Il reato di stalking – indice:
- Il reato
- Gli elementi
- Le sanzioni
- Le tutele
- Il divieto di avvicinamento
- L’ammonimento del questore
- Lo stato d’ansia
Lo stalking è un reato disciplinato dall’ordinamento penale italiano con il Decreto Legge n. 11/2009, che ha introdotto nel codice penale l’articolo 612-bis. Ma di cosa si tratta? Quali sono gli elementi tipici di questo reato? E quando si può parlare di reato di stalking? E, ancora, come si può fare querela ed entro che termini?
Cerchiamo di fornire una risposta a queste e a tante altre domande nel nostro approfondimento su questo tema spesso – purtroppo – di grande attualità.
Cos’è il reato di stalking: il significato
Come abbiamo anticipato, il reato di stalking è inserito nel nostro ordinamento tra i reati di atti persecutori. L’articolo 612-bis del codice penale sancisce infatti che
salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.
La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa.
La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata.
Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. Si procede tuttavia d’ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.
Le finalità del legislatore
Fin dalle righe di cui sopra siamo ben in grado di indicare quali sono gli elementi alla base dello stalking. È un reato che il nostro legislatore ha voluto inserire esplicitamente nel nostro ordinamento per poter fornire una risposta sanzionatoria a quei comportamenti che prima dell’introduzione della novità normativa venivano inquadrati in altri meno gravi delitti, come la minaccia. Inquadramenti che, in buona sostanza, non si dimostravano particolarmente efficaci per poter tutelare le vittime di questa grave condotta.
Gli elementi dello stalking
L’elemento oggettivo dello stalking è rappresentato – come suggerisce la norma – dalla reiterazione delle condotte persecutorie. Le condotte devono essere idonee a cagionare nella vittima un “perdurante e grave stato di ansia o di paura”. Si deve determinare un ” fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva”, ovvero a costringerla ad alterare le proprie abitudini di vita.
A questo punto, si tenga conto come la reiterazione delle condotte persecutorie non debba essere connessa alla necessità di effettuare una lunga serie di comportamenti illeciti. Sono infatti sufficienti anche due sole condotte di minaccia o molestia. La precisazione in tal senso si ha avuta da pronunce giurisprudenziali formalizzate non molto tempo dopo il varo del decreto.
Contenuto delle condotte
Per quanto attiene il contenuto delle condotte, è stata ancora una volta la giurisprudenza a risolvere qualche dubbio, indicando come atti persecutori che possono essere idonei a integrare il delitto di stalking non solamente quei comportamenti che richiedono la presenza fisica dello stalker, bensì anche i comportamenti che non necessitano della sua presenza diretta, come le telefonate o gli sms frequenti, le condotte sui social network, il danneggiamento di cose della vittima, ecc.
Elemento soggettivo
Per quanto concerne invece l’elemento soggettivo dello stalking, si ritiene sufficiente il dolo generico. La volontà rilevante è quella di porre in essere condotte di minaccia e molestia. Non è invece necessaria la rappresentazione anticipata del risultato finale, ovvero la coscienza dello scopo che si vuole ottenere. In altri termini, per poter costituire elemento soggettivo costituente il reato di stalking, sono sufficienti coscienza e volontà delle singole condotte. È altresì necessaria la consapevolezza che ognuna di esse andrà ad aggiungersi alle precedenti formando una serie di comportamenti offensivi.
Come è punito lo stalking: la pena
L’articolo 612-bis del codice penale sancisce che il reato di stalking è punito con la reclusione da 6 mesi a 5 anni, salvo che il fatto non costituisca reato più grave. Al secondo e al terzo comma, come abbiamo visto, sono previste due circostanze aggravanti: vi rimandiamo alla lettura del testo dell’articolo, che sopra trovate in quote, per saperne di più.
In questa parte dell’approfondimento, ci preme invece sottolineare come lo stalking può essere punito a querela della persona offesa. Il termine per poter proporre querela è di sei mesi, e inizia a decorrere dal momento in cui il reato è consumato, ovvero dal momento in cui la persona offesa altera le proprie abitudini di vita o ricade in uno stato di ansia o di paura.
Si tenga inoltre conto che la querela non è revocabile se il fatto viene commesso sulla base di quanto previsto dal secondo comma dell’articolo 612 del codice penale, e che il reato è procedibile d’ufficio nelle ipotesi delle aggravanti di cui al terzo comma dello stesso articolo.
