La rinuncia all’eredità – indice:
- Cos’è
- Gratuita e onerosa
- Come funziona
- Chi può rinunciare
- I tempi
- Gli effetti
- Successione legittima e testamentaria
- L’impugnazione
- La revoca
- I costi
L’apertura della successione fa sorgere in capo al chiamato all’eredità una serie di diritti e poteri. Fra i più rilevanti, quello all’accettazione ed alla rinuncia all’eredità. Il primo ha luogo espressamente oppure tacitamente, in caso di accettazione tacita tramite atti che facciano presumere la volontà di subentrare nella posizione giuridica del defunto. La rinuncia, disciplinata agli articoli 519 e seguenti del codice civile, si esercita con una dichiarazione espressa di voler rinunciare all’eredità. Varie sono le ragioni sottintese ad un atto di rinuncia all’eredità: un patrimonio ereditario carico di debiti oppure altre ragioni di natura morale, familiare o economica. Sulla natura giuridica della rinuncia, la dottrina e la giurisprudenza più consolidate sono giunte a qualificarla come un negozio giuridico con cui il chiamato rinuncia abdicativamente agli effetti della delazione ereditaria (la chiamata a succedere).
Cos’è la rinuncia all’eredità
La rinuncia all’eredità è l’atto con cui il chiamato dichiara di non accettare l’eredità e dunque di non subentrare nella posizione giuridica del de cuius. È un diritto che si esercita con espressa dichiarazione scritta da effettuarsi di fronte ad un notaio o presso la cancelleria del tribunale.
Si qualifica in diritto come un negozio giuridico unilaterale, che ha effetto durante la vita del soggetto che lo compie, revocabile, come si vedrà in seguito e non recettizio. La sua efficacia non è subordinata infatti al ricevimento dell’atto da parte di altro soggetto. Non è infatti destinata ad altri soggetti sebbene vada a regolare degli interessi in rapporto con altri.
Può, come già detto, costituire uno strumento di tutela per il chiamato all’eredità. Ad esempio verso un patrimonio connotato dalla presenza di debiti ereditari. Può rendere conveniente un atto di rinuncia la circostanza in cui il chiamato debba porre in essere la collazione a seguito di una donazione effettuata dal de cuius a suo vantaggio e di valore maggiore rispetto al patrimonio ereditario relitto. In alternativa, può essere un valido mezzo per tutelare interessi familiari. Ad esempio, destinare l’intera eredità ad un figlio in presenza di un nuovo coniuge al quale potrebbe spettare una parte di questa.
La rinuncia all’eredità è un negozio giuridico “puro” che non può essere assoggettato a termini e condizioni, si definisce infatti un actus legitimus. Il codice civile sanziona la presenza di termini e condizioni con la nullità di tutto l’atto, come stabilito all’articolo 520 del codice civile.
Rinuncia gratuita e onerosa
Il legislatore ha previsto due ipotesi di rinuncia all’eredità: gratuita ed una onerosa.
Quella gratuita può essere effettuata a favore di tutti i chiamati o soltanto alcuni. Nel primo caso è disciplinata sia dall’articolo 519, secondo comma, del codice civile, sia dall’articolo 478. La prima delle due norme prevede che “La rinunzia fatta gratuitamente a favore di tutti coloro ai quali si sarebbe devoluta la quota del rinunziante non ha effetto finché, a cura di alcuna delle parti, non siano osservate le forme indicate nel comma precedente”. In tal caso, nel dubbio se l’atto di rinuncia possa o meno considerarsi una donazione indiretta, bisognerà verificare se il rinunciante ha espresso una volontà in tal senso. Se, tuttavia, oggetto di rinuncia a favore di tutti i chiamati sono diritti successori, si avrà una donazione indiretta in quanto, come afferma l’articolo 478, tale rinuncia importa accettazione. La rinuncia all’eredità a favore di soli alcuni dei chiamati invece, disciplinata dall’articolo 478, importa sempre accettazione dell’eredità e dunque configurerà un vero e proprio negozio di donazione.
Per quanto riguarda invece la rinuncia verso corrispettivo, il riferimento normativo è sempre l’articolo 478 del codice civile. La natura di tale tipo di rinuncia è stata studiata dalla giurisprudenza che ne ha elaborato varie teorie. Da quella contrattuale ad atto dispositivo consistente in accettazione tacita.
Come si fa la rinuncia all’eredità
Ai sensi dell’articolo 519 del codice civile “La rinunzia all’eredità deve farsi con dichiarazione, ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, e inserita nel registro delle successioni”.
Quando si desidera procedere con la dichiarazione presso la cancelleria del tribunale, il tribunale competente è quello nel cui circondario si trovava l’ultima residenza in vita del defunto.
È necessario inoltre presentare i seguenti documenti:
- la carta d’identità e il codice fiscale dei dichiaranti;
- il codice fiscale del defunto;
- se ci sono minori, tutelati o amministrati una copia conforme dell’autorizzazione del giudice tutelare;
- una copia conforme del testamento se presente;
- l’originale certificato di morte.
