Tassazione mance – una guida rapida
- Mance da tassare, posizioni divergenti
- Mance e TUIR
- Nozione di reddito da lavoro dipendente
- L’esempio delle mance dei croupiers
- Natura retributiva delle mance
Negli ultimi giorni ha destato particolare risalto mediatico l’ordinanza n. 26510/2021 della Corte di Cassazione, secondo cui le mance dei clienti percepite dal lavoratore dipendente vanno tassate. Ma per quale motivo i giudici della Suprema Corte hanno assunto questa posizione?
Mance da tassare: una posizione divergente tra le Commissioni Tributarie
Per comprendere quali siano le motivazioni che hanno indotto i giudici della Corte Ad assumere tale posizione, può essere utile ricostruire, brevemente, l’accaduto.
La CTR della Sardegna ha infatti accolto l’appello sollevato da un contribuente nei confronti della decisione della CTP di Sassari. La quale, in sostanza, aveva rigettato il ricorso avente ad oggetto un avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate, con cui al contribuente era stato domandato il pagamento delle tasse per il periodo di imposta 2005.
Per il Fisco, il contribuente avrebbe dovuto dichiarare mance per circa 73mila euro, percepite dalla clientela in qualità di capo ricevimento in una struttura alberghiera.
Ebbene, per la CTR, contrariamente a quanto sancito dalla CTP, le mance non sono tassabili. Per i commissari regionali, infatti, le mance non rientrano nella nozione di reddito da lavoro dipendente ex art. 51 del TUIR, nel testo vigente nel periodo di imposta (2004-2008). Le mance hanno infatti di per sé una natura aleatoria, essendo percepite dai clienti e non dal datore di lavoro.
Di diverso avviso è appunto l’Agenzia delle Entrate, che solleva in Cassazione un unico motivo di ricorso: la violazione e la falsa applicazione dell’art. 51 commi 1 e 2 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, da cui emergerebbe come le somme percepite a qualsiasi titolo dal lavoratore dipendente contribuente in relazione al rapporto di lavoro subordinato rientrano nella nozione di reddito da lavoro tassabile. Insomma, le mance devono essere tassate, a detta del Fisco, perché rientrano nella natura omnicomprensiva del reddito da lavoro dipendente. Che, in tal senso, non è rappresentato solamente dal salario erogato dal datore di lavoro.
E per la Cassazione?
Mance da tassare secondo il Testo Unico Imposte sui Redditi
La Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, con una serie di motivazioni che andiamo ora a riassumere.
In prima battute, i giudici ricordano come l’attuale art. 51, primo comma, del TUIR, nel testo post-riforma del 2004, applicabile dunque nella controversia su cui la Corte si sta esprimendo, prevede che
il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere a qualunque titolo percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro.
L’art. 49, comma 1, del TUIR, a sua volta, nella formulazione applicabile ratione temporis, definisce i redditi da lavoro dipendente quelli
che derivano da rapporti aventi per oggetto la prestazione di lavoro, con qualsiasi qualifica, alle dipendente e sotto la direzione di altri, compreso il lavoro a domicilio quando è considerato dipendente secondo le norme della legislazione sul lavoro.
Art. 48 TUIR
Dunque, è piuttosto marcata la differenza rispetto alla precedente versione dell’art. 48 TUIR, secondo cui il reddito da lavoro dipendente era costituito da
tutti i componenti in denaro o in natura percepiti nel periodo di imposta anche sotto forma di partecipazione agli utili in dipendenza del rapporto di lavoro.
I giudici richiamano poi anche l’attuale art. 51 TUIR, e l’analoga disposizione del previgente art. 48 TUIR, che stabilisce che non concorrono a formare reddito le mance percepite dagli impiegati tecnici delle case da gioco, direttamente o per effetto del riparto a cura di appositi organismi costituiti all’interno dell’impresa, nella misura del 25 per cento dell’ammontare percepito nel periodo di imposta.
Quindi, gli Ermellini citano l’art. 12 della l. 30 aprile 1969 n. 153, nel testo come sostituito dall’art. 6 comma 1, del d.lgs. n. 314/1997, che rinvia per la determinazione dei redditi da lavoro dipendente ai fini contributivi all’art. 46 comma 1 TUIR, di modo che costituiscono a tal fine i redditi di cui al citato art. 46 TUIR, maturati nel periodo di riferimento.
