Revisione dell’assegno divorzile, scioglimento della comunione legale e diritti ereditari – indice:
- La revisione dell’assegno divorzile
- I fatti di causa dell’ordinanza 11787/2021
- Il ricorso in Cassazione
- Assegno divorzile e scioglimento della comunione
- Comunione legale e comunione ordinaria
- Il caso di specie
- La rinuncia ai diritti ereditari
- Conclusioni
Con l’ordinanza n. 11787 dello scorso maggio la Corte di Cassazione ritorna sulla revisione dell’assegno divorzile. Stabilisce in particolare che il giudice, in sede di valutazione della domanda di revisione dell’assegno divorzile, deve tenere conto delle conseguenze di fatto e giuridiche derivanti dallo scioglimento della comunione legale dei beni. Nel caso di specie inoltre la Cassazione afferma che il giudice deve valutare gli effetti, sul patrimonio del coniuge beneficiario dell’assegno, dell’atto di rinuncia a diritti ereditari che potevano significare, se accettati, un apprezzabile miglioramento della sua condizione patrimoniale.
Nella medesima pronuncia, per motivare le proprie statuizioni, la Corte ha inoltre avuto modo di ribadire la differenza sussistente tra l’istituto della comunione legale e della comunione ordinaria.
La revisione dell’assegno divorzile
Gli ex coniugi possono fare domanda al giudice di revisione dell’assegno divorzile secondo quanto previsto dall’articolo 9 della legge sul divorzio (898/1970).
Il primo comma della norma afferma che: “Qualora sopravvengano giustificati motivi dopo la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, in camera di consiglio e, per i provvedimenti relativi ai figli, con la partecipazione del pubblico ministero, può, su istanza di parte, disporre la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli e di quelle relative alla misura e alle modalità dei contributi da corrispondere ai sensi degli articoli 5 e 6″.
La domanda di revisione può essere prodotta in ogni tempo, dagli ex coniugi ma anche dal figlio maggiorenne che abbia preso parte al procedimento di divorzio per il suo diritto al mantenimento, purché sia passata in giudicato la sentenza di divorzio. Competente a ricevere la domanda è il Tribunale in camera di consiglio.
Con la domanda di revisione si può chiedere:
- la riduzione o l’aumento dell’assegno;
- la soppressione o il riconoscimento ex novo.
I fatti di causa nell’ordinanza n. 11787/2021
Il tribunale di primo grado rigettava la domanda di revisione dell’assegno divorzile, in particolare di revoca o riduzione del contributo economico che l’ex marito doveva corrispondere alla ex moglie sulla base del provvedimento di cessazione degli effetti civili del matrimonio. L’importo di tale contributo economico era pari a 2000,00 euro mensili. L’obbligato tuttavia eccependo la modifica della situazione patrimoniale della beneficiaria a seguito dello scioglimento della comunione legale chiede la riduzione dell’importo dell’assegno. Rigettatagli la domanda in primo grado, procede in appello ottenendo un altro rigetto.
La corte di appello in particolare riteneva non giustificanti l’accoglimento della domanda i due fatti sui quali la stessa era formulata:
- l’effetto dello scioglimento della comunione legale dei beni dopo il divorzio ovvero l’entrata nella sfera patrimoniale della beneficiaria dell’assegno della proprietà esclusiva di un immobile dal valore di 290.000 euro;
- la rinuncia da parte della beneficiaria di diritti ereditari sorti nei confronti della madre dal valore di 26600,00 euro.
Il giudice di seconde cure riteneva il primo fatto “non sufficiente a porre in discussione l’an e il quantum dell’assegno divorzile” e il secondo “una scelta individuale insindacabile, in mancanza di prova che una scelta diversa avrebbe comportato effetti apprezzabili nei rapporti patrimoniali tra gli ex coniugi”.
L’obbligato pertanto ricorre in Cassazione.
Il ricorso in Cassazione per la revisione dell’assegno divorzile
Il ricorrente costruisce il ricorso su tre motivi. Solo i primi due, ma sufficienti a cassare la sentenza di appello, vengono ritenuti fondati dal giudice di legittimità.
Con il primo motivo il ricorrente contesta che il decreto impugnato non ha ritenuto rilevante ai fini della modifica del patrimonio della beneficiaria l’attribuzione della piena proprietà dell’immobile in comunione prima del divorzio. Invoca in particolare la differenza, sia sotto il profilo del godimento che su quello della capacità reddituale, della piena proprietà e della comproprietà. Tale motivo, si anticipa, viene ritenuto fondato e dà modo al giudice di delineare le differenze tra la comunione legale e la comunione ordinaria.