Le tutele per la persona offesa
Data la delicatezza della situazione psicologica in capo alla persona offesa da stalking, il legislatore ha previsto delle particolari forme di tutela. Tali tutele non sempre sono connesse all’esercizio di un’azione penale. In determinate circostanze infatti, la vittima di comportamenti persecutori potrà chiedere formalmente aiuto all’ordinamento senza per questo proporre un formale atto di denuncia-querela. Alcune tutele sono previste nell’ambito di un procedimento penale, che chiaramente ha come presupposto la proposizione di un atto di denuncia-querela. Vediamo quindi quali sono le tutele previste dalla legge sia nel caso sia instaurato un procedimento penale, che nella circostanza in cui non sia stata proposta alcuna denuncia querela.
Divieto di avvicinamento nel reato di stalking
Parliamo in questo paragrafo delle tutele previste dal codice di procedura penale.
Il legislatore, per poter arrivare a una migliore tutela della parte offesa, ha ampliato lo spettro di misure cautelari prevedendo anche una nuova misura del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, ex articolo 282-ter del codice di procedura penale, ovvero – al secondo comma – “di non avvicinarsi a luoghi determinati, abitualmente frequentati dalla persona offesa, ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa”, e al terzo comma e in caso di ulteriori necessità di tutela, “di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dai prossimi congiunti della persona offesa o da persone con questa conviventi o comunque legate da relazione affettiva”.
L’imputato non può inoltre comunicare attraverso qualsiasi mezzo con i soggetti protetti dalle norme.
L’ammonimento nel reato di stalking
In questo paragrafo prendiamo invece in considerazione una tutela di forma amministrativa esterna rispetto al procedimento penale. In questo caso, come precisato, il procedimento penale potrebbe non essere ancora iniziato. La querela potrebbe non essere stata proposta, e non è prevista la necessità che ciò accada neanche successivamente.
L’ammonimento del questore è una possibilità prevista dall’articolo 8 del Decreto Legge numero 11 del 2009, che infatti recita:
“Fino a quando non è proposta querela per il reato di cui all’articolo 612-bis del codice penale, introdotto dall’articolo 7, la persona offesa può esporre i fatti all’autorità di pubblica sicurezza avanzando richiesta al questore di ammonimento nei confronti dell’autore della condotta. La richiesta è trasmessa senza ritardo al questore.
Il questore, assunte se necessario informazioni dagli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, ove ritenga fondata l’istanza, ammonisce oralmente il soggetto nei cui confronti è stato richiesto il provvedimento, invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge e redigendo processo verbale. Copia del processo verbale è rilasciata al richiedente l’ammonimento e al soggetto ammonito. Il questore valuta l’eventuale adozione di provvedimenti in materia di armi e munizioni.”
Per poter prevenire nuovi atti persecutori, la legge prevede che la persona offesa possa ricorrere – in alternativa alla querela – a una procedura di ammonimento. Quest’ultima ha come obiettivo quello di far desistere lo stalker dalle attività persecutorie mediante un invito allo stesso rivolto. Tale invito, formalizzato dalle autorità di pubbliche sicurezza, è volto alla rinuncia alle stesse attività e ad interrompere così ogni interferenza nella vita del richiedente.
Come è reso evidente dalla norma, per l’ammonimento è necessario che non sia pendente un procedimento penale.
Lo stato di ansia e paura nello stalking
Per quanto concerne le conseguenze causate alla vittima dalle condotte persecutorie, e in particolar modo al perdurante e grave stato di ansia o di paura che la persona offesa ha sofferto, la giurisprudenza si è espressa più volte nel ritenere che non è necessario l’accertamento di uno stato patologico. È infatti sufficiente – sancisce Cassazione n. 16864/2011 che gli atti persecutori “abbiano avuto un effetto destabilizzante della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima, considerato che la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 612-bis del codice penale non costituisce una duplicazione del reato di lesioni (articolo 582 del codice penale), il cui evento è configurabile sia come malattia fisica che come malattia mentale e psicologica”.
