I segni distintivi – indice:
Come intuibile dallo stesso nome, i segni distintivi dell’impresa sono quegli elementi che permettono di identificare univocamente l’impresa. Sono dunque elementi che permettono di riconoscere l’imprenditore, il luogo dove si esercita l’impresa e i prodotti offerti. E, insomma, consentire ai consumatori di poter effettuare delle scelte più consapevoli e, di contro, agli imprenditori di conservare meglio la propria clientela. In Italia i segni distintivi sono oggetto di tutela giuridica contro gli atti di concorrenza sleale che possono compiersi all’interno di un libero mercato. Le norme che garantiscono tale tutela sono il Codice Civile e il Codice della proprietà industriale. Quest’ultimo, in particolare, detta una disciplina specifica e approfondita del marchio inserendolo nella più ampia cerchia dei diritti di proprietà industriale. Della disciplina internazionale dei segni distintivi qui non ci si sofferma anche se, in particolare con riferimento al marchio, ci sono norme europee in qualche modo ingerenti nella disciplina italiana.
I segni distintivi dell’impresa, e dell’imprenditore, sono tre: ditta, insegna e marchio. Per essere tali devono possedere determinati requisiti di validità fra i quali, in prima battuta, si annoverano: la capacità distintiva, la novità, l’uso e la notorietà. Regole comuni inoltre devono essere adottate dall’imprenditore per evitare di porre in essere atti di concorrenza sleale e danneggiare i diritti dei concorrenti.
Cosa sono i segni distintivi
Per meglio comprendere cosa sono i segni distintivi dell’impresa si può partire richiamando la definizione di azienda di cui all’articolo 2555 c.c. Questo afferma che: “L’azienda è il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”. Ragionando su tale definizione ci si soffermi sul concetto di “complesso dei beni”. I beni si distinguono in beni materiali e immateriali: è a quest’ultimi che vanno ricondotti i segni distintivi dell’impresa e l’esercizio dei diritti di proprietà industriale.
L’imprenditore dunque si serve di tali segni distintivi per rendere noti sul mercato la sua attività, corrispondente ai prodotti e i servizi offerti, il luogo dove viene svolta e distinguersi dagli altri operatori economici. Ciò è funzionale al raccoglimento di una clientela che potrà in tal modo operare una scelta consapevole con riferimento al soddisfacimento dei propri bisogni.
La normativa del Codice Civile in materia di segni distintivi distingue, come già accennato, la tutela con riferimento alla ditta, al marchio e all’insegna che sono i segni distintivi più rilevanti. Questa garantisce il rispetto dell’articolo 41 della Costituzione ovvero la libertà di iniziativa economica privata e punisce i comportamenti che rendono sleale la concorrenza tra imprenditori.
Cosa ne costituisce oggetto
I segni distintivi hanno per oggetto tutte le entità che possono essere rappresentate graficamente e che siano idonei a distinguere un’impresa da un’altra. Si tratta in particolare di:
- lettere, parole, nomi e sigle;
- cifre e numeri;
- suoni;
- figure e disegni;
- forme del prodotto o della sua confezione;
- colori e combinazione degli stessi;
- gli odori e i profumi purché possano essere rappresentati graficamente.
Tali ipotesi si sono nel tempo affermate con la prassi in quanto la legge non prevede espressamente che cosa costituisca oggetto dei segni distintivi. L’unico riferimento normativo è quello previsto al n. 1 dell’articolo 2598 c.c. che parla di “nomi o segni distintivi“.
Per costituire oggetto di tutela, tuttavia, questi segni devono avere determinate caratteristiche che si esamineranno nei paragrafi successivi.
Capacità distintiva, novità, uso e notorietà
I requisiti di validità dei segni distintivi non sono espressamente previsti dalla legge ma si deducono dai limiti dalla stessa imposti in tema di concorrenza sleale.
In primo luogo vi è la capacità distintiva ovvero l’idoneità del segno a distinguere i prodotti e i servizi di un imprenditore da quelli degli altri. Tale capacità può variare nel tempo nel senso che può essere acquisita successivamente oppure può essere persa. Di conseguenza varia anche la temporalità dell’essere oggetto di tutela del segno. Sempre rispetto al tempo può inoltre variare di intensità ovvero essere in un momento più forte e in un momento più debole. La capacità distintiva di un segno, tuttavia, sotto i profili appena elencati, rileva nel momento in cui il segno viene violato.