In secondo luogo, il ricorso contesta al giudice di merito l’omessa motivazione nel decreto impugnato circa la non rilevanza della rinuncia a titolo gratuito di diritti ereditari da parte dell’ex moglie. In particolare la donna aveva rinunciato ad agire in riduzione in occasione della vendita da parte della sorella di un immobile caduto in successione. La corte di appello riteneva tale scelta personale ed insindacabile nonché doverosa, ma mancante, la prova che una scelta diversa della donna avrebbe modificato, in senso migliorativo, le sue risorse economiche e di conseguenza gli assetti patrimoniali tra ex coniugi. Anche tale motivo di ricorso viene accolto perché ritenuto fondato.
Il terzo motivo di ricorso viene rigettato per difetto di specificità. In particolare il ricorrente contestava il fatto che il giudice di merito non avesse posto rimedio alla sua doglianza circa i continui ed ingenti esborsi economici che oramai faceva fatica a sostenere. Tale motivo di ricorso tuttavia non esprimeva chiaramente a quali statuizione della sentenza impugnata si riferissero le doglianze né le ragioni delle stesse.
Assegno divorzile e scioglimento della comunione legale
Accogliendo il primo motivo di ricorso la Corte richiama l’orientamento consolidatosi in seno al collegio. Tale orientamento ha riguardo alle valutazioni che il giudice deve compiere in sede di riconoscimento e quantificazione dell’assegno divorzile. L’assegno divorzile ha la funzione, oltre che assistenziale, di riequilibrio degli assetti economici degli ex coniugi dopo il divorzio. Se tale riequilibrio viene ad essere raggiunto per effetto del regime patrimoniale adottato dai coniugi dopo lo scioglimento degli effetti civili del matrimonio è possibile che il diritto all’assegno non maturi, possa venir meno od essere ridotto in misura. Il regime di comunione dei beni viene a mancare dopo il divorzio a seguito dello scioglimento della comunione e della divisione dei beni. Secondo l’orientamento giurisprudenziale suddetto tale divisione può accrescere il patrimonio del coniuge economicamente più debole in modo tale da non rendere necessaria la corresponsione dell’assegno o da ridurlo in entità.
“…nella valutazione delle condizioni reddituali e patrimoniali degli ex coniugi, ai fini dell’attribuzione e quantificazione dell’assegno divorzile, il giudice è tenuto a valutare “se e in che misura l’esigenza di riequilibrio non sia già coperta dal regime patrimoniale prescelto, giacché, se i coniugi abbiano optato per la comunione, ciò potrà aver determinato un incremento del patrimonio del coniuge richiedente, tale da escludere o ridurre la detta esigenza”, a seguito dello scioglimento della comunione”.
Comunione legale e comunione ordinaria
Il caso in esame ha dato modo alla Corte di sottolineare la differenza tra la comunione legale e la comunione ordinaria dei beni.
La formazione del patrimonio familiare durante la comunione legale dei beni avviene mediante l’apporto di entrambi i coniugi sebbene in misura e modalità diverse.
Ai sensi dell’articolo 143, terzo comma, del codice civile “Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia”. Tale disposizione limita pertanto l’arbitrario godimento da parte di ciascun coniuge dei propri redditi e dei frutti ricavati dai beni personali.
In virtù del principio solidaristico che governa anche la fase successiva al matrimonio dei coniugi “all’atto dello scioglimento della comunione, l’attivo ed il passivo devono essere ripartiti in parti uguali indipendentemente dalla misura della partecipazione e dall’entità degli apporti di ciascuno dei coniugi alla formazione del patrimonio comune…”.
Differentemente invece avviene nella comunione ordinaria dei beni che è una comunione per quote. La Corte infatti afferma che la disciplina della comunione legale è incompatibile con quella della comunione ordinaria “nella quale l’eguaglianza delle quote dei partecipanti è oggetto di una presunzione semplice superabile mediante prova del contrario”.
Conclude pertanto la Corte affermando che “ciò si spiega per essere la “struttura normativa” della comunione legale dei coniugi “difficilmente riconducibile alla comunione ordinaria. Questa è una comunione per quote, quella è una comunione senza quote“.
Il caso di specie
Rispetto pertanto a quanto consacrato dal giudice di merito nella pronuncia di appello il giudice di legittimità afferma che “L’idoneità dell’attribuzione esclusiva del bene, in sede divisoria, a favore dell’ex coniuge ad incidere sull’assetto patrimoniale definito in sede di divorzio deve essere verificata dal giudice che ne deve dare conto in motivazione, con riferimento alla fattispecie concreta e non sulla base di postulati giuridici astratti”.
Nel caso di specie l’ammontare dell’assegno divorzile era stato determinato in euro 2000,00 nel giudizio di divorzio in cui gli ex coniugi erano comproprietari:
- dell’immobile che successivamente, per effetto della divisione, è entrato nella proprietà esclusiva della donna e
- di un altro immobile adibito a farmacia.
