Sopportazione infedeltà coniugale e addebito della separazione – guida rapida
- I fatti
- I motivi della decisione
- I motivi del ricorso incidentale
- Il rigetto della domanda di addebito della separazione
- La determinazione dell’assegno per la moglie
- La determinazione dell’assegno per il figlio
- La decorrenza dell’assegno
- La rivalutazione degli assegni di mantenimento
L’atteggiamento di tolleranza del marito nei confronti della moglie traditrice non è sufficiente a giustificare il rigetto della domanda di addebito della separazione. Per questo scopo, afferma la sentenza Cass. civ., Sez. I, Ord., (data ud. 28/06/2022) 02/09/2022, n. 25966, occorre prendere in esame la successiva evoluzione del rapporto coniugale.
In particolare, è necessario accertare se si siano verificate nuove violazioni del dovere di fedeltà. Va altresì analizzata quale fosse stata la reazione dell’altro coniuge. Solamente se risulta che a seguito della cessazione della predetta relazione la vita coniugale sia ripresa regolarmente senza ulteriori violazioni del dovere di fedeltà, o ancora che la donna abbia intrapreso altre relazioni extraconiugali senza che l’uomo vi desse importanza, si potrebbe concludere che non sono state le predette infedeltà ad impedire la prosecuzione della convivenza, divenuta intollerabile per altre ragioni.
Infedeltà e coniugale e addebito della separazione: i fatti
Ricostruiamo brevemente i fatti in materia di infedeltà coniugale. Il Tribunale di Firenze pronunciava con sentenza non definitiva del 2 dicembre 2015 la separazione personale dei coniugi F.F. ed G.I.. Con sentenza definitiva del 12 dicembre 2018 dichiarò poi inammissibile la domanda di addebito proposta dal F., disponendo l’affidamento condiviso del figlio minore Fr. ad entrambi i genitori, con collocamento presso la madre.
Con la stessa pronuncia è stata disciplinata la frequentazione dello stesso da parte del padre, revocando così l’assegnazione della casa familiare alla donna. Sono state pose a carico dell’uomo:
- l’obbligo di contribuire al mantenimento del coniuge mediante il versamento di un assegno mensile di Euro 20.000,00
- il mantenimento del figlio mediante il versamento di un assegno mensile di Euro 500,00,
- la sopportazione del 100% delle spese straordinarie necessarie per il minore.
La vicenda arriva poi alla Corte d’appello di Firenze dietro impugnazione proposta dalla G. La Corte, con sentenza del 5 maggio 2020, ha accolto parzialmente anche l’appello incidentale proposto dal F., rideterminando l’assegno dovuto per il mantenimento della donna in Euro 60.000,00 mensili e quello dovuto per il mantenimento del figlio da Euro 5.000,00, in misura crescente con l’età anagrafica della prole.
L’ammissibilità della domanda di addebito della separazione per infedeltà coniugale
La decisione della Corte si basa sul rilievo dell’ammissibilità della domanda di addebito della separazione rilevando come l’accettazione da parte del F. dei comportamenti tenuti dalla G. consentiva di escludere che egli li avesse ritenuti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza. Viene così impedito di individuare la causa di tale intollerabilità in analoghi comportamenti successivi.
Ancora, la Corte ha escluso l’opportunità della modificazione delle modalità di frequentazione tra il F. ed il figlio, ormai prossimo alla maggiore età. Si reputa invece necessaria, indipendentemente dal compimento di approfondimenti istruttori, la modifica dei provvedimenti di carattere economico. Rileva infatti che mentre i redditi della G. consistevano quasi esclusivamente nell’assegno di mantenimento posto a carico del coniuge, ed il suo patrimonio immobiliare era stato valutato in circa 4 milioni di euro, i redditi del F. erano risultati pari ad 6,7 milioni di euro nell’anno 2015, 5,2 milioni di euro nell’anno 2014, 4 milioni di euro nell’anno 2013 e 1,4 milioni di euro nell’anno 2012.
Dunque, pur affermando che il tenore di vita da prendere in considerazione ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento dev’essere commisurato alle potenzialità economiche dei coniugi, ha escluso che esso debba corrispondere alla capacità di spesa familiare, osservando che, oltre un certo limite, l’utilizzazione del predetto criterio comporterebbe l’attribuzione al coniuge richiedente di una capacità di risparmio, contrastante con la finalità del contributo in questione, volto a consentire la conservazione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.
