Rischio cambio, cosa succede al contratto di leasing – guida rapida
- Il ricorso del titolare del contratto di leasing
- I motivi del ricorso
- La fondatezza dei motivi di ricorso: le decisioni della Corte
- Meritevolezza del contratto e rispetto doveri di buona fede
Con la sentenza n. 25791 del 26 settembre 2024, la Corte di Cassazione ha chiarito che non costituisce un patto immeritevole di tutela ex art. 1322 c.c. né uno strumento finanziario derivato implicito la clausola di un contratto di leasing che preveda il mutamento della misura del canone in funzione sia delle variazioni di un indice finanziario, sia delle fluttuazioni del tasso di cambio tra la valuta domestica ed una valuta straniera, e l’invariabilità nominale dell’importo mensile del canone con separata regolazione dei rapporti dare/avere tra le parti in base alle suddette fluttuazioni.
Nel caso in cui il contratto preveda una doppia indicizzazione, agganciando le variazioni del canone sia alle variazioni del tasso LIBOR, sia alle variazioni del rapporto di cambio franco/euro, deve essere dunque considerato che l’indicizzazione del canone al tasso LIBOR costituisca una normale clausola onnipresente nei finanziamenti a tasso variabile.
Per la sentenza ora in esame, è dunque pacificamente lecita e non costituisce un derivato. L’indicizzazione del canone alle fluttuazioni del rapporto di cambio costituisce invero una clausola-valore, cosi che essa è da ritenersi lecita, senza che costituisca uno strumento derivato. Dalla combinazione delle due clausole, tutte e due lecite e non costituenti uno strumento finanziario derivato, non può insomma sorgere un contratto illecito, costituente uno strumento finanziario derivato.
Sulla base dei principi di cui sopra, bisogna escludersi che la clausola di “rischio cambio” determini un mutamento della causa del contratto di leasing, dovendo escludersi che la relativa previsione legittimi la conclusione che scopo dell’utilizzatore in tal caso divenga quello di realizzare un lucro finanziario in luogo di quello commerciale di acquistare un immobile, e che la volontà del concedente debba in tale ipotesi ritenersi quella di concludere il contratto al solo fine di speculare sul tasso di cambio.
Il ricorso del titolare del contratto di leasing sul rischio cambio
Una snc ha convenuto dinanzi al Tribunale una società a responsabilità limitata (srl) in rapporto ad un contratto di leasing immobiliare inizialmente stipulato una spa, alla quale quest’ultima era subentrata.
La snc ha dedotto che il contratto di leasing sottoscritto con la convenuta contenesse una clausola di doppia indicizzazione al rischio cambio da ritenersi nulla ed illegittima per indeterminatezza, immeritevolezza, violazione degli obblighi informativi.
Istituitosi il contraddittorio con la convenuta, il Tribunale ha accolto la domanda accertando e dichiarando la nullità della clausola di doppia indicizzazione al rischio cambio, con rigetto viceversa delle domande relative al trattenimento dei canoni di locazione versati.
Applicato il tasso sostitutivo di cui all’art. 117, comma 7 TUB, ha condannato la srl alla restituzione di una somma di denaro e al pagamento delle spese di lite e CTU.
La Corte d’Appello di Trieste ha accolto parzialmente il gravame interposto dalla srl e in conseguente parziale riforma della sentenza di primo grado ha dichiarato la nullità della clausola di indicizzazione dei canoni a “rischio cambio” del contratto di leasing per ragioni in parte diverse da quelle ravvisate dal giudice di prime cure. La Corte d’Appello ha infatti ritenuto che la clausola costituisse un contratto aleatorio stipulato tra il conduttore ed il locatore, una sorta di swap, e come tale non meritevole di tutela ai sensi dell’art. 1322 c.c..
Di conseguenza, riformando parzialmente la sentenza, ha accertato e dichiarato l’invalidità della clausola ai sensi dell’art. 1322 c.c., confermando per il resto la sentenza di primo grado.
Contro tale sentenza della corte di merito la srl ha proposto ricorso per Cassazione.
I motivi del ricorso sul rischio cambio
Con il primo e il secondo motivo la ricorrente denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, comma secondo, n. 4) c.p.c. in riferimento all’art. 360, primo comma n. 4) c.p.c. In particolare, la srl si duole dell’erronea interpretazione della clausola di doppia indicizzazione, secondo cui essa integri una sorta di swap, laddove trattasi di mera clausola rischio cambio ritenuta legittima dalla Suprema Corte.
Ancora, la srl lamenta che la corte di merito ha erroneamente e immotivatamente considerato la clausola (dal giudice di prime cure ritenuta nulla/inefficace per violazione dell’obbligo di trasparenza ex art. 117 TUB) come invalida/inefficace per violazione dell’art. 1322 c.c.. Con il terzo motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366 c.c., in riferimento all’art. art. 360, secondo comma n. 3), c.p.c.
La clausola di rischio cambio e quella di indicizzazione
In particolare, si duole non essersi dalla corte di merito considerato che la clausola di rischio cambio e la clausola di indicizzazione per variazione del tasso costituiscono elementi fondamentali e inscindibili di determinazione del corrispettivo del contratto di leasing.
Lamenta poi che la corte di merito ha considerato come contratto autonomo con propria causa, una sorta di swap, la clausola di rischio cambio, dopo averla erroneamente estrapolata dalla clausola di indicizzazione.
