Rimborso IVA su ristrutturazione immobili di terzi – guida rapida
Con sentenza n. 13162 del 14/05/2024, la Corte di Cassazione si è espressa sul tema del diritto al rimborso IVA per ristrutturazione di immobili di proprietà di terzi apportando un interessante chiarimento.
Cerchiamo di riepilogare che cosa sia stato deciso, partendo da una breve analisi del caso.
Il recupero del rimborso IVA
Il 7 dicembre 2016 l’Agenzia delle entrate notificava a un contribuente, titolare di impresa individuale, l’atto di recupero di un rimborso IVA per l’importo di euro 300.000 oltre sanzioni per euro 90.000 ex art. 5, d.lgs. 471/1997 (30% del capitale).
La pretesa impositiva e relativa sanzione da parte del Fisco si fondava sul fatto che il rimborso era stato chiesto dal contribuente per IVA afferente alla effettuazione di lavori di ristrutturazione di fabbricati ed impianti su un terreno che il contribuente stesso deteneva in virtù di un contratto di locazione stipulato con un soggetto terzo e non quale proprietario, risultando così al di fuori della previsione di cui all’art. 30, terzo comma, lett. c), dPR 633/1972.
Il contribuente proponeva ricorso contro questo provvedimento, affermando il diritto al rimborso IVA. L’impugnativa era poi accolta dalla Commissione tributaria provinciale di Brescia. Quella regionale della Lombardia respingeva l’appello dell’Agenzia delle entrate.
In particolare, la CTR osservava che nel caso di specie doveva applicarsi il principio di diritto sancito dalle SU della Corte di Cassazione, secondo cui
l’esercente attività d’impresa o professionale ha diritto alla detrazione IVA anche per i lavori di ristrutturazione o manutenzione di immobili di proprietà di terzi, purché sia presente un nesso di strumentalità tra tali beni e l’attività svolta, anche se potenziale o di prospettiva e pur se, per cause estranee al contribuente, detta attività non possa poi in concreto essere esercitata.
In tal modo, si accerta che sussiste un nesso di strumentalità dei lavori edili all’ attività d’impresa del contribuente. Si nega invece che abbia portata ostativa al chiesto rimborso IVA il fatto che gli immobili interessati dai lavori stessi, in quanto di proprietà di un soggetto terzo, non fossero ammortizzabili dal contribuente medesimo.
Il ricorso in Cassazione
L’Agenzia fiscale ricorre in Cassazione lamentando la violazione/falsa applicazione degli artt. 5, comma 5, d.lgs. 471/1997, 30, comma 3, dPR 633/1972, 102, 103, TUIR. Sostiene infatti che la Commissione tributaria regionale, affermando la sostanziale coincidenza dei presupposti di esercizio del diritto di detrazione e di quello di rimborso dell’IVA, abbia dato seguito alla giurisprudenza di legittimità che ha statuito la sussistenza del primo anche quando l’imposta detratta sia correlata a fatture passive inerenti ad opere su beni detenuti dal soggetto passivo, ma di proprietà di terzi.
Invece, il Fisco sostiene la diversità della disciplina giuridica dei due istituti della detrazione e del rimborso IVA e dunque la non pertinenza al caso di specie di tale orientamento. Le opere di ristrutturazione in oggetto insistono infatti su terreno non di proprietà del contribuente, che le possiede in locazione.
L’Agenzia ritiene pertanto che ciò pone la fattispecie concreta al di fuori della sfera di applicabilità dell’art. 30, comma 3, lett. c), dPR 633/1972. La norma prevede infatti che il diritto al rimborso dell’IVA spetti solo se ci si riferisce all’acquisto (o all’importazione) di beni ammortizzabili. Si ritengono tali sia quelli non strumentali all’attività dell’impresa, che dei quali il contribuente (soggetto passivo) abbia il possesso in virtù del diritto di proprietà o altro diritto reale.
La posizione della Corte di Cassazione
Per la Corte di Cassazione la censura del Fisco è infondata.
Per i giudici di legittimità la Sezione tributaria che si è occupata del caso avrebbe correttamente rilevato un contrasto giurisprudenziale sulla questione, ovvero se i presupposti per la detrazione IVA siano gli stessi del rimborso dell’imposta medesima con specifico riguardo all’IVA afferente ad operazioni imponibili passive relative a beni di proprietà di un soggetto che è terzo rispetto al rapporto d’imposta.
Ciò premesso, si giunge alla questione di diritto proposta dalla Sezione tributaria. A tal fine, i giudici di legittimità ricordano che:
- l’art. 30, commi 1-2, dPR 633/1972, nelle parti che qui rilevano, prevede che “se dalla dichiarazione annuale risulta che l’ammontare detraibile di cui al n. 3) dell’articolo 28, aumentato delle somme versate mensilmente, è superiore a quello dell’imposta relativa alle operazioni imponibili di cui al n. 1) dello stesso articolo, il contribuente ha diritto di computare l’importo dell’eccedenza in detrazione nell’anno successivo, ovvero di chiedere il rimborso nelle ipotesi di cui ai commi successivi e comunque in caso di cessazione di attività”
- la stessa norma prevede altresì che “il contribuente può chiedere in tutto o in parte il rimborso dell’eccedenza detraibile, se di importo superiore a lire cinque milioni, all’atto della presentazione della dichiarazione: .. c) limitatamente all’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di beni ammortizzabili…”;
- infine, l’art. 183, primo paragrafo, della c.d. direttiva “rifusa”, prevede che “qualora, per un periodo d’imposta, l’importo delle detrazioni superi quello dell’IVA dovuta, gli Stati membri possono far riportare l’eccedenza al periodo successivo, o procedere al rimborso secondo modalità da essi stabilite”.
