L’identità digitale e la sostituzione di persona – indice:
Stando a quanto afferma la Corte di Cassazione con la sentenza n. 7808/2019, è reato di sostituzione di persona il comportamento di colui che crea un account su un sito online utilizzando però le generalità altrui.
Una simile condotta – affermano i giudici – sarebbe infatti in grado indurre altri in errore, facendoli ritenere di avere a che fare con un interlocutore che è in realtà un soggetto diverso da quello reale.
Per poter configurare il reato, evidenziano ancora gli Ermellini, non è peraltro necessario che il vantaggio indebito del sostituto abbia una natura patrimoniale, potendo infatti consistere il beneficio in una qualsiasi utilità apprezzabile sotto il profilo giuridico. Si pensi – tra gli altri vantaggi indicati – alla possibilità di potersi iscrivere nuovamente a un sito dal quale era stato formalmente espulso.
Nuova identità su eBay
Il caso specifico su cui si sono espressi i giudici della Suprema Corte fa riferimento al caso di un imputato bannato da eBay e, per tale motivo, impossibilitato ad accedere nuovamente alla piattaforma con il proprio account.
Per poter aggirare il ban, l’utente aveva aperto un nuovo account utilizzando l’identità dell’ex socio, non particolarmente esperto di tecnologie, offrendosi di aiutarlo in alcuni acquisti online. allo scopo di effettuare pagamenti, gli era stata resa disponibile anche la carta prepagata tipicamente collegata a PayPal.
Successivamente, l’uomo ha però deciso di sfruttare i dati dell’ex socio anche per poter creare un account su un sito web per giocare d’azzardo, usando nome e dati di pagamento dell’altro.
La difesa legale dell’imputato, in Cassazione, sostiene che il consenso espresso dall’intestatario formale dell’account abbia scriminato la fattispecie contestata, e che l’assenza di profitto o di danno fatto seguito al proprio comportamento sarebbe dunque in grado di estrarre il proprio comportamento dai recinti del reato.
Sostituzione di persona
Per i giudici della Suprema Corte la fattispecie concreta sarebbe in grado di introdursi perfettamente nell’assunto dell’art. 494 c.p., rubricato Sostituzione di persona, e recante la seguente norma:
Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici, è punito, se il fatto non costituisce un altro delitto contro la fede pubblica, con la reclusione fino ad un anno.
Costituisce peraltro orientamento consolidato il fatto che il concetto di vantaggio e di danno non possano esaurirsi in una finalità di natura economica / patrimoniale, e nemmeno si domanda che siano ingiusti, potendosi pertanto integrare la fattispecie in esame anche quando l’impegno sia diretto a realizzare uno scopo lecito.
È altresì in grado di costituire orientamento consolidato il principio secondo cui la sostituzione della propria all’altrui persona è riscontrabile se il soggetto assume un atteggiamento atto a far apparire se stesso come un’altra persona, al di là dello “strumento” (in questo caso, digitale) utilizzato a tal fine.
La Corte spiega infatti come sia evidente che una simile condotta ha indotto in errore, considerato che tutti coloro che si sono interfacciati sul sito hanno necessariamente ritenuto di avere come interlocutore un soggetto che era diverso da quello reale.
Riproponendo l’orientamento di cui sopra, i giudici rammentano come la norma non richiede che sia necessaria la dimostrazione che l’imputato abbia agito al fine di arrecare danno agli altri utenti di eBay o all’ex socio, essendo appunto sufficiente che abbia operato sostituendosi all’altra persona, o usando il nome di questa, per poter conseguire un vantaggio.
Consenso iniziale dell’intestatario
Secondo gli Ermellini, infine, non avrebbe alcun valore scriminante il consenso iniziale fornito dell’intestatario. All’imputato d’altronde non viene contestata l’apertura dell’account, che è effettivamente avvenuta con il consenso dell’ex socio, bensì la successiva sostituzione con utilizzo delle altrui generalità per giocare di azzardo.
Insomma, l’imputato ha sì aperto l’account con il consenso dell’ex socio, ma poi ha proseguito nell’utilizzo dell’account all’insaputa di quest’ultimo, e per fini che erano evidentemente differenti da quelli pattuiti, sostituendosi a lui e utilizzando le sue generalità e i suoi strumenti di pagamento, dei quali era finito con l’essere in possesso in virtù degli accordi intercorsi.
La Suprema Corte conclude rammentando che l’eventuale consenso non potrebbe scriminare il reato, che si perfeziona nel momento in cui il soggetto si sostituisce ad altro o usa false generalità. Non rileva dunque la presenza di un’eventuale intesa col titolare delle generalità, né i motivi sottostanti. Ciò invece rileva è la creazione di un’apparenza nei rapporti tra le persone, idonea a trarre in inganno, realizzata con la finalità di trarsi un vantaggio o di recarsi danno.