Devono essere presenti al momento in cui si effettua la dichiarazione i dichiaranti ed entrambi i genitori del minore che deve rinunciare all’eredità.
La dichiarazione, una volta resa, viene registrata a cura del cancelliere o del notaio presso il registro delle successioni.
Chi può rinunciare all’eredità
Possono rinunciare all’eredità solo coloro nei confronti dei quali vi è vocazione e delazione a seguito dell’apertura della successione. Si tratta dunque dei chiamati all’eredità, con delle precisazioni nei confronti di alcune tipologie di questi.
Tra i chiamati si possono avere:
- soggetti incapaci d’agire. Questi devono essere distinti in soggetti totalmente incapaci e parzialmente incapaci. I primi, che sono i minori e gli interdetti, possono rinunciare all’eredità purché vengano legalmente rappresentati e ricevano l’autorizzazione del giudice tutelare. I secondi, ovvero gli emancipati e gli inabilitati, possono presentarsi e dichiarare di voler rinunciare all’eredità soltanto assistiti da un curatore e su autorizzazione del giudice tutelare;
- se lo autorizza il giudice tutelare, possono rinunciare all’eredità i beneficiari dell’amministratore di sostegno effettuando la dichiarazione personalmente con l’assistenza del proprio amministratore o facendosi sostituire da quest’ultimo;
- I nascituri in quanto soggetti capaci a succedere, se concepiti all’apertura della successione. Se non ancora concepiti quando, ai sensi dell’articolo 462, terzo comma del codice civile, viene fatto testamento nei confronti dei “figli di una determinata persona vivente al tempo della morte del testatore, benché non ancora concepiti”. Questi possono rinunciare all’eredità.
- Le persone giuridiche, oggi senza alcuna autorizzazione, in quanto aventi capacità d’agire.
Quanto tempo si ha per rinunciare all’eredità
Non disponendo la legge alcuna precisazione in merito al tempo di rinuncia dell’eredità, ad individuare dei limiti sono state la dottrina e la giurisprudenza. Queste, dopo varie teorie, hanno stabilito che la rinuncia va effettuata entro 10 anni dall’apertura della successione per poter essere considerata valida. Si tratta dello stesso termine previsto dalla legge, all’articolo 480 del codice civile, per accettare l’eredità. L’unico caso in cui la decorrenza di tale termine può essere differita è quello in cui la delazione non coincide con il momento in cui si apre la successione. Il termine decorrerà in questo caso da quando si verifica la delazione.
Non è possibile rinunciare all’eredità nei seguenti casi:
- quando il chiamato all’eredità è nel possesso dei beni ereditari e non ha fatto l’inventario entro tre mesi dal giorno di apertura della successione. L’articolo 485, secondo comma, del codice civile, prevede infatti che, in tal caso, il chiamato assume la qualità di erede puro e semplice;
- ai sensi del terzo comma dell’articolo 485 del codice civile quando il chiamato all’eredità nel possesso dei beni ereditari non dichiara di rinunciare all’eredità entro 40 giorni dall’esecuzione dell’inventario. Anche in tal caso la legge lo considera erede puro e semplice;
- se, ai sensi dell’articolo 527 del codice civile, il chiamato all’eredità ha sottratto o nascosto beni spettanti all’eredità stessa. La rinuncia effettuata ugualmente non avrà effetto in quanto per la legge il chiamato sarà erede puro e semplice.
Gli effetti della rinuncia
Ai sensi dell’articolo 521, primo comma, del codice civile, “Chi rinunzia all’eredità è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato“. L’effetto principale di dichiarare la rinuncia è la perdita della qualità di erede fin dall’inizio in quanto la rinuncia opera retroattivamente. Il rinunciante, dunque, perde subito la possibilità di esercitare i poteri propri del chiamato di cui agli articoli 460 e 486 del codice civile. Si tratta in particolare di:
- compiere le azioni possessorie;
- conservare, vigilare e amministrare temporaneamente l’eredità ed eventualmente vendere i beni che non si possono conservare su autorizzazione dell’autorità giudiziaria;
- rappresentare l’eredità in giudizio.
Queste attività, se esercitate prima della rinuncia, non perdono tuttavia la loro efficacia.
La dichiarazione di rinuncia non interferisce con le donazioni e i legati. Chi rinuncia infatti, ai sensi del secondo comma dell’articolo 521, può trattenere ciò che gli è stato attribuito a titolo di donazione o legato. Può, tuttavia, farlo fino a concorrenza della porzione disponibile salvo il caso in cui sia un legittimario. Si applicano allora gli articoli 551 e 552 del codice civile che regolano il legato in sostituzione di legittima e la donazione in relazione al legato in conto di legittima.
La rinuncia nella successione legittima e in quella testamentaria
La legge distingue e regola diversamente la devoluzione di quanto è stato oggetto di rinuncia da parte del chiamato rinunciante nella successione legittima e in quella testamentaria.