Il problema interpretativo è dunque se la previsione della norma comunitaria induca a considerare che il legislatore interno possa differenziare il trattamento giuridico della detrazione da quella del rimborso in termini sostanziali ovvero solo procedimentali.
L’interpretazione delle norme
La Corte ritiene che tali norme siano interpretate secondo l’indirizzo maggioritario della Sezione tributaria. La Sezione specialistica afferma infatti l’equivalenza dei presupposti della detrazione e del rimborso dell’IVA, a partire dalla letteralità della disposizione della direttiva rifusa, dove è fatta salva la facoltà degli Stati membri di disciplinare le «modalità» di rimborso dell’imposta, come alternativa al riporto dell’eccedenza attiva annuale.
Il termine non sembrerebbe lasciare spazio a dubbi sulla valenza procedimentale e non sostanziale della facoltà normativa interna.
È ancora il giudizio di legittimità a rammentare che l’indirizzo che restringe la portata applicativa della previsione di cui all’art. 30, secondo comma, lett. c), dPR 633/1972 si basa essenzialmente sulle espressioni “acquisto” e “ammortizzabili”, negando che sia rimborsabile l’IVA assolta in relazione a beni non acquistati, vale a dire dei quali il soggetto passivo non abbia acquisito la proprietà o altro diritto reale e che per tale ragione non rientrino tra i beni dell’impresa ammortizzabili, ancorchè si tratti di beni strumentali all’esercizio della impresa medesima.
Gli orientamenti
Le pronunce, dunque, enucleano il concetto di “bene ammortizzabile” dagli artt. 102, 103, dPR 917/1986, 2424, lett. B) I e II, cod. civ., come bene iscrivibile tra le “immobilizzazioni” (materiali o immateriali), che secondo i principi contabili OIC (24, 16), sono riferibili a costi ad utilità pluriennale per l’acquisto di beni durevoli, escludendosi che possa considerarsi a tal fine sufficiente la mera “strumentalità” del bene.
Di contro, l’orientamento che interpreta in modo più ampio l’enunciato normativo in esame assegna un valore tendenzialmente assoluto al principio eurounitario di neutralità. Dunque, in ogni caso, il soggetto passivo dell’imposta non può esserne inciso al pari di un consumatore finale.
Ed è dunque un’ interpretazione “unionalmente orientata” – si legge ancora nelle motivazioni – a guidare questa ermeneusi dell’art. 30, secondo comma, lett. c), dPR 633/1972, oltre la sua stretta letteralità, latamente intendendosi per “acquisto” la disponibilità del bene e per “ammortizzabile” la sua durevolezza/utilità pluriennale, campeggiando in questo lessico normativo il concetto funzionale, questo sì imprescindibile, di “strumentalità” ai fini imprenditoriali del soggetto passivo.
L’interpretazione del Collegio
Tutto ciò richiamato, il Collegio intende seguire il secondo indirizzo per la dirimente ragione che il giudice nazionale, particolarmente quello di ultima istanza, nel caso dubbio deve adottare un criterio di “interpretazione conforme”, a maggior ragione qualora, come nel caso in esame, oggetto del giudizio sia un’imposta “armonizzata” ossia soggetta alla disciplina unionale delle ben note “direttive IVA”.
Dando ulteriore consolidamento all’indirizzo prevalente nella Sezione specializzata tributaria, non vi sarebbe pertanto alternativa ad un’interpretazione estensiva della disposizione legislativa interna.
In particolare, all’espressione «acquisto .. di beni ammortizzabili», utilizzata dal legislatore IVA interno (art. 30, terzo comma, lett. c), dPR 633/1972), va attribuito il significato – lato – di disponibilità di tali beni in virtù di un titolo giuridico che ne garantisca il possesso ovvero la detenzione per un periodo di tempo apprezzabilmente lungo, ferma in ogni caso la necessaria “strumentalità” dei beni stessi all’esercizio dell’impresa.
Va peraltro rimarcato che il concetto di “bene ammortizzabile” non può essere correttamente inteso nel contesto giuridico dell’IVA con riferimento alle previsioni normative in materia di imposte dirette, né risultano ermeneuticamente dirimenti le disposizioni sul bilancio contenute nel codice civile ovvero i principi contabili.
Piuttosto, è opportuno fare riferimento alla nozione di “beni di investimento”, che è quella utilizzata nella direttiva “rifusa” (artt. 174, comma 2, lett. a) e comma 3, 188, comma 1, secondo periodo, e comma 2, 189, lett. a), 190, direttiva 2006/112/CEE) e che quindi risulta essere l’unico parametro al quale un’ interpretazione “conforme” deve affidarsi.
Il principio di diritto
Chiarito quanto sopra, appare chiaro come l’applicazione della disposizione legislativa de qua ve necessariamente estesa ai beni che, pur stricto sensu non ammortizzabili, sono comunque destinati all’esercizio dell’impresa per un periodo di tempo medio-lungo, appunto quali “investimenti” (beni strumentali), come avvenuto nel caso in esame.
In definitiva, il Collegio afferma che il principio di diritto espresso da queste SU nella sentenza n. 11533/2018 in tema di detrazione IVA va esteso al rimborso dell’imposta medesima. Formula così il seguente principio di diritto:
L’esercente attività d’impresa o professionale ha diritto al rimborso dell’ IVA per i lavori di ristrutturazione o manutenzione di immobili dei quali non è proprietario, ma che detiene in virtù di un diritto personale di godimento, purché sia presente un nesso di strumentalità tra tali beni e l’attività svolta.