Tassazione plusvalenza da cessione terreno – guida rapida
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 17796 del 27 giugno 2024, ha affermato che la plusvalenza ricavata dalla cessione di un terreno costituisce un reddito da tassare ai fini Irpef. Come tale, deve essere effettivamente conseguito dal contribuente.
La sua base imponibile è affatto diversa da quella dell’imposta di registro, con la conseguenza che il valore di un terreno ai fini dell’imposta di registro non può essere automaticamente attribuito alla plusvalenza da tassare ai fini Irpef: devono almeno ricorrere degli indici fattuali gravi, precisi e concordanti per inferire che il contribuente abbia effettivamente realizzato dalla cessione di un terreno una plusvalenza diversa e maggiore di quella conseguita con l’incasso del prezzo pattuito in contratto.
L’impugnazione dell’avviso di accertamento
La contribuente ha impugnato l’avviso di accertamento a lei notificato relativo all’anno d’imposta 2006, con il quale l’Agenzia delle Entrate aveva ripreso una maggiore imposta Irpef oltre a sanzioni ed interessi.
La motivazione del recupero ha tratto origine da una plusvalenza generata da un maggior valore accertato, ai fini dell’imposta di registro, per la cessione onerosa da parte della ricorrente, unitamente ad altro contribuente, dei propri diritti pari alla quota indivisa di 2/6 della piena proprietà ed alla quota indivisa di 1/6 dell’usufrutto vitalizio di un terreno edificabile.
La contribuente ha sottolineato l’altro venditore, ricorrente in via autonoma contro lo stesso avviso di accertamento, aveva ottenuto una sentenza favorevole in primo grado, confermata in secondo grado, con la quale l’avviso di accertamento sul valore ai fini dell’imposta di registro era stato annullato.
La contribuente chiede pertanto l’annullamento dell’atto impugnato per carenza di presupposti e, nel merito, per inesistenza del maggior reddito imponibile.
Le decisioni delle Commissioni tributarie sulla plusvalenza da cessione terreno
La C.T.P. di Roma ha accolto il ricorso. L’Ufficio delle Entrate ha però proposto appello, rilevando che le sentenze di primo e secondo grado poste a base della sentenza di primo grado impugnata riguardavano un altro contribuente, seppur comproprietario del terreno, che aveva ricorso in via autonoma avverso il medesimo accertamento di maggior valore del terreno.
Peraltro, prosegue il Fisco nel ricorso, la sentenza d’appello non era passata in giudicato, essendo stata oggetto di ricorso per Cassazione da parte dell’Ufficio.
Le Entrate hanno inoltre rilevato come il giudizio d’appello promosso con riferimento all’avviso di accertamento notificato alla contribuente per il maggior valore per la cessione del terreno si era concluso con esito ad esso parzialmente favorevole ed era passato in giudicato.
Conclude dunque l’Agenzia delle Entrate chiedendo la conferma della plusvalenza ai fini Irpef. La contribuente conclude invece per il rigetto dell’appello, definendo frutto di errore di valutazione la sentenza d’appello.
La C.T.R. del Lazio ha accolto l’appello dell’Ufficio, riformando totalmente la sentenza di primo grado e confermando l’avviso di accertamento ai fini Irpef a suo tempo notificato alla contribuente che, contro la sentenza d’appello, ha proposto ricorso per Cassazione affidato a quattro motivi. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
I motivi del ricorso per la plusvalenza da cessione terreno
Il primo motivo di ricorso è rubricato “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c.: violazione del dovere del giudice di esaminare tutti i fatti allegati dalle parti, ove provati”.
Con esso, il contribuente censura la sentenza impugnata perché non si sarebbe espressa sull’oggetto del giudizio, ovvero sulla legittimità dell’avviso di accertamento.
“La sentenza impugnata non si sarebbe espressa sulla condotta censurata dell’amministrazione, che ha accertato presuntivamente il maggior valore dell’immobile compravenduto senza che vi fosse prova dell’incasso di una maggiore somma da parte del contribuente, onerando di fatto il contribuente di dare la prova “diabolica” del mancato incasso di un maggior prezzo. La C.T.R. avrebbe determinato il maggiore imponibile ai fini Irpef sulla sola base del valore accertato in sede giurisdizionale ai fini dell’imposta di registro, senza esaminare le eccezioni e le difese che sul punto la P. aveva proposto” – si legge ancora nelle motivazioni.
Il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato
Con il secondo motivo di ricorso, rubricato “Violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. (error in procedendo)”, il contribuente censura invece la sentenza impugnata per aver violato il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, di cui all’art. 112 c.p.c..
“Diversamente qualificando il vizio denunciato con il primo motivo, il contribuente si duole che la C.T.R. non si sarebbe pronunciata sulle difese e sulle eccezioni a suo tempo proposte dalla P. per contrastare l’accertamento ai fini Irpef dell’Ufficio” – viene riportato tra i motivi del ricorso.
Con il terzo motivo di ricorso, rubricato “Nullità della sentenza per omessa motivazione, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c. (error in procedendo)”, il contribuente censura la sentenza della C.T.R. per omessa motivazione, nel caso in cui la Corte ritenesse implicitamente esaminate e decise le eccezioni e le difese contro la pretesa dell’amministrazione di determinare la presunta plusvalenza conseguita dalla vendita del terreno nella stessa somma determinata ai fini dell’imposta di registro.
La fondatezza del ricorso
I primi tre motivi di ricorso sono esaminati congiuntamente in virtù della loro stretta connessione e sono ritenuti fondati.
La C.T.R. ha infatti accertato che la contribuente avrebbe conseguito dalla vendita del terreno una plusvalenza pari al valore accertato ai fini dell’imposta di registro.
La sentenza impugnata ha automaticamente determinato la plusvalenza conseguita in seguito alla cessione del terreno nella stessa misura del valore attribuito al terreno stesso ai fini dell’imposta di registro.
Operando in questo modo la C.T.R. si è posta contro il consolidato indirizzo di questa Corte, secondo cui invece la plusvalenza ricavata dalla cessione di un terreno costituisce un reddito da tassare ai fini Irpef e che, come tale, deve essere effettivamente conseguito dal contribuente.
La sua base imponibile, pertanto, è affatto diversa da quella dell’imposta di registro, con la conseguenza che il valore di un terreno ai fini dell’imposta di registro non può essere automaticamente attribuito alla plusvalenza da tassare ai fini Irpef: devono almeno ricorrere degli indici fattuali gravi, precisi e concordanti per inferire che il contribuente abbia effettivamente realizzato dalla cessione di un terreno una plusvalenza diversa e maggiore di quella conseguita con l’incasso del prezzo pattuito in contratto.
– afferma ancora la pronuncia.
Ebbene, la C.T.R. si è discostata dal ricordato principio. Ha infatti determinato la plusvalenza tassabile ai fini Irpef, con inaccettabile automatismo, nello stesso valore del terreno stimato ai fini dell’imposta di registro sul contratto di compravendita. Non ha inoltre motivato sulle eccezioni e difese spiegate dal contribuente per contestare la pretesa dell’erario.