“Cambio di status” su Facebook ed addebito della separazione – indice:
Cambiare status sui social network? È un’operazione comune che, tuttavia, può costare davvero molto caro. Soprattutto se, come nella fattispecie di odierno approfondimento, è in corso una causa di separazione, e il coniuge infedele decide di rendere pubblica sui social network la sua nuova relazione prima del giudizio di separazione. Secondo una recente sentenza del giudice di merito, infatti, chi aggiorna il proprio status su Facebook, dichiarando di essere separato quando in realtà è ancora formalmente sposato, potrebbe essere condannato a risarcire il danno al coniuge.
Guai ad “anticipare” la separazione
Alla luce di quanto sopra anticipato, una donna che ha reso pubblica la relazione con il proprio amato, attribuendosi su Facebook lo stato di “separata” quando ancora era sposata, e definendo “verme” il coniuge, è stata condannata a risarcire con 5.000 euro la parte lesa, il marito. La decisione, assunta dal Tribunale di Torre Annunziata con la sentenza n. 2643 del 24 ottobre 2016, è supportata dalla valutazione che i social network sono oggi considerabili come “piazze pubbliche”, in grado di amplificare e rendere noti a una pluralità indistinta di persone i propri comportamenti.
Pertanto, dichiarano i giudici campani, ostentare un tradimento sui social network significa ledere gravemente la dignità dell’altro coniuge. E per poter sanzionare la condotta non sempre è utilizzabile l’addebito della separazione: nel caso esaminato dai giudici, infatti, la crisi tra i coniugi era sorta prima delle relazioni extraconiugali (che, in fondo, sono la principale ragione di addebito). Il Tribunale ha così scelto di riconoscere al marito il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale, poichè la condotta della moglie ha “gravemente offeso la dignità e la reputazione del marito e non costituisca soltanto mera violazione del dovere di fedeltà tutelato e sanzionato dall’addebito”. Di fatti, si legge ancora nella pronuncia, “la connotazione pubblica della relazione adulterina, la dichiarazione dell’esistenza di un rapporto di fidanzamento tra la moglie e altro uomo nonché la gravità delle offese rivolte al marito, sono sufficienti per ritenere lesa la dignità e la reputazione di quest’ultimo”.
L’addebito della separazione non rileva
D’altronde, il fatto che in alcune fattispecie l’addebito della separazione non fosse rilevante non è certamente un concetto innovativo. Già la Suprema Corte, con sentenza Cass. n. 18853/2011, aveva stabilito che rendere pubblica una relazione extraconiugale può integrare gli estremi dell’illecito civile, e questo a prescindere dal riconoscimento dell’addebito, qualora la condotta sia in grado di determinare sofferenze tali da poter ledere dei diritti costituzionalmente protetti.
Con la pronuncia campana, però, i giudici compiono un piccolo – ma fondamentale – passo in avanti, riconoscendo ai social network un ruolo “pubblico” e, dunque, riconoscendo a Facebook & co. la possibilità di ledere la dignità del coniuge mediante l’aggiornamento dello status.
Attenzione anche alla natura di immagini e commenti
Sempre in relazione a recenti pronunce giurisprudenziali sul fronte dell’incongruo utilizzo dei social network, giova rammentare le conclusioni a cui è giunta la sentenza Trib. Prato, n. 1100 del 28 ottobre 2016. I giudici si sono occupati, nella fattispecie, di un comportamento troppo trasgressivo di una donna, che sui social network si produceva in commenti ammiccanti, amicizie ambigue e immagini provocanti. Elementi che, sostengono i giudici, possono rappresentare una fonte di responsabilità, e che possono condurre ad addebitare la separazione alla moglie che “non si presenta al mondo vessata e sofferente, ma come una donna libera e molto disinibita”.
Le condotte sui social network possono dunque rendere più facile la prova dell’infedeltà coniugale e, conseguentemente, anche la richiesta di addebito della separazione, con effetti significativi sul piano patrimoniale.
Avv. Bellato – diritto dell’informatica, internet e social network