La nozione di reddito di lavoro dipendente
Una volta così ricostruito il quadro normativo, la Cassazione evidenzia come esiste un’unica nozione di reddito da lavoro dipendente, sia ai fini fiscali, che ai fini contributivi.
Quindi, condivide l’approccio assunto dall’Agenzia delle Entrate, secondo cui l’onnicomprensività del concetto di reddito di lavoro dipendente giustifica la totale imponibilità di tutto ciò che il dipendente riceve, anche – come nel caso in commento – non direttamente dal datore di lavoro, ma sulla cui percezione il dipendente può comunque fare, per la sua esperienza, ragionevole o certo affidamento.
Il nesso di derivazione delle somme che promanano dal rapporto di lavoro ne giustifica dunque, nel contesto normativo di cui sopra, la totale imponibilità, salvo le esclusioni o le deroghe previste.
L’esempio delle mance dei croupiers
Per gli Ermellini trova dunque applicazione quanto già previsto dalla stessa Corte per le mance dei croupiers, almeno sotto il profilo tributario. Qui, peraltro, l’inclusione parziale delle mance secondo la disciplina di cui si è fatto cenno qualche riga fa, nella base del reddito rilevante ai fini fiscali, sembra essere affermata in considerazione della disposizione contrattuale che attribuisce ad apposito organismo della casa da gioco il compito di ripartire le stesse mance.
Da tempo la Cassazione ha in merito osservato che:
mentre la retribuzione è strettamente connessa, in virtù del vincolo sinallagmatico che qualifica il rapporto di lavoro subordinato, con la prestazione lavorativa, il concetto di derivazione dal rapporto di lavoro, contenuto nella norma in esame (ora art. 49 TUIR, ndr) prescinde dal suddetto sinallagma e individua pertanto non solo tutto quanto può essere concettualmente inquadrato nella nozione di retribuzione, ma anche tutti quegli introiti del lavoratore subordinato, in denaro o natura, che si legano casualmente con il rapporto di lavoro (e cioè derivano da esso), nel senso che l’esistenza del rapporto di lavoro costituisce il necessario presupposto per la loro percezione da parte del lavoratore subordinato.
Ciò premesso, proseguivano gli Ermellini, costituisce una logica conseguenza di quanto fin detto l’ampiezza del concetto di derivazione che è stato adottato dal legislatore. E che impone, dunque, di inserire nella nozione di reddito di lavoro anche gli introiti corrisposti al lavoratore subordinato da soggetti terzi rispetto al rapporto di lavoro, sempre che ne ricorrano i requisiti.
Dalla tecnica seguita
La natura retributiva delle mance
Nelle sue motivazioni, la Cassazione sottolinea poi come non giovi – a sostegno della tesi esposta dal contribuente nel doppio grado di merito, contestare la natura retributiva delle mance per sostenere che le stesse non possono essere ricomprese nella nozione di reddito di lavoro dipendente di cui si è parlato nelle scorse righe, atteso che tale nozione è diversa e più ampia di quella di retribuzione.
Il fatto poi, proseguono ancora i giudici, che per le mance che spettano ai croupiers sia prevista una deduzione forfettaria del 25%, integrando così una disciplina agevolativa per questa specifica categoria di lavoratori, comporta che tale disciplina non possa essere oggetto di un’interpretazione analogica o estensiva, avendo più volte la stessa Suprema Corte affermato la natura di stretta interpretazione delle norme in materia di agevolazione tributaria.
Ancora, proseguono i giudici, deve essere osservato come, proprio in relazione alla sostanziale convergenza tra la disciplina fiscale e quella previdenziale, con l’accoglimento di una nozione di reddito di lavoro utilizzabile sia ai fini contributivi che tributari, le considerazioni già esposte in ambito previdenziale dalla Corte Costituzionale inducono a non ipotizzare dubbi di legittimità costituzionale riguardo all’art. 51 TUIR nella sua interpretazione, che si accoglie in questa sede.