In merito si annovera la recente Cassazione n. 14462/2017. La sentenza ha stabilito che per poter essere tale, e dunque considerato penalmente rilevante, lo stalking deve cagionare nella vittima conseguenze psicologiche almeno riconducibili a uno stato di ansia. Se per tanto non vi è uno stato ansioso, o un timore per la propria incolumità, non si può parlare di stalking.
Una pluralità di azioni
Nella pronuncia, gli Ermellini ricordano che “la struttura del reato di atti persecutori sia costituita da una pluralità di azioni a contenuto minatorio o integranti molestie, causalmente orientate, ed obbiettivamente in tal senso efficienti, alla verificazione di uno degli eventi sopra indicati”. E ancora che “laddove non siano ravvisabili gli estremi della violazione dell’articolo 612-bis del codice penale perché ad esempio, le condotte non hanno raggiunto quel coefficiente di intensità nella reiterazione necessario per la integrazione del reato oppure nel caso in cui esse non abbiano determinato a carico del soggetto passivo l’evento tipico del reato.
Non per questo la condotta dell’agente non potrà essere sussunta entro il paradigma normativo ora del reato di cui all’articolo 612 del codice penale ora di quello di cui all’articolo 660 del codice penale, ora di altro reato, necessariamente caratterizzato dalla minore gravità rispetto agli atti persecutori, il cui effetto accessorio, derivante proprio dalla ripetizione delle condotte, sarebbe potuto essere uno di quegli eventi elencati all’articolo 612-bis del codice penale cui prima si è fatto cenno”.
Lo stalking condominiale
Sempre a proposito di stalking, negli ultimi anni si è parlato sempre più frequentemente di stalking condominiale. Naturalmente, lo stalking condominiale non esiste come reato contemplato espressamente dal nostro codice penale, ma si è comunque costruito una specifica dignità e riconoscimento attraverso diverse pronunce della Corte di Cassazione. Ma che cos’è?
In sintesi, lo stalking condominiale è un reato commesso da chi pone in essere comportamenti molesti e persecutori nei confronti dei vicini di casa, tali da ingenerare in loro un grave e perdurante stato di ansia, frustrazione e paura per sé o per i propri familiari, e da costringerli a cambiare le proprie abitudini di vita.
Come anticipato, nel quadro normativo italiano non vi è espressa indicazione dello stalking condominiale, ma la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha di fatti esteso ufficialmente l’ambito di applicabilità dell’art. 612-bis c.p. al contesto condominiale a partire dalla pronuncia n. 20895 del 25 maggio 2011.
In quel caso, un condomino affetto da una grave sindrome maniacale aveva posto in essere una serie di atti molesti contro alcune donne dell’edificio senza che vi fosse alcuna connessione logica tra di esse, eccezione fatta per l’appartenere al genere femminile. Il condomino pedinava e braccava le donne nell’ascensore, le minacciava di morte le insultava in vario modo.
Le considerazioni in Cassazione
Ora, la Cassazione ha riconosciuto riduttiva la lettura della norma di cui all’art. 612 bis del codice penale, in relazione al fatto che gli atti persecutori dovrebbero essere indirizzati esclusivamente nei confronti di un solo soggetto. Ha dunque sussunto che le condotte moleste perpetrate nei confronti di più soggetti di sesso femminile nel reato di atti persecutori, vedendo in esse un’unica violazione della norma che lo punisce.
Stando alle considerazioni della Suprema Corte, il fatto può infatti essere costituito da due sole condotte, a patto che siano idonee a cagionare nella vittima un grave stato di ansia e di paura per la propria incolumità, costringendola così a modificare le proprie abitudini di vita.
Per i giudici della Cassazione, è “ineludibile l’implicazione che l’offesa arrecata ad una persona per la sua appartenenza ad un genere turbi di per sé ogni altra che faccia parte dello stesso genere”. E “se la condotta è reiterata indiscriminatamente contro talaltra, perché vive nello stesso luogo privato, sì da esserne per questa ragione occasionalmente destinataria come la precedente persona minacciata o molestata, il fatto genera all’evidenza turbamento in entrambe”.
L’ingresso dello stalking condominiale in giurisprudenza
Dunque, nella fattispecie in esame, l’imputato è stato condannato per il reato di stalking ai danni dell’intero genere femminile residente in condominio. Anche se le vittime dirette degli atti persecutori sono state solo alcune donne, il suo comportamento ha infatti generato nelle altre paura e stati di ansia nell’eventualità di incontrare l’aggressore nell’edificio, costringendole così a mutare le proprie abitudini di vita.
