupazione.
Per quanto concerne invece le condizionalità dell’indennità, l’art. 7 del d.lgs. n. 22 del 2015 prescrive, al comma 1, che
l’erogazione della NASPI è condizionata alla regolare partecipazione alle iniziative di attivazione lavorativa nonché ai percorsi di riqualificazione professionale proposti dai Servizi competenti ai sensi dell’articolo 1, comma 2, lettera g), del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, e successive modificazioni
prevedendosi, altresì, al comma 2
ulteriori misure volte a condizionare la fruizione della NASpI alla ricerca attiva di un’occupazione e al reinserimento nel tessuto produttivo,
nonché al comma 3
le condizioni e le modalità per l’attuazione della presente disposizione nonché le misure conseguenti all’inottemperanza agli obblighi di partecipazione alle azioni di politica attiva di cui al comma 1
da adottare con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali
entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
Una questione fondata
Tutto ciò premesso, la Corte Costituzionale afferma che la questione è fondata sotto il profilo della violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza.
Ricorda la Corte che con sentenza n. 194 del 2021 ha già valutato la disciplina, costituita – come abbiamo visto – dall’insorgenza dell’obbligo di restituzione integrale dell’anticipazione della NASPI nel caso in cui il lavoratore, pur continuando ad esercitare l’attività per la quale è stato corrisposto l’incentivo all’autoimprenditorialità ai sensi del comma 4 dell’art. 8 del d.lgs. n. 22 del 2015, abbia costituito, seppur per un periodo limitato, un rapporto di lavoro subordinato, percependo la relativa retribuzione.
È questa l’ipotesi di un’attività di lavoro subordinato che è svolta contemporaneamente a quella imprenditoriale, per cui sia stata erogata l’anticipazione della NASPI.
La Corte ha anche rimarcato come l’anticipazione dell’incentivo all’imprenditorialità abbia la finalità di
favorire il reimpiego del lavoratore “disoccupato” in un’attività diversa da quella di lavoro subordinato, allo scopo di ridurre la pressione sul relativo mercato
aggiungendo poi che
si tratta, in sostanza, di forme tipiche di legislazione promozionale, volte ad incentivare l’iniziativa autonoma individuale, quale forma di occupazione “alternativa” rispetto al lavoro dipendente, “convertendo” in lavoratori autonomi o imprenditori i lavoratori in cerca di occupazione, con l’ulteriore possibile effetto indotto, per lo stesso mercato del lavoro, della eventuale insorgenza di nuove occasioni di lavoro nel medio-lungo periodo.
Trova così giustificazione la previsione della restituzione integrale dell’importo dell’incentivo. La Corte ha infatti ricondotto tale obbligo alla
specifica finalità di contrasto del possibile abuso da parte di chi chiede il beneficio senza poi intraprendere, in concreto, un’attività di lavoro autonomo o di impresa
perché
l’eventuale instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato, proprio nel periodo in cui spetterebbe altrimenti la prestazione periodica, è un indice rivelatore della mancanza di effettività e di autenticità dell’attività di lavoro autonomo o di impresa, che giustifica la liquidazione anticipata della prestazione, altrimenti spettante con cadenza periodica.
Inoltre, è sempre la stessa pronuncia, nel riconoscere che il contrasto dell’elusione, a chiarire come
l’obbligo restitutorio è coerente con l’indicata finalità antielusiva della disposizione censurata, che è quella di evitare che il trattamento corrisposto in via anticipata non sia realmente utilizzato per intraprendere e poi proseguire un’attività di lavoro autonomo, di impresa o in forma cooperativa
e che
la ratio dell’obbligo restitutorio, previsto dalla disposizione censurata, è costituita da una più specifica finalità di contrasto del possibile abuso da parte di chi chiede il beneficio senza poi intraprendere, in concreto, un’attività di lavoro autonomo o di impresa.
Valutato inoltre che la restituzione integrale dell’anticipazione non ha natura sanzionatoria, la Corte ha aggiunto come il rapporto di lavoro subordinato instaurato nel periodo di spettanza della NASPI assurgesse a
elemento fattuale indicativo della mancanza o insufficienza del presupposto stesso del beneficio – ossia dell’inizio, e poi prosecuzione, di un’impresa individuale (o in cooperativa) ovvero di un’attività di lavoro autonomo.