Il secondo requisito è quello della novità. L’imprenditore infatti deve adottare come segno distintivo una formula nuova che non sia già utilizzata nel mercato da altro imprenditore né che sia simile. Si rammenta infatti che l’intento del legislatore è sempre quello di evitare il fenomeno della concorrenza sleale ed in particolare, con riferimento ai segni distintivi, le fattispecie confusorie di cui al n.1 dell’articolo 2598 c.c. Tale requisito è richiesto sia per i segni registrati che non registrati.
Fondamentale affinché il segno possa assolvere la sua funzione ed essere strumento di raccolta di clientela da parte dell’imprenditore è che sia noto ad un pubblico. E per essere noto deve essere utilizzato nel mercato. Da qui discende il terzo requisito di validità dei segni distintivi che l’uso. L’unica eccezione è rappresentata dal marchio che è soggetto a registrazione.
Infine, il mero uso non è sufficiente a rendere il segno conosciuto. È necessaria anche una certa notorietà ovvero un utilizzo continuativo che consenta ad un pubblico di associare determinati prodotti e servizi ad un’impresa. Si parla infatti di notorietà qualificata del segno.
La durata dei segni distintivi
Sulla durata dei segni distintivi bisogna fare specifiche precisazioni con riferimento a ciascuno di essi.
Il marchio ha una durata decennale a seguito del deposito della domanda di registrazione, rinnovabile un infinito numero di volte. Vi sono tuttavia delle ipotesi di estinzione del diritto, alcune individuate dalla legge. Si tratta di:
- nullità, di cui all’articolo 25 c.p.i.;
- decadenza per non uso;
- volgarizzazione (ovvero trasformazione del marchio in denominazione generica del prodotto o del servizio);
- decettività di cui all’art. 14, comma 2, lett. a), c.p.i.;
- contrarietà alla legge o all’ordine pubblico (art. 14, comma 2, lett. b), c.p.i.).
La ditta dura fintanto che viene utilizzata. Si ha dunque l’estinzione del diritto sulla ditta in corrispondenza del non uso e dunque della perdita della notorietà qualificata di cui si è parlato. Lo stesso discorso vale per l’insegna: il pubblico deve dimenticare il segno con riferimento ad una determinata attività a seguito della cessazione della stessa.
La ditta
La ditta è il nome sotto il quale l’imprenditore individuale esercita la propria attività.
Stando a quanto afferma il codice civile agli artt. 2563 e ss., la ditta deve rispondere a due principi:
- il principio della verità, sulla base del quale viene richiesto che la ditta indichi almeno il cognome o la sigla dell’imprenditore;
- il principio della novità, sulla base del quale la ditta deve permettere di caratterizzare l’impresa differenziandola da altre similari.
Rispondendo a tali principi, la ditta permette all’imprenditore che la registra prima degli altri di poter esercitare alcune importanti forme di tutela. In linea di massima, colui che ha registrato prima la ditta, può domandare e pretendere che coloro che l’hanno adottata in seguito, in maniera uguale o simile alla sua, la differenzino mediante modifiche (cioè, cambiando la propria ditta scelta) o integrazioni (ovvero, aggiungendo alcuni elementi che potrebbero permettere una migliore differenziazione).
Lo scopo della tutela è dunque quello di garantire all’imprenditore che ne vanta il diritto di evitare confusioni nella clientela. L’imprenditore può dunque richiedere il risarcimento dei danni se ritiene che da parte dell’imprenditore concorrente che ha registrato posteriormente la ditta vi sia stato dolo o colpa.
Trasferimento della ditta
Ricordiamo inoltre che la ditta è un elemento inscindibile dall’azienda, e che dunque in caso di trasferimento di quest’ultima, occorrerà necessariamente trasferire anche la ditta. La ditta rimane immodificata, salvo l’utilizzo di stampigliare sotto il nome della ditta trasferita, come oramai di prassi, anche il nome del successivo imprenditore, proprio in ossequio del principio della verità di cui si è già detto nelle scorse righe.
In altre parole, alla ditta può ben essere attribuito un valore economico proprio, visto e considerato che è un elemento non indifferente nel complesso aziendale. Dunque, il titolare della ditta può ben trasferirla ad altro imprenditore, ma non separatamente dall’azienda cui si riferisce.