Per la corte di legittimità rileva che l’immobile in comproprietà sia entrato nella proprietà esclusiva della beneficiaria dell’assegno ai fini della richiesta di revisione. Sottolinea infatti che la proprietà esclusiva determina una capacità reddituale diversa dalla proprietà di una quota.
La corte di appello invece aveva ritenuto il fatto una “variazione meramente qualitativa del patrimonio” non rilevante ai fini della modifica dei rapporti patrimoniali con l’ex coniuge.
L’astrattezza del giudizio di merito
Il giudice di legittimità inoltre critica il giudizio del giudice di merito per altri due motivi:
- l’aver richiamato il primo l’efficacia dichiarativa dell’atto di divisione dei beni in comproprietà a seguito dello scioglimento della comunione. Tale efficacia è propria della comunione ordinaria che, come sottolineato in questa sede, differisce dalla comunione legale;
- il fatto che tale efficacia dichiarativa dell’atto di divisione è stata messa in discussione dalle Sezioni Unite. Queste hanno propeso per attribuire all’atto divisorio un’efficacia costitutiva/traslativa e non dichiarativa.
“Il ragionamento della Corte pecca di astrattezza – spiega la corte – e travisa la natura del giudizio di revisione delle condizioni di divorzio. Esso è infatti volto a verificare se “le condizioni di fatto”, oltre che giuridiche, si siano modificate in senso migliorativo o peggiorativo per uno o entrambi gli ex coniugi, alla luce di ogni elemento idoneo ad incidere oggettivamente sull’assetto dei rapporti patrimoniali tra gli ex coniugi risultante dalla sentenza di divorzio”.
Concludendo pertanto le motivazioni di accoglimento del primo motivo di ricorso la Corte smonta la sentenza impugnata. Afferma che non sono state illustrate le ragioni fattuali né giuridiche della irrilevanza dell’attribuzione esclusiva dell’immobile alla beneficiaria dell’assegno divorzile. Le prove dedotte dal ricorrente invece rilevano ai fini dell’apertura di un giudizio di revisione dell’assegno divorzile. Possono infatti in astratto alterare gli equilibri economici degli ex coniugi accertati al momento del divorzio.
La rinuncia ai diritti ereditari e la revisione dell’assegno divorzile
Il secondo motivo di ricorso, come già accennato, riguarda la rinuncia di diritti ereditari da parte della beneficiaria dell’assegno.
La corte di legittimità ritiene fondato tale motivo. Il ricorrente infatti contesta la mancata valutazione della corte d’appello sull’esito diverso che avrebbe avuto la scelta diversa della controparte. Se questa avesse accettato le quote ereditarie per il valore stabilito l’accettazione avrebbe potuto determinare un’alterazione degli assetti patrimoniali tra gli ex coniugi nella fase post coniugale. Si sarebbe infatti avuto un sensibile miglioramento della situazione patrimoniale della beneficiaria dell’assegno. “In tal caso, quella rinuncia avrebbe potuto assumere un significato diverso, cioè indicativo di una condizione economica e patrimoniale migliorata, al punto di giustificare la revisione delle condizioni di divorzio“.
La corte d’appello aveva ritenuto la rinuncia a titolo gratuito a tali diritti una scelta personale e insindacabile. Tale scelta per rilevare ai fini della domanda di revisione dell’assegno sarebbe dovuta essere sostenuta da una prova. La prova che l’accettazione avrebbe invece comportato un apprezzabile miglioramento della condizione economico patrimoniale della beneficiaria dell’assegno.
In altre parole, quanto ha voluto dire la Corte, è che l’accettazione delle quote ereditarie da parte della donna avrebbe comportato l’alterazione degli assetti patrimoniali tra gli ex coniugi e giustificato la domanda di revisione dell’assegno. Di ciò la corte di merito non ha dato alcun rilievo.
Conclusioni
Con l’ordinanza suesposta il giudice di legittimità richiama il giudice di merito a valutare gli elementi probatori forniti dal coniuge richiedente la revisione dell’assegno divorzile. E soprattutto il suo dovere di dare idonea motivazione di tali valutazioni.
La sentenza impugnata viene cassata e rinviata alla Corte d’appello.
Si afferma infine l’orientamento secondo cui “Al momento della cessazione del vincolo coniugale, la valutazione dei beni ricadenti nella comunione, specie quando costituita e alimentata con l’apporto solidaristico prevalente di uno dei coniugi, in vista della loro divisione in parti uguali, è un fatto rilevante ai fini della determinazione dell’assetto patrimoniale tra le parti nella fase post-coniugale“.
Avv. Bellato – diritto di famiglia e matrimoniale, separazione e divorzio