La sentenza n. 38/2024 sulla restituzione della NASPI
La Corte ribadisce poi i principi di cui alla sentenza n. 194 del 2021, successivamente sono confermati dalla sentenza n. 38 del 2024, e che sono qui ribaditi anche con riferimento all’ipotesi di promozione di un’attività imprenditoriale che in concreto non consegua i risultati sperati dal lavoratore, percettore dell’anticipazione della NASPI.
Per i giudici costituzionali, infatti, quest’ultimo accetta di sperimentare il percorso alternativo di promuovere un’attività imprenditoriale, assumendosi così anche il relativo rischio d’impresa che ne costituisce una componente intrinseca.
È invece diversa la fattispecie secondo cui il percettore dell’anticipazione dell’indennità, dopo aver intrapreso e svolto per un significativo periodo di tempo l’attività imprenditoriale, non possa proseguirla per cause sopravvenute e imprevedibili, che a lui non sono imputabili, e costituisca un rapporto di lavoro subordinato prima della scadenza del periodo della NASPI.
Anche per tale fattispecie particolare la disposizione censurata impone che il percettore dell’anticipazione dell’indennità, se instaura un rapporto di lavoro subordinato prima della scadenza del periodo per cui è riconosciuta la liquidazione anticipata della NASPI, sia tenuto a restituire per intero l’anticipazione ottenuta, benché l’attività imprenditoriale non sia proseguita a causa di una condizione di impossibilità sopravvenuta o di insuperabile oggettiva difficoltà.
L’esaurimento della finalità antielusiva
In questa evenienza emerge però che, qualora l’attività imprenditoriale sia effettivamente iniziata e proseguita per un apprezzabile periodo di tempo, grazie all’utilizzo dell’incentivo all’autoimprenditorialità, la finalità antielusiva risulta esaurita, poiché pienamente realizzata, e quindi non si verte in una situazione in cui possa esserci mancanza di effettività e di autenticità dell’attività di lavoro autonomo o di impresa.
Anche per questo motivo in tale particolare contingenza la previsione della restituzione integrale stante l’impossibilità di proseguire l’attività autonoma risulta affetta da un rigore eccessivo, tradottosi in intrinseca irragionevolezza e mancanza di proporzionalità.
In altre parole, prosegue la Corte, il rigore della regola – che impone la restituzione integrale con riferimento alla fattispecie generale – non può andare disgiunto da una clausola di flessibilità che consideri ipotesi particolari.
La violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità
In definitiva, senza la parametrazione dell’obbligo restitutorio nelle indicate evenienze particolari, la disposizione censurata vìola i principi di ragionevolezza e di proporzionalità di cui all’art. 3 Cost.
Per i giudici della Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale è fondata anche in relazione alla violazione dell’art. 4, primo comma, Cost. La disposizione censurata infatti prevede l’obbligo restitutorio integrale dell’anticipazione se la prosecuzione dell’attività di impresa è divenuta impossibile o di oggettiva insuperabile difficoltà, per causa sopravvenuta non imputabile al lavoratore. Ciò però finisce con il violare anche il diritto al lavoro, considerato che ai percettori dell’indennità anticipata, che senza colpa abbiano rinunciato a proseguire l’attività imprenditoriale, è sostanzialmente preclusa la possibilità di costituzione di un rapporto di lavoro subordinato per tutto il successivo periodo in cui sarebbe dovuta la NASPI.
Salvo occasioni di lavoro autonomo, il lavoratore – per non essere obbligato a restituire integralmente l’anticipazione – dovrebbe dunque rimanere inattivo e attendere senza lavorare la scadenza del periodo per cui è concessa l’anticipazione. Una condizione che, in evidenza, potrebbe in certi casi anche privarlo dei mezzi di sussistenza. Ne consegue la violazione dell’art. 4 Cost., il quale è declinato come
dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.
Accertate le violazioni di cui sopra, la Corte aspira a una pronuncia che sostituisca l’attuale obbligo restitutorio integrale con la previsione di criteri di flessibilità che permettano di adeguare la decisione al caso concreto se il lavoratore percettore dell’anticipazione della NASPI, non abbia potuto continuare l’attività imprenditoriale a cagione di una situazione di forza maggiore o di una sopravvenuta causa a lui non imputabile.