Nel caso di atto di trasferimento fra vivi, la ditta passa all’acquirente solo con il consenso dell’acquirente. Altrimenti, in caso di morte, passa automaticamente al successore.
L’insegna
L’insegna è il segno distintivo che consente di poter individuare i locali in cui si svolge l’attività dell’imprenditore.
Come precisa l’art. 2568 c.c., è possibile fruire delle stesse norme previste dalla disciplina della tutela della ditta, solo se l’insegna non è generica ma ha una chiara capacità distintiva.
Stando alla nota sentenza n. 971/2017 da parte della Sezione I della Cassazione civile, ad esempio, nell’ipotesi di titolari di insegne uguali o simili, per la presenza dello stesso cognome, legittimamente utilizzate per effetto dell’acquisto, il giudice ha il diritto di dirimere eventuali controversie disponendo modificazioni, aggiunte o soppressioni, fino a eliminare il cognome dall’insegna che è sorta successivamente. È naturalmente necessario che il conflitto che ha fatto sorgere il ricorso alla sede giudiziaria sia tale da creare confusione per l’oggetto dell’impresa e per il luogo in cui questa è esercitata.
Il marchio
Il marchio è il segno distintivo dei prodotti e delle merci dell’impresa. Oltre che dal codice civile, dagli artt. 2569 in poi, è altresì disciplinato dal Codice della proprietà industriale.
Sebbene parleremo del marchio in un prossimo approfondimento, in maniera più specifica, possiamo in questa sede già anticipare che il marchio per poter essere valido deve essere:
- originale;
- vero;
- nuovo;
- conforme a legge, ordine pubblico e buon costume;
- non in grado di violare i diritti esclusivi dei terzi.
Nel caso in cui manchino uno o più dei requisiti di validità di cui sopra, il marchio è da intendersi nullo.
Il segno distintivo in questione può poi distinguersi in:
- di fabbrica: si applica al prodotto dell’imprenditore che è responsabile della produzione;
- di commercio: applicato dall’imprenditore che distribuisce ai consumatori il prodotto fabbricato da altri;
- collettivo: viene creato da organismi aventi la funzione di garantire l’origine o la qualità di determinati prodotti o servizi.
Per quanto infine riguarda la tutela, la forma di protezione principale consiste in un diritto di esclusiva. In altri termini, il titolare del marchio ha il diritto di essere l’unico a utilizzarlo (per quanto l’esclusiva sia condizionata dal requisito di novità).
In senso territoriale, la tutela può esercitarsi a livello locale, nazionale o europeo.
Altri segni distintivi: sigla, emblema e nomi di dominio
Oltre ai segni distintivi principali di cui si è appena trattato ve ne sono altri di rilievo pratico. Si tratta della sigla, dell’emblema e dei nomi di dominio (demain names).
La sigla è un segno distintivo per così dire improprio in quanto detiene una debole capacità distintiva. Essendo infatti l’abbreviazione di un nome (persona, ente, società, associazione, ecc) è costituita da lettere o dall’accostamento delle stesse, fenomeno molto ricorrente nel mercato. Se pertanto non interviene un lavoro di acquisto della capacità distintiva. ad esempio a mezzo di pubblicità, tale da determinarne una notorietà qualificata, la sigla non è un segno tutelabile dalla normativa sulla concorrenza sleale.
L’emblema invece è un segno avente ad oggetto un simbolo o comunque una raffigurazione che contraddistingue l’attività d’impresa. Dalla capacità distintiva più forte, data dalla maggiore complessità del segno e dal fatto che può costituire oggetto di marchio registrato, si presume essere destinatario di una tutela analoga a quella della ditta, cui è assimilato. Oppure a quella del marchio se ne costituisce oggetto.
I nomi di dominio sono i segni distintivi che identificano un sito internet e che sono costituiti da tre parti. Quella iniziale comune a tutti (http://www.), una centrale che assolve alla funzione di segno distintivo, e la finale corrispondente all’estensione come .com, .net, .it ecc. Con riferimento dunque alla parte centrale che, nella maggior parte dei casi descrive l’attività, il nome di dominio è soggetto alla disciplina contro la concorrenza sleale confusoria quando vi siano i requisiti di validità.