L’assegno per il figlio
Ora, ricordato che tale considerazione vale anche per il figlio, la Corte ha rilevato che:
- quest’ultimo viveva con la madre
- il padre si era accollato integralmente le spese straordinarie.
Aveva così concluso che l’assegno era finalizzato esclusivamente a far fronte alle spese ordinarie, quali vitto, alloggio e vestiario. Dunque, la Corte ha distinto tra il periodo che precede il trasferimento del minore con la madre (in cui non vi erano state spese di alloggio) e quello successivo (per cui la madre aveva corrisposto un canone di locazione pari a circa 9.000 euro).
Per quanto poi concerne l’assegno dovuto per il mantenimento della donna, la Corte ha rideterminato l’importo del contributo dovuto dal marito con decorrenza nella data della domanda.
Contro tale sentenza il marito ha proposto ricorso per Cassazione. La donna resiste con controricorso, proponendo ricorso incidentale, cui il marito ha resistito a sua volta con controricorso.
I motivi della decisione sull’infedeltà coniugale
Riassumiamo i motivi del ricorso principale:
Violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 143 c.c. e art. 151 c.c., comma 2
Il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato la domanda di addebito della separazione, in conseguenza della tolleranza da lui dimostrata nei confronti delle ripetute violazioni del dovere di fedeltà da parte della moglie.
La tolleranza manifestata nei confronti di precedenti relazioni extraconiugali non impedisce di lamentarsi di quelle successive. Una situazione ben evidente soprattutto nell’ipotesi in cui le relazioni siano numerose e continuate nel tempo. Dunque, essa non risulta sufficiente ad escludere l’illiceità del fatto, in riferimento alla indisponibilità dei diritti e dei doveri coniugali.
Aggiunge altresì che l’infedeltà è un comportamento particolarmente grave. Di norma, è idoneo a rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza. Come tale, può giustificare l’addebito della separazione.
Violazione dell’art. 111 Cost. e violazione dell’art. 156 c.c. e della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 4
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione delle norme in titolo, oltre all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Rileva così che la decisione è immotivata nella parte riguardante la determinazione dell’assegno dovuto per il mantenimento del coniuge.
Il ricorrente aggiunge anche che la Corte d’appello non ha tenuto conto:
- della rendita derivante dal patrimonio della donna
- della capacità di lavoro della donna
- della residenza della stessa in un Paese dove gli assegni di separazione e divorzio risultano esenti da imposte.
Dichiara ancora che nel procedere alla rideterminazione degli assegni dovuti per il mantenimento della moglie e del figlio, “la sentenza impugnata non ha considerato che i provvedimenti adottati nel giudizio di separazione erano divenuti inefficaci per effetto di quelli temporanei ed urgenti adottati nel giudizio di divorzio da lui promosso, nell’ambito del quale il Presidente del Tribunale aveva confermato l’importo degli assegni”.
Violazione dell’art. 337-ter c.c., e dell’art. 111 Cost.
Con il terzo motivo si denuncia il fatto che nel determinare in misura crescente l’assegno dovuto per il mantenimento del figlio, la Corte d’appello non ha considerato che, essendosi egli fatto carico del 100% delle spese straordinarie necessarie per il minore, il relativo importo serviva a far fronte esclusivamente alle spese di vitto, alloggio e vestiario, il cui incremento per effetto dell’età doveva ritenersi senz’altro modesto.
Il ricorrente afferma dunque che la motivazione è apparente, dal momento che non tiene conto delle attuali esigenze del minore né del contributo dovuto dalla madre. Il ricorrente aggiungendo che la stessa risulta illogica nella parte in cui ha incluso nell’assegno il canone di locazione dell’appartamento in cui vive, in tal modo ponendo a carico del figlio la relativa spesa, cui doveva provvedere la madre.
Violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 156 c.c.
Con il quarto motivo viene censurata la sentenza impugnata nella parte in cui fa decorrere l’assegno dalla data della domanda, invece che da quella indicata dalla sentenza di primo grado.
Il ricorrente aggiunge che la decorrenza dell’assegno dalla data della domanda non esclude la necessità di considerare, nella determinazione della sua misura, dei fatti sopravvenuti nel corso del giudizio, non potendo gli stessi essere fatti valere in sede di opposizione all’esecuzione.
Violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 8 del regolamento UE n. 1259/2010 o della L. 31 maggio 1995, n. 218, artt. 29 e 30
Il ricorrente censura infine la sentenza impugnata per aver disposto senza motivazione la rivalutazione degli assegni secondo gl’indici statistici inglesi, senza tenere conto della cittadinanza italiana dei coniugi e della residenza abituale degli stessi in Italia, dove è situata anche l’ultima residenza comune, oltre che dell’assoggettamento dei rapporti patrimoniali tra i coniugi alla medesima disciplina applicabile a quelli personali, ovverosia alla legge nazionale comune.
I motivi del ricorso incidentale per infedeltà coniugale
Passando invece ai motivi del ricorso incidentale, con il primo motivo la controricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 163, 708 e 709 c.p.c.: nella memoria integrativa il ricorrente si era limitato ad allegare la violazione del dovere di fedeltà, senza allegare fatti specifici.
Con il secondo motivo la controricorrente denuncia invece la violazione dell’art. 156 c.p.c. e dell’art. 337-ter c.c.. La sentenza viene così censurata nella parte in cui vengono determinati gli assegni di mantenimento. Per la controricorrente, la mancata commisurazione degli stessi al reddito dell’obbligato è una disparità di trattamento non giustificata in favore dei soggetti più abbienti.
Con il terzo motivo si deduce l’illegittimità costituzionale dell’art. 151 c.c., comma 2, per contrasto con gli artt. 3 e 29 Cost., oltre al difetto assoluto di motivazione. Si rileva infatti che la sentenza impugnata ha omesso di esaminare la relativa questione, da essa sollevata nella memoria di replica. Si premette come l’addebito della separazione comporti un’ingiustificata disparità di trattamento a danno del coniuge economicamente più debole. Costui sarebbe infatti privato del diritto all’assegno e dei diritti successori e si sostiene che questo è un istituto ormai obsoleto, sconosciuto agli ordinamenti di altri Stati membri dell’Unione Europea e non previsto neppure per le unioni civili.
Il rigetto della domanda di addebito della separazione
Iniziamo così brevemente a occuparci delle valutazioni della Corte. Il rigetto della domanda di addebito della separazione è fondato perché non può infatti condividersi l’affermazione della sentenza impugnata, per cui l’accettazione da parte del ricorrente di comportamenti lesivi del dovere di fedeltà, tenuti dalla moglie alcuni anni prima della proposizione della domanda di separazione, consentendo di ritenere che egli non li considerasse tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, escludeva la possibilità di far valere, quale causa di addebito, analoghi comportamenti tenuti successivamente dalla donna.
Peraltro, in tema di separazione personale dei coniugi, la Corte rammenta di aver già affermato che la dichiarazione di addebito implica la prova che l’irreversibile crisi coniugale sia ricollegabile esclusivamente al comportamento di uno o di entrambi i coniugi, che sia consapevolmente e volontariamente contrario ai doveri nascenti dal matrimonio. Ovvero, che sussista un nesso di causalità tra i comportamenti addebitati ed il determinarsi dell’intollerabilità dell’ulteriore convivenza.
Questo principio è stato ritenuto applicabile anche nei casi di inosservanza dello obbligo di fedeltà coniugale. Tale vicenda costituisce infatti una violazione particolarmente grave che, di norma, è idonea a rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza. Dunque, tale ipotesi è ritenuta di regola sufficiente a giustificare l’addebito della separazione al coniuge responsabile. Fa eccezione il caso che non si accerti, attraverso un’indagine rigorosa ed una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, che l’infedeltà non abbia costituito la causa efficiente della crisi coniugale, essendosi manifestata in presenza di un deterioramento dei rapporti già irrimediabilmente in atto, in un contesto caratterizzato da una convivenza divenuta ormai meramente formale.
L’onere della prova della condotta
Dunque, grava sulla parte che richiede l’addebito della separazione all’altro coniuge, per l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà:
- l’onere di provare la relativa condotta
- la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza.
Di contro, spetta a chi eccepisce l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, e pertanto l’inidoneità dell’infedeltà a determinare l’intollerabilità della convivenza, fornire:
- la prova delle circostanze su cui l’eccezione si fonda, ovvero l’anteriorità della crisi matrimoniale all’accertata infedeltà.
Ora, per tale accertamento è stata ritenuta irrilevante la prova della tolleranza eventualmente manifestata da un coniuge nei confronti della condotta infedele tenuta dall’altro. In altri termini, si esclude la configurabilità della stessa come “esimente oggettiva”, idonea a far venire meno l’illiceità del comportamento, o l’ammissibilità di una rinuncia tacita allo adempimento dei doveri coniugali, in quanto aventi carattere indisponibile. Si è anche ritenuto che la sopportazione dell’infedeltà del coniuge possa essere presa in considerazione come indicatore di una crisi in atto da tempo, nell’ambito di una più ampia valutazione volta a stabilire se tra le parti fosse già venuta meno raffectio coniugalis.