Con queste premesse, lo stalking condominiale è dunque entrato a pieno titolo nella giurisprudenza, con l’estensione del campo di applicazione del reato di atti persecutori anche in contesti differenti da quelli che sono inerenti alla sfera affettiva.
Successivamente, la giurisprudenza ha convalidato le valutazioni di cui sopra con la sentenza n. 26878/2016, che sottolinea come il reato di stalking riguardi anche se un soggetto ha nei confronti dei propri condomini un comportamento esasperante tale da cagionare il perdurante stato di ansia della vittima e costringendola a modificare le proprie abitudini di vita
La recente sentenza n. 35046/2021
Più recentemente, la conferma è arrivata dalla sentenza n. 35046/2021 della Corte di Cassazione, secondo cui
il delitto previsto dell’art. 612-bis cod. pen., che ha natura di reato abituale e di danno, è, infatti, integrato dalla necessaria reiterazione dei comportamenti descritti dalla norma incriminatrice e dal loro effettivo inserimento nella sequenza causale che porta alla determinazione dell’evento, che deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso, anche se può manifestarsi solo a seguito della consumazione dell’ennesimo atto persecutorio, sicché ciò che rileva non sono i singoli atti, quanto la loro identificabilità quali segmenti di una condotta unitaria, causalmente orientata alla produzione dell’evento.
In tal senso, l’essenza dell’incriminazione di cui si tratta si coglie non già nello spettro degli atti considerati tipici (di per sè già rilevanti penalmente), bensì nella loro reiterazione, elemento che li cementa identificando un comportamento criminale affatto diverso da quelli che concorrono a definirlo sul piano oggettivo, giacché alla reiterazione degli atti corrisponde nella vittima un progressivo accumulo del disagio che questi provocano, fino a che tale disagio degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi nelle forme descritte nell’art. 612 bis c.p.
La prova dello stalking condominiale
Ma come si prova lo stalking condominiale?
Come rilevato dalla stessa Corte di Cassazione con la già citata sentenza n. 26878/2016, la pena responsabilità dell’imputato può essere affermata anche solo a seguito delle dichiarazioni della persona offesa, una volta verificata la sua credibilità soggettiva e l’attendibilità del suo racconto.
Ad ogni modo, sarà necessario dimostrare non solamente la condotta dello stalker, quanto anche che il suo comportamento ha cagionato nella vittima le conseguenze psicologiche che sono richieste dalla norma incriminatrice degli atti persecutori e, dunque, un fondato timore per l’incolumità propria o di un proprio congiunto o di una persona legata da relazione affettiva, un’alterazione delle proprie abitudini di vita, un perdurante e grave stato di ansia e di paura.
Lo stalking giudiziario
Come abbiamo visto, sebbene non sia stato inquadrato esplicitamente dal quadro normativo, la giurisprudenza ha contribuito a determinare la configurazione sostanziale di un reato specifico come lo stalking condominiale.
Con lo stesso approccio si può anche parlare di stalking giudiziario per tutti quei casi in cui le azioni moleste consistono in reiterate pretese di risarcimento in sede civile e amministrativa, e denunce infondate. Queste azioni giudiziarie sarebbero infatti tese unicamente a creare nella vittima uno stato di ansia e di pausa, costringendo la stessa a sostenere tutte le spese del giudizio per far valere le proprie ragioni.
Tra le diverse sentenze che si sono espresse in tal senso, citiamo in sintesi la n. 3831/2017, in cui la Corte Suprema ha riconosciuto la configurabilità del reato di atti persecutori perpetrati mediante un utilizzo degenerato dello strumento giudiziario a fini vessatori, con pretese fatte valere in giudizio che devono essere palesemente infondate e strumentali.
Stalking giudiziario e funzione deterrente
Ancora più recentemente la giurisprudenza ha riconosciuto anche il collegamento del reato di stalking giudiziario con la funzione deterrente della lite temeraria in ambito civile di cui all’art. 96 comma 3 c.p.c., con la sentenza n. 4853/2021 secondo cui
l’art. 96, comma 3, c.p.c., introduce nell’ordinamento una forma di danno punitivo per scoraggiare l’abuso del processo, e preservare la funzionalità del sistema giustizia con la censura di iniziative giudiziarie avventate o meramente dilatorie, conseguentemente perseguendo indirettamente interessi pubblici quali il buon funzionamento e l’efficienza della giustizia, e, più in particolare, la ragionevole durata dei processi mediante lo scoraggiare cause pretestuose.