Nella successione legittima, l’articolo 522 del codice civile, distingue l’ipotesi dell’unico chiamato all’eredità che rinuncia da quella in cui il rinunciante è uno di più chiamati. Nel primo caso la norma afferma che “l’eredità si devolve a coloro ai quali spetterebbe nel caso che egli mancasse”. Nel secondo caso invece la quota rinunciata si devolve: in primo luogo a favore dei discendenti di colui che ha rinunciato per rappresentazione; in secondo luogo agli ascendenti ai sensi dell’ultimo comma dell’articolo 571 del codice civile. In ultima ipotesi, se non sussistono i due presupposti precedenti, la parte rinunciata si accresce a coloro che avrebbero concorso con il rinunziante.
Anche la norma che regola la rinuncia nella successione testamentaria vede un sistema gerarchico di devoluzione della parte oggetto di rinuncia. In particolare, l’articolo 523 del codice civile, dispone la devoluzione in primo luogo al sostituito se il testatore ne ha indicato uno, in secondo luogo al rappresentato e in terzo luogo ai coeredi per accrescimento. In ultimissima ipotesi la devoluzione avviene agli eredi legittimi per mancanza di accrescimento.
Impugnare la rinuncia: chi può farlo e come
La dichiarazione di rinuncia all’eredità può essere impugnata dal rinunziante stesso, dai suoi eredi, o dai suoi creditori.
Il rinunziante o i suoi eredi possono impugnare la rinuncia quando è stata fatta a causa di violenza o dolo. Lo stabilisce l’articolo 526 del codice civile. L’impugnazione comporta l’azione di annullamento della rinuncia che deve essere promossa entro 5 anni dalla cessazione della violenza o dalla scoperta del dolo per evitare la prescrizione.
L’impugnazione della rinuncia all’eredità può essere mossa anche dai creditori del rinunciante. Viene promossa tramite un’azione giudiziaria quando il rinunciante ha causato a questi un danno, anche senza aver integrato il reato di frode. La norma, l’articolo 524 del codice civile, parla di “autorizzazione ad accettare l’eredità da parte dei creditori in nome e luogo del rinunziante”. La norma intende imprecisamente: per autorizzazione una sentenza derivante da un ordinario processo; per accettazione dell’eredità l’azione per soddisfare i propri crediti sui beni ereditari. Non vi è assunzione della qualità di erede infatti né da parte del rinunciante né dei creditori. Questa verrà invece acquisita dal chiamato in subordine del rinunciante.
I creditori del rinunciante sono coloro i quali risultano tali al momento della rinuncia. Al giudizio di impugnazione devono dunque partecipare entrambe le parti: i creditori del rinunciante e il rinunciante stesso. Deve partecipare inoltre il chiamato in subordine del rinunciante.
Si può revocare la rinuncia all’eredità?
Colui che ha dichiarato di rinunciare all’eredità ha a disposizione un rimedio per poter invertire quanto compiuto. Tale rimedio è predisposto dall’articolo 525 del codice civile che afferma: “Fino a che il diritto di accettare l’eredità non è prescritto contro i chiamati che vi hanno rinunziato, questi possono sempre accettarla, se non è già stata acquistata da altro dei chiamati, senza pregiudizio delle ragioni acquistate da terzi sopra i beni dell’eredità”. Si tratta di una sorta di accettazione tardiva dell’eredità per cui, anche avendo rinunciato, si può accettare finché il diritto non si è prescritto. Si eliminano così gli effetti della rinuncia ma non si ripristina la condizione iniziale di delato del rinunciante che non può più dunque scegliere tra l’accettazione e la rinuncia.
Non si può procedere alla revoca della rinuncia in due ipotesi:
- Dopo 10 anni dall’apertura della successione o passato il termine fissato dal giudice per l’accettazione ai sensi dell’articolo 481 del codice civile. Trascorso tale termine si prescrive il diritto all’accettazione dell’eredità e pertanto non è più possibile revocare la rinuncia;
- Se gli altri chiamati acquistano la quota rinunciata accettandola espressamente o tacitamente o anche in maniera automatica senza bisogno di accettazione. Dottrina e giurisprudenza non ammettono neppure accordi privati tra il rinunziante e gli altri chiamati che hanno acquistato la quota rinunciata per consentire al rinunciante di accettare anche successivamente all’acquisto della quota rinunciata.
La legge non prescrive una determinata forma della revoca. Questa pertanto può avvenire sia espressamente che tacitamente.
I costi della rinuncia all’eredità
I costi da sostenere per rinunciare all’eredità variano a seconda che si proceda ad effettuare la dichiarazione presso un notaio o presso la cancelleria del tribunale. Presso il notaio, chiaramente, il costo sarà più alto in quanto si aggiungerà al pagamento delle imposte, la parcella professionale. Se si intende procedere presso la cancelleria del tribunale è bene fissare un appuntamento con congruo anticipo per evitare di trovarsi velocemente a ridosso dei termini. In ogni caso sono fissi gli importi da pagare relativamente a:
- l’imposta di registro pari ad euro 200 da versare con modello F23;
- imposta di bollo e diritti di copia il cui importo viene comunicato il giorno in cui si effettua la dichiarazione.