La tolleranza della relazione extraconiugale
Sulla base di tali principi si ritiene pertanto che la tolleranza manifestata dal ricorrente nei confronti della relazione extraconiugale intrapresa dalla moglie alcuni anni prima della proposizione della domanda potesse impedirgli di far valere la violazione del dovere di fedeltà (poiché dedotto e dimostrato che la predetta relazione non aveva costituito causa della crisi coniugale, all’epoca già in atto e mai più sanata).
A sostegno della domanda di addebito, proseguono i giudici, il ricorrente aveva invece allegato e chiesto di essere ammesso a provare che la predetta relazione era stata seguita da altre, intraprese successivamente alla cessazione della prima e fino all’instaurazione del giudizio di separazione, in tal modo lasciando chiaramente intendere che la tolleranza da lui inizialmente manifestata nei confronti della condotta del coniuge era venuta meno, a causa della reiterata violazione del dovere di fedeltà da parte dello stesso, che aveva determinato il fallimento dell’unione.
Dinanzi a tale allegazione, l’atteggiamento tenuto dal ricorrente nei confronti della prima relazione non poteva essere considerato sufficiente a giustificare il rigetto della domanda di addebito della separazione.
A questo scopo, occorrendo prendere in esame la successiva evoluzione del rapporto coniugale, bisognerà accertare se vi siano o meno verificate nuove violazioni del dovere di fedeltà da parte della donna e quale fosse stata la reazione del marito. Solo se a seguito della cessazione della predetta relazione la vita coniugale era ripresa regolarmente senza ulteriori violazioni del dovere di fedeltà, o se la donna aveva intrapreso altre relazioni extraconiugali senza che l’uomo vi desse importanza, si sarebbe potuto concludere che non erano state le predette infedeltà ad impedire la prosecuzione della convivenza, divenuta intollerabile per altre ragioni, che avevano fatto venir meno l’affectio coniugalis.
La determinazione dell’assegno di mantenimento della moglie
L’accoglimento del primo motivo non determina l’assorbimento del secondo motivo, avente ad oggetto la determinazione dell’assegno di mantenimento. Il secondo motivo viene peraltro definito infondato.
La liquidazione dell’assegno di mantenimento in favore della donna trova fondamento nell’esame della complessiva situazione patrimoniale e reddituale delle parti. Sulla base di questa, la Corte territoriale arrivava all’accertamento dell’esistenza di una notevole sperequazione economica tra i coniugi. Una differenza tale da imporre il riconoscimento in favore della donna di un contributo idoneo a consentirle la conservazione dell’elevato tenore di vita goduto nel corso della convivenza.
Questa conclusione non può essere inficiata dalle censure proposte dal ricorrente. Lamentando il vizio di motivazione, non è infatti in grado d’indicare circostanze idonee ad orientare in senso diverso la decisione.
Nel lamentare l’omessa valutazione dei redditi derivanti dal patrimonio della controricorrente e dell’esenzione da oneri fiscali prevista per l’assegno dalla normativa vigente nel Paese in cui si trova la donna, il ricorrente fa infatti valere un elemento già preso in considerazione dalla sentenza impugnata. Insistendo poi sulla capacità di lavoro della moglie, evidenzia un elemento non determinante.
Trova insomma applicazione il principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, stando al quale l’assegno divorzile trova la sua fonte nel nuovo status delle parti derivante dalla sentenza che pronuncia la risoluzione del vincolo coniugale, avente efficacia costitutiva, i provvedimenti emessi nel giudizio di separazione continuano a produrre i loro effetti fino al passaggio in giudicato della stessa, a meno che il giudice del divorzio non abbia adottato provvedimenti temporanei ed urgenti nella fase presidenziale o istruttoria, ovvero che, pronunciato lo scioglimento del vincolo con sentenza non definitiva, abbia ritenuto di anticipare la decorrenza dell’assegno alla data della domanda, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 13.
La determinazione dell’assegno di mantenimento del figlio
È infondato anche il terzo motivo, avente ad oggetto la determinazione dell’assegno dovuto dal ricorrente per il mantenimento del figlio.
