La separazione dei beni fra coniugi – indice:
- Cos’è
- Come funziona
- La modifica
- Quando cessa
- L’amministrazione dei beni
- La titolarità dei beni
- Diritti successori
- Separazione giudiziale
- Divorzio
L’articolo 215 del codice civile stabilisce, definendo la separazione dei beni fra coniugi, che:
“I coniugi possono convenire che ciascuno di essi conservi la titolarità esclusiva dei beni acquistati durante il matrimonio”.
La norma tratta del regime patrimoniale dei coniugi, alternativo a quello della comunione legale dei beni, in cui ciascun coniuge rimane unico gestore dei propri beni acquisiti durante il matrimonio.
A differenza del regime in comunione, quello di separazione dev’essere pattuito con apposita convenzione successiva al matrimonio oppure durante la celebrazione dello stesso di fronte al parroco o all’ufficiale di stato civile. In quest’ultimo caso la volontà di adottare tale regime in sede di celebrazione del matrimonio può essere convenuta in un momento precedente alla celebrazione dello stesso ai sensi del 3 comma dell’articolo 162 del codice civile.
Il regime di separazione dei beni non esclude la possibilità per i coniugi di acquisire dei beni in comunione alla quale tuttavia si applicherà la disciplina della comunione ordinaria di cui agli articoli 1100 e seguenti del codice civile e non quella della comunione legale fra coniugi.
Cos’è la separazione dei beni fra coniugi
In sede di celebrazione del matrimonio, ovvero stipulando una convenzione matrimoniale precedente o successiva alla stessa, i coniugi possono stabilire il regime patrimoniale da adottare in costanza di matrimonio. La separazione dei beni pertanto è il regime patrimoniale dei coniugi alternativo a quello della comunione legale. Quest’ultimo è il regime patrimoniale naturalmente adottato, ai sensi dell’art. 159 c.c., se non interviene un’apposita convenzione fra i coniugi a stabilire altrimenti.
Il regime di separazione dei beni è disciplinato nel codice civile agli articoli 215-219 c.c. nella sezione V del Capo VI del titolo VI del libro I dedicato al regime patrimoniale della famiglia.
L’atto che cristallizza la scelta in ordine al regime di separazione dei beni può essere redatto in negativo o in positivo ovvero dichiarare espressamente la scelta della separazione dei beni oppure la non volontà di adottare la comunione.
Ciò che caratterizza il regime di separazione è il fatto che a seguito del matrimonio nulla cambia per i coniugi in relazione alla titolarità e all’amministrazione dei beni di ciascuno. Si definisce infatti in dottrina tale regime patrimoniale come un “non regime” o un regime in negativo. La titolarità esclusiva dei beni di ciascun coniuge riguarda non solo i beni materiali e immateriali bensì i diritti acquisiti da ciascuno prima e in costanza di matrimonio. Si dice inoltre che tale regime ha carattere universale in quanto la sua disciplina si estende a tutto il patrimonio dei coniugi e non a singoli beni dello stesso.
Come si costituisce
I coniugi possono adottare il regime patrimoniale di separazione dei beni in tre momenti diversi rispetto alla celebrazione del matrimonio: prima, durante e in un momento successivo.
Nella prima e nelle terza ipotesi la costituzione può avvenire soltanto tramite convenzione stipulata di fronte ad un notaio, con la presenza di due testimoni, nella forma di atto pubblico. Si applicano infatti le norme sulle convenzioni matrimoniali di cui agli artt. 162-163-164 c.c.
Nella seconda ipotesi, contemplata dall’art. 162, secondo comma, c.c., invece, i coniugi possono rendere in una dichiarazione la propria volontà di adottare tale regime al celebrante il matrimonio. Entrambi devono esprime il proprio consenso altrimenti si applica automaticamente il regime di comunione dei beni.
Come si modifica
La scelta in ordine al regime patrimoniale adottato non pregiudica la possibilità che questo si modifichi convenzionalmente o naturalmente in un momento successivo. L’articolo 191 c.c. sullo scioglimento della comunione legale dei beni infatti elenca una serie di ipotesi di passaggio, automatico e non, dal regime di comunione a quello di separazione. In ogni caso bisogna osservare le regole previste per la modifica delle convenzioni matrimoniali di cui all’art. 163 c.c. I casi sono i seguenti:
- quando viene dichiarata l’assenza o la morte presunta del coniuge;
- se vi è annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio;
- quando i coniugi si separano consensualmente o giudizialmente;
- se interviene una sentenza di separazione dei beni. Il legislatore ha dedicato alla separazione giudiziale dei beni una norma specifica che è l’articolo 193 c.c e che è l’unica ipotesi di scioglimento della comunione legale dei beni espressamente prevista. Questa stabilisce, al quarto comma, che “La sentenza che pronunzia la separazione retroagisce al giorno in cui è stata proposta la domanda ed ha l’effetto di instaurare il regime di separazione dei beni regolato nella sezione V del presente capo, salvi i diritti dei terzi”;
- tramite accordo fra le parti sulla modifica del regime patrimoniale del matrimonio;
- se un coniuge fallisce.