Lo stalking telefonico
Tra le ipotesi di stalking di cui si è mediaticamente parlato più di recente, un’ipotesi riguarda lo stalking telefonico. Ma che cos’è? E quando si realizza per legge?
In verità, lo stalking telefonico altro non è che uno dei modi in cui può essere perpetrato il reato di stalking, rappresentato da quelle condotte insistenti di contatto, realizzate mediante l’uso del telefono, tali da determinare un perdurante stato di ansia o di paura nel destinatario, oppure tali da infondere allo stesso un fondato timore per la vita propria o per quella di qualunque altra persona ad egli legata da affetto.
Peraltro, si realizza anche lo stalking quando l’insistenza del contatto che il molestatore ha realizzato attraverso l’uso dell’apparecchio telefonico costringe il destinatario a cambiare le proprie abitudini.
Cos’è lo stalking telefonico
Come in parte abbiamo già sottolineato, lo stalking telefonico è un reato abituale, che si protrae nel tempo. Di qui, la principale differenza nei confronti della molestia che, invece, può realizzarsi anche con una singola condotta o per un breve periodo di tempo.
Più nello specifico, quanto definibile come stalking telefonico è il reato di stalking che si verifica quando un soggetto (stalker) mostra atteggiamenti molesti e insistenti a danno di una persona (vittima del reato) in luogo pubblico o aperto al pubblico con il mezzo del telefono. Rientra in questo concetto anche una condotta molesta di corteggiamento insistente nei confronti di una persona che però non esprime alcun gradimento.
A rilevare, nello stalking telefonico, è dunque anche il mezzo utilizzato per porre in essere una condotta ripetitiva e insistente: si pensi alle telefonate, agli SMS, o a sistemi di telecomunicazione come la messaggistica istantanea.
La denuncia per stalking telefonico
Chi subisce continue telefonate da parte di qualcuno senza che vi sia adeguata giustificazione, può:
- Presentare una denuncia alle forze dell’ordine o alla procura della Repubblica. Nella denuncia è molto importante raccontare quanto è accaduto, indicando le prove che permettano al pubblico ministero di dimostrare la veridicità delle dichiarazioni. Il pubblico ministero darà dunque il via alle indagini, a patto che siano queste a procurare il materiale di prova dell’esistenza del reato, nonché del soggetto colpevole, domandando poi – se ritiene – che venga processato.
- Presentare una querela alle forze dell’ordine o alla procura della Repubblica. A differenza della denuncia, oltre alla descrizione dei fatti il querelante dovrà espressamente richiedere la punizione del colpevole. Anche in caso di querela, il pubblico ministero procederà con le indagini e poi domandando l’eventuale processo.
Come difendersi dallo stalking telefonico
Nelle scorse righe abbiamo già visto quali siano gli strumenti in capo a coloro i quali desiderano difendersi dallo stalking telefonico.
Ciò premesso, e ribadendo la consapevolezza del fatto che si può procedere con la denuncia o con la querela, è molto importante prendere subito nota degli elementi che contraddistinguono la sua condotta. Per esempio, la prima cosa da fare nel momento in cui si intende sporgere una denuncia o una querela, o si sta comunque ancora valutando il da farsi, è certamente quello di appuntare su un elenco tutte le date e gli orari in cui si sono ricevute telefonate, squilli, SMS o altri contatti.
È altresì importante tenere traccia di altri elementi di dettaglio che saranno certamente utili in fase di indagine e processo, come ad esempio annotare il numero di telefono da cui si ricevono i contatti, la durata delle molestie, il tenore dei messaggi. È anche bene registrare le telefonate, soprattutto se possono contenere elementi precisi sul colpevole o se le chiamate hanno contenuto minacce e offese: nei principali app Store sono a disposizione delle app per cellulari che possono tenere traccia di tutte le telefonate e registrare le conversazioni.
Tutti questi elementi, evidentemente, permetteranno alle autorità giudiziarie di provare la veridicità delle dichiarazioni del denunciante o del querelante.