Ai fini della liquidazione di tale contributo, la sentenza impugnata ha richiamato infatti le considerazioni già svolte sulla situazione economico-patrimoniale dei genitori ed al tenore di vita goduto dal nucleo familiare nel corso della convivenza. Pone così in risalto l’assunzione da parte del padre dell’obbligo di provvedere integralmente alle spese straordinarie. Oltre, si intende, alla precisazione secondo cui le spese ordinarie, alla cui effettuazione era preordinato l’assegno, consistevano in quelle relative a “vitto, alloggio e vestiario”.
Si può dunque escludere che la sentenza impugnata sia contraddistinta da una motivazione meramente apparente, per la cui configurabilità è necessario che, indipendentemente dall’esistenza grafica della parte motiva del provvedimento e dall’ampiezza delle argomentazioni in diritto, il giudice di merito abbia omesso d’indicare gli elementi utilizzati per la formazione del proprio convincimento in ordine alla fattispecie sottoposta al suo esame, oppure abbia omesso di procedere ad un’approfondita disamina logico-giuridica degli stessi, in modo tale da impedire la ricostruzione del ragionamento seguito per giungere alla decisione, e quindi da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6.
La valutazione delle esigenze del figlio
Per la Corte, nell’insistere sull’omessa valutazione delle esigenze attuali del figlio, il ricorrente non ha tenuto in considerazione della particolare attenzione dedicata dalla Corte territoriale alle maggiori necessità determinate dal trasferimento della residenza del giovane nel Paese dove risiede la madre, ed in particolare alle maggiori spese collegate al reperimento di una sistemazione abitativa adeguata al livello economico-sociale del nucleo familiare, la cui inclusione tra quelle ordinarie da prendersi in considerazione ai fini della determinazione dell’assegno, prevista dalla sentenza di primo grado, non aveva costituito, come si è detto, oggetto di specifica contestazione da parte del padre.
Secondo la Corte, tale decisione non può logicamente e giuridicamente ritenersi incompatibile con la collocazione del giovane presso la madre, non sussistendo alcuna disposizione che ponga inderogabilmente a carico del genitore collocatario l’obbligo di provvedere alle spese necessarie per l’acquisizione di un alloggio da destinare ad abitazione propria e della prole, ed essendo anzi previsto espressamente dall’art. 337-sexies c.c., comma 1, che, in caso di assegnazione della casa familiare di proprietà dell’altro genitore, quest’ultimo resti assoggettato al relativo vincolo, salva la possibilità di tenerne conto nella regolazione dei rapporti economici con l’assegnatario.
La decorrenza dell’assegno
Infondato anche il quarto motivo che riguarda la decorrenza dell’assegno dovuto dal ricorrente per il mantenimento del coniuge.
Nell’ancorare la predetta decorrenza alla data della domanda giudiziale, la Corte territoriale si è infatti attenuta all’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità. Secondo tale orientamento, l’assegno di mantenimento a favore del coniuge, stabilito in sede di separazione, decorre dalla data della relativa domanda, in conformità del principio di ordine generale, secondo cui un diritto non può restare pregiudicato dal tempo necessario per farlo valere in giudizio.
Correttamente, inoltre, la Corte territoriale ha ritenuto irrilevante, per individuare la decorrenza dell’assegno, la mancata proposizione di specifiche censure avverso la sentenza di primo grado, non avendo quest’ultima fornito alcuna indicazione in ordine alla predetta decorrenza, con riguardo alla quale non era pertanto configurabile una soccombenza della controricorrente, tale da porre a suo carico l’onere d’impugnare la relativa statuizione.
Poiché dipendente da quella relativa alla misura dell’assegno, tale statuizione doveva ritenersi peraltro travolta dalla riforma disposta in sede di gravame, per effetto della quale il Giudice di appello risultava investito anche del potere d’individuare eventualmente una nuova decorrenza, senza che a tal fine risultasse necessario uno specifico motivo d’impugnazione.
Il criterio della rivalutazione degli assegni di mantenimento
Non merita accoglimento nemmeno il quinto motivo d’impugnazione, avente ad oggetto la scelta del criterio adottato per la rivalutazione degli assegni di mantenimento.
La L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, riguardante l’assegno divorzile ma applicabile in via analogica anche a quello di mantenimento liquidato in favore del coniuge in sede di separazione, prevede che la sentenza deve stabilire un criterio di adeguamento automatico dell’assegno, impone di fare riferimento “almeno” agli indici di svalutazione monetaria, lasciando intendere che gli stessi devono costituire la misura minima dell’adeguamento, il quale può essere determinato in misura anche superiore.
Sono infondati i motivi del ricorso incidentale.