Quando cessa
In ogni caso in cui viene meno il vincolo matrimoniale il regime di separazione dei beni cessa. Nessuna norma sul matrimonio viene infatti più applicata in tali circostanze e pertanto nessun regime si applica. Si tratta dei casi di:
- divorzio, consensuale o giudiziale, che comporta lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio;
- morte accertata o presunta del coniuge.
La dichiarazione di assenza del coniuge invece non scioglie il vincolo matrimoniale e pertanto resta in vigore il regime patrimoniale adottato ovvero si verifica il passaggio da quello di comunione a quello di separazione dei beni.
Il regime di separazione dei beni inoltre può cessare su accordo dei coniugi che vogliano modificare il proprio regime patrimoniale e stipulino una convenzione in tal senso.
Se inoltre alla convenzione di adozione del regime è stato apposto un termine o una condizione, il regime di separazione può cessare, ed essere sostituito da altro, alla scadenza del primo o all’avverarsi della seconda.
L’amministrazione dei beni in regime di separazione
L’articolo 217, primo comma, c.c. stabilisce che “Ciascun coniuge ha il godimento e l’amministrazione dei beni di cui è titolare esclusivo”.
Tale norma, tuttavia, va coordinata con altre disposizioni riguardanti l’indirizzo della vita familiare. Determinati beni, di proprietà esclusiva di un coniuge, infatti, possono essere stati destinati al soddisfacimento dei bisogni comuni della famiglia. Ad esempio tramite la costituzione di un fondo patrimoniale o un contratto di comunione ordinaria. In tal caso non rileva la titolarità esclusiva del bene con vincolo di destinazione, il quale non potrà essere goduto esclusivamente dal suo titolare.
L’amministrazione da parte dell’altro coniuge
La norma poi prosegue contemplando due ipotesi di amministrazione del patrimonio dell’altro coniuge:
- l’amministrazione con procura, che a sua volta può essere o meno accompagnata dall’obbligo di rendere conto dei frutti;
- l’amministrazione senza procura e dunque contrariamente alla volontà dell’altro coniuge.
Nel primo caso l’affidamento dell’amministrazione dei beni di un coniuge è espressione della volontà di questi che si manifesta tramite la procura. Se viene convenuto l’obbligo di rendere conto dei frutti il coniuge rappresentante, ai sensi del secondo comma dell’art. 217 c.c., deve comportarsi come se fosse il mandatario. Se invece non è stato pattuito l’obbligo di rendere i frutti il coniuge rappresentante ed i suoi eredi “a richiesta dell’altro coniuge o allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio, sono tenuti a consegnare i frutti esistenti e non rispondono per quelli consumati” ai sensi del terzo comma dell’art. 217 c.c.
Nel caso in cui l’altro coniuge non sia d’accordo sull’amministrazione dei beni da parte dell’altro può revocare la procura se ne aveva disposta una anche senza particolari formalità. Ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 217 c.c. “Se uno dei coniugi, nonostante l’opposizione dell’altro, amministra i beni di questo o comunque compie atti relativi a detti beni risponde dei danni e della mancata percezione dei frutti”.
Il godimento dei beni dell’altro coniuge
Corollario del precedente articolo 217 è l’articolo 218 c.c. secondo il quale “Il coniuge che gode dei beni dell’altro coniuge è soggetto a tutte le obbligazioni dell’usufruttuario”.
Tale norma si applica sia che che i coniugi siano in un rapporto di mandato, sia di sola amministrazione senza mandato con o senza opposizione. La dottrina invece non la ritiene applicabile quando fra i coniugi intercorrano altre tipologie di rapporto come ad esempio un contratto di locazione o di comodato.