Con il quarto motivo di ricorso viene denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 1322, 1362, 1363, 1366 c.c., in riferimento all’art. 360, primo comma n. 3), c.p.c. La ricorrente si duole infatti che la corte di merito abbia considerato la clausola di rischio cambio immeritevole di tutela ex art. 1322 c.c. solo in quanto “astrusa” e macchinosa, laddove essa è considerata legittima dalla Suprema Corte.
Infine, con il quinto motivo viene denunciata la violazione dell’art. 132, comma secondo, n. 4) c.p.c., in riferimento all’art. 360, primo comma n. 4), c.p.c. La srl si duole non essersi “compreso” che il 3° motivo d’appello, con il quale ha censurato la sentenza di 1° grado nella parte in cui risulta affermato che la nullità delle clausole di indicizzazione riverberano sulla pattuizione del tasso d’interesse del contratto, e si è fatta applicazione del tasso sostitutivo ex art. 117 TUB. Lamenta dunque che la corte di merito ha confuso la restituzione delle somme per nullità delle clausole di indicizzazione con la sostituzione del tasso ex art. 117 TUB.
La fondatezza dei motivi di ricorso: le decisioni della Corte
La Corte esamina unitariamente i motivi di ricorso premettendo di aver già avuto modo di affermare come “non costituisce un patto immeritevole di tutela ex art. 1322 c.c. né uno strumento finanziario derivato implicito la clausola di un contratto di leasing che preveda
- a) il mutamento della misura del canone in funzione sia delle variazioni di un indice finanziario, sia delle fluttuazioni del tasso di cambio tra la valuta domestica ed una valuta straniera,
- b) l’invariabilità nominale dell’importo mensile del canone con separata regolazione dei rapporti dare/avere tra le parti in base alle suddette fluttuazioni (v. Cass., Sez. Un., 23/2/2023, n. 5657; e, conformemente, Cass., 1, n. 30556 del 3/11/2023; Cass., 3, n. 2510 del 26/1/2024; Cass., n. 14805 del 2023, Cass., n. 25578 del 2023).
Precisa con l’occasione che nel caso in cui il contratto preveda una doppia indicizzazione, agganciando cioè le variazioni del canone sia alle variazioni del tasso LIBOR, sia alle variazioni del rapporto di cambio franco/euro, si deve considerare che l’indicizzazione del canone al tasso LIBOR costituisce una normale clausola onnipresente nei finanziamenti a tasso variabile.
L’indicizzazione non costituisce un derivato
La Corte ricorda che essa è infatti pacificamente lecita e non costituisce un derivato. L’indicizzazione del canone alle fluttuazioni del rapporto di cambio costituisce piuttosto una clausola-valore, così che essa è lecita e non costituisce un derivato. Dalla combinazione di due clausole, tutte e due lecite e non costituenti uno strumento finanziario derivato, non può sorgere un contratto illecito, costituente uno strumento finanziario derivato.
Si pone poi in rilievo, prosegue la pronuncia che “in applicazione di detti princìpi deve escludersi che la clausola di “rischio cambio” determini un mutamento della causa del contratto di leasing, dovendo escludersi che la relativa previsione legittimi la conclusione che scopo dell’utilizzatore in tal caso divenga quello di realizzare un lucro finanziario in luogo di quello commerciale di acquistare un immobile, e che la volontà del concedente debba in tale ipotesi ritenersi quella di concludere il contratto al solo fine di speculare sul tasso di cambio”.
Meritevolezza del contratto e rispetto doveri di buona fede
La pronuncia si sofferma poi nel sottolineare come i concetti di meritevolezza del contratto e di rispetto dei doveri di buona fede siano diversi:
- il giudizio di meritevolezza stabilisce se il contratto può produrre effetti;
- il giudizio sul rispetto della buona fede assume rilievo sotto molteplici profili. Per esempio, prima della stipula può servire a stabilire se il consenso di una delle parti sia stato carpito con dolo o dato per errore. Dopo la stipula, invece, può essere utile per stabilire come debba interpretarsi il contratto. Infine, dopo l’adempimento può servire a stabilire se questo sia stato inesatto.
Tutto ciò premesso, i giudici di legittimità sottolineano come il contratto immeritevole sia improduttivo di effetti, mentre il contratto eseguito in contrasto con la buona fede o correttezza faccia insorgere il diritto alla risoluzione o al risarcimento del danno.
I principi violati dalla sentenza
Si precisa poi che se la pattuizione di una clausola di rischio cambio di per sé non può considerarsi integrare violazione dell’obbligo di buona fede o correttezza, va in concreto verificato se la relativa previsione viceversa non la determini in ipotesi di “mancanza di chiarezza e di informazione, conseguenti alla natura puramente speculativa della clausola”, quando cioè il finanziatore, pur essendo a conoscenza o potendo conoscere eventuali future fluttuazioni del cambio, “non avverta l’altra parte di tale circostanza in sede precontrattuale, in tal caso violando il dovere di buona fede, e, se il contratto è stipulato con un consumatore, pattuendo una clausola determinante un significativo squilibrio tra le parti”.
Ora, sottolinea la pronuncia, nella sentenza impugnata sentenza la corte di merito ha disatteso i suindicati principi.
In particolare, si legge, dove ha fatto riferimento
- alla macchinosità della clausola,
- all’aleatorietà degli effetti della medesima,
- allo squilibrio tra le prestazioni,
senza considerare come rientri nell’autonomia privata delle parti prefigurare la possibilità di sopravvenienze che incidono o possono incidere sull’equilibrio delle prestazioni ed assumerne, reciprocamente o unilateralmente, il rischio modificando lo schema tipico del contratto commutativo e rendendolo per tale aspetto aleatorio.
Per questi motivi la Corte ha accolto il ricorso.