Stalking messaggi reciproci
La recente sentenza n. 46834/2022 da parte della Corte di Cassazione ha poi aggiunto un interessante tassello a questo argomento, affermando che commette reato di stalking anche colui che invia in modo ossessivo gli SMS e i messaggi su WhatsApp ai parenti e agli amici della vittima.
Il caso nasce dalla persecuzione di un uomo che, dopo aver commesso il reato nei confronti dell’ex compagna, ha mal deciso di tormentare anche il fratello della donna, inviandogli continuamente SMS. Per la Cassazione, quanto basta per configurare il reato di stalking, considerato che “integra il delitto di atti persecutori la reiterata e assillante comunicazione di messaggi di contenuto persecutorio, ingiurioso o minatorio, diretta a plurimi destinatari a essa legati da un rapporto qualificato di vicinanza”. Insomma, il reato viene integrato dai comportamenti sopra descritti alle persone più vicine della vittima.
La stessa sentenza informa poi che si commette reato di stalking quando si agisce “nella ragionevole convinzione che la vittima ne venga informata e nella consapevolezza della idoneità del proprio comportamento abituale a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice”. In altri termini, lo stalking assilla familiari, amici e parenti ben sapendo che questi avvertiranno la vittima procurandole un altro danno, in questo caso in via indiretta.
Quando viene meno l’accusa di stalking telefonico
Qualche anno prima la Cassazione era intervenuta, con sentenza n. 9221/2016, per effettuare un interessante chiarimento su quando venga meno l’accusa di stalking telefonico.
In particolare, i giudici della Suprema Corte avevano sottolineato come decade l’accusa di stalking – anche se rimane configurabile quella di ingiuria o di minaccia – nei confronti di quella persona che perseguita la ‘ex’ tramite delle telefonate, nel caso in cui la vittima di questi contatti indesiderati si intrattenga a parlare o a rispondere agli SMS dell’uomo che ha deciso di lasciare o comunque di non frequentare più. E vengono meno – proseguivano ancora i giudici – se i contatti indesiderati non vengono lasciati cadere nel vuoto, anche le misure di protezione, come il divieto di avvicinamento, in favore di chi si sente perseguitata.
Il caso su cui si è espressa la Cassazione è stato piuttosto controverso: riguardava infatti una fattispecie di violenza sessuale e di stalking secondo cui c’è stato un comportamento poco coerente, da parte della ragazza, sempre con riferimento alla configurabilità dell’accusa di stalking, poiché ha accettato un “incontro chiarificatore” con l’ex fidanzato. L’incontro è però poi sfociato in una violenza sessuale.
Il caso
Nel caso affrontata dagli Ermellini, la ragazza aveva lasciato il fidanzato a causa della sua ossessiva gelosia. Nonostante ciò, continuava però a mantenere aperto un canale di comunicazione, rispondendo alle sue telefonate minatorie e ai suoi SMS dal contenuto particolarmente grave.
Ebbene, ad avviso dei giudici della Suprema Corte, “laddove il comportamento del soggetto passivo in qualche modo assecondi il comportamento del soggetto agente, vien meno il requisito indispensabile del mutamento radicale delle proprie abitudini e la situazione di ansia che segna in modo irreversibile la vita della vittima“.
Di fatti, prosegue la pronuncia, il cambiamento delle abitudini e l’insorgenza di uno stato di ansia sono gli elementi che devono configurare la sussistenza del reato di stalking. Proprio per questo motivo, i supremi giudici hanno dovuto escludere la configurabilità dell’accusa di atti persecutori a carico dell’uomo, ex fidanzato, che continuava a minacciare con chiamate e SMS la precedente compagna.
Sempre secondo la Suprema Corte, dunque, il tribunale del riesame di Napoli avrebbe fatto bene ad accogliere il ricorso della difesa del ragazzo annullando il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla ragazza.
“Il Tribunale del riesame – scriveva in quell’occasione la Terza sezione penale della Cassazione – nel valutare il racconto della persona offesa, pur prendendo atto delle minacce continue, ed anche gravi, poste in essere da Oscar P. anche al cospetto di estranei, non ha potuto far a meno di verificare comportamenti per lo meno incongrui posti in essere dalla destinataria di tali minacce, consistiti nel proseguire i rapporti telefonici rispondendo al proprio interlocutore anzichè prenderne le distanze”.