Le controversie tra coniugi in regime di separazione dei beni
Quando tra i coniugi in regime di separazione dei beni sorgono dei contrasti relativamente alla titolarità esclusiva dei beni interviene l’articolo 219 c.c. Questo stabilisce che “Il coniuge può provare con ogni mezzo nei confronti dell’altro la proprietà esclusiva di un bene. I beni di cui nessuno dei coniugi può dimostrare la proprietà esclusiva sono di proprietà indivisa per pari quota di entrambi i coniugi”.
La Cassazione, nel lontano 1982, con la sentenza n. 2494, ha chiarito che i beni cui fa riferimento la norma sono beni mobili in quanto la proprietà dei beni immobili risulta da un titolo inequivocabile.
Il secondo comma invece introduce una presunzione di contitolarità di quei beni di cui nessuno dei due coniugi sia in grado di dimostrare la proprietà esclusiva.
Successione, pensione di reversibilità e debiti
La scelta in ordine al regime patrimoniale della famiglia non incide sui diritti successori del coniuge superstite. Se infatti uno dei coniugi muore l’aver optato per il regime di separazione dei beni non pregiudica i diritti successori del coniuge rimasto in vita. Questo infatti, all’apertura della successione, assume la qualità di legittimario e di successore legittimo se non si tratta di successione testamentaria.
Allo stesso modo la scelta del regime di separazione dei beni non influisce sulla percezione della pensione di reversibilità che continuerà ad essere percepita dal coniuge superstite.
Con riguardo ai creditori dei coniugi, sebbene vi sia un vuoto normativo a riguardo si ritiene che, restando separati i patrimoni dei due, i creditori dell’uno possano aggredire soltanto il suo patrimonio e non quello dell’altro coniuge.
La separazione giudiziale dei beni
La separazione dei beni fra coniugi può essere pronunciata in taluni casi dall’autorità giudiziaria. Il legislatore vi ha dedicato una disciplina specifica nell’articolo 193 c.c. nella sezione dedicata alla comunione legale dei beni trattandosi di una causa di scioglimento di questa.
La separazione giudiziale presuppone un mancato accordo circa la prosecuzione del regime di comunione legale per cui un coniuge, contro la volontà dell’altro, agisce per ottenere lo scioglimento della comunione. Può essere chiesta, ai sensi del terzo comma della norma, da uno dei due coniugi o da un suo legale rappresentante, e, ai sensi del primo comma, nei seguenti casi:
- interdizione o inabilitazione dell’altro coniuge;
- cattiva amministrazione della comunione;
- quando, ai sensi del secondo comma, “il disordine degli affari di uno dei coniugi o la condotta da questi tenuta nell’amministrazione dei beni mette in pericolo gli interessi dell’altro o della comunione o della famiglia, oppure quando uno dei coniugi non contribuisce ai bisogni di questa in misura proporzionale alle proprie sostanze e capacità di lavoro”.
La sentenza che pronuncia la separazione comporta l’applicazione delle norme sul regime di separazione dei beni di cui agli artt. 215-219 c.c. dal momento in cui il coniuge ha presentato al giudice la domanda di separazione. La sentenza non incide invece sul rapporto matrimoniale dei coniugi: resta infatti in essere il vincolo matrimoniale.
Separazione dei beni e divorzio
Come si accennava parlando dei casi di cessazione del regime di separazione dei beni, questo cessa quando il matrimonio viene sciolto per effetto di una sentenza di divorzio. Il regime patrimoniale dei coniugi infatti presuppone l’esistenza corrente di un vincolo matrimoniale.
Gli effetti della sentenza di divorzio tuttavia sono abbastanza limitati sotto il profilo sostanziale. Spesso tale regime patrimoniale viene scelto anche per prevenire effetti più gravosi che si verificherebbero in sede di divorzio in caso di regime in comunione. Con il regime di separazione infatti i patrimoni dei coniugi vengono già in origine estraniati l’uno dall’altro e rimangono tali dopo la sentenza di divorzio. Anzitutto gli effetti maggiormente rilevanti si hanno in relazione alle norme relative all’amministrazione e al godimento dei beni dell’altro coniuge. A norma dell’art. 217, terzo comma, c.c. in caso di scioglimento degli effetti civili del matrimonio si attualizza l’obbligazione del coniuge e degli eredi che hanno amministrato i beni dell’altro di rendere i frutti ancora esistenti.
Altro è il caso in cui un coniuge avesse dato mandato all’altro di amministrare i beni del proprio patrimonio, sulla base della fiducia nascente dal vincolo matrimoniale. Pare lecito ammettere che in caso di scioglimento dello stesso il coniuge possa legittimamente revocare tale mandato.
Avv. Bellato – diritto di famiglia e matrimoniale, separazione e divorzio