Tobin Tax e trasferimento delle azioni – guida rapida
- Cos’è la Tobin Tax
- Chi paga la Tobin Tax
- Il pagamento della Tobin Tax
- Il ricorso
- La natura della Tobin Tax
Con sentenza n. 27265/5 del 25 settembre 2023 da parte della Corte di Cassazione, i giudici della Suprema Corte hanno chiarito come il trasferimento di azioni tra due fondi comuni di investimento gestiti in modo separato dalla stessa Società di Gestione del Risparmio (SGR) non comporti un trasferimento della proprietà dei titoli.
Sulla base di questo affermato principio, la Suprema Corte ha respinto il ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate, considerato che non è stato ritenuto soddisfatto il requisito per l’applicazione della Tobin tax, la quale richiede il trasferimento effettivo del diritto di proprietà delle azioni.
Nel caso in questione, infatti, i Giudici hanno valutato come il passaggio delle quote a un altro patrimonio separato gestito dalla stessa società sia piuttosto una modifica interna della gestione patrimoniale.
Cos’è la Tobin Tax
Prima di comprendere quali siano state le motivazioni che hanno condotto la Corte di Cassazione ad assumere la posizione di cui sopra, può essere utile rammentare brevemente che cosa sia la Tobin Tax e quale sia il suo funzionamento.
In estrema sintesi, la Tobin Tax è l’imposta sulle transazioni finanziarie che prevede una tassazione differente a seconda dell’operazione finanziaria.
L’imposta colpisce infatti in modo differente tre diverse tipologie di operazioni.
La prima è il trasferimento della proprietà di azioni e di altri strumenti finanziari partecipativi che siano stati emessi da società residenti nel territorio dello Stato, nonché di titoli rappresentativi dei predetti strumenti indipendentemente dalla residenza del soggetto emittente. È questa la fattispecie che aveva individuato l’Agenzia delle Entrate, ricollegando a tale caso un’aliquota dello 0,2% sul valore della transazione, ridotta allo 0,1% per i trasferimenti che avvengono in mercati regolamentati e sistemi multilaterali di negoziazione.
Vi è poi una seconda ipotesi, quella delle operazioni su strumenti finanziari derivati che abbiano come sottostante prevalentemente uno o più strumenti finanziari partecipativi. In questi casi è prevista l’applicazione di un’imposta in misura fissa, determinata con riferimento alla tipologia di strumento e al valore del contratto, secondo una tabella allegata alla legge di stabilità 2013.
Infine, vi è il c.d. trading ad alta frequenza, che mediante l’uso di elaboratori che possono eseguire ordini in qualche millesimo di secondo, permette di ottenere guadagni dagli scarti di prezzo minimi su uno stesso titolo, ed è caratterizzato da modifiche ed annullamenti molto frequenti.
Chi paga la Tobin Tax
Il quadro normativo prevede che l’imposta sia dovuta dal soggetto in favore del quale è realizzato il trasferimento. La Tobin Tax sui derivati è invece dovuta da ciascuna delle controparti delle operazioni, a meno che non si tratti delle c.d. operazioni esenti, che sono quelle che:
- hanno come controparte l’Unione Europea, la Banca Centrale Europea, le banche centrali degli Stati membri dell’Unione Europea e le banche centrali e gli organismi che gestiscono anche le riserve ufficiali di altri Stati;
- hanno come controparte gli enti od organismi internazionali costituiti in base ad accordi internazionali resi esecutivi in Italia;
- sono poste in essere dai market makers e dai liquidity providers, ovvero quegli operatori che svolgono attività di sostegno agli scambi o che pongono in essere operazioni di supporto alla liquidità delle azioni emesse dalla stessa;
- sono operazioni delle forme pensionistiche complementari, transazioni infragruppo e operazioni che seguono riorganizzazioni aziendali, operazioni su partecipazioni messe da società la cui capitalizzazione media nel mese di novembre dell’anno precedente a quello in cui avviene il trasferimento di proprietà sia inferiore a 500 milioni di euro.
Il pagamento della Tobin Tax
Tutto ciò premesso, cerchiamo di riepilogare brevemente i fatti che hanno condotto alla presa di posizione da parte della Corte di Cassazione.
In particolare, l’Agenzia delle Entrate ha ricorso contro alcuni due banche (DZ BANK e WGZ BANK, fusa per incorporazione nella DZ BANK), in relazione a quanto deciso dalla Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, che aveva rigettato l’appello proposto dall’ufficio contro la sentenza con cui il giudice di primo grado aveva accolto il ricorso della banca nella controversia originata dall’impugnazione del diniego di rimborso dell’imposta sulle transazioni finanziarie (Tobin Tax).
In particolare, il Giudice di appello riteneva che
dalla ricostruzione fattuale, anche sulla base della documentazione prodotta dalla ricorrente in primo grado, (…) appare condivisibile quanto sostenuto dal giudice di primo grado sul fatto che si deve ritenere che l’operazione posta in essere non rappresenta un trasferimento di azioni tra soggetti diversi, che avrebbe dato luogo a tassazione, in quanto non vi è stata mutazione della titolarità delle azioni, sia perchè queste sono sotto il controllo della medesima UIP, sia perchè la parte ha provato in atti con i prospetti illustrativi dei due fondi, (——) e (——), che si sia trattata di mera riorganizzazione degli stessi, poichè gli investitori sono i medesimi che erano comproprietari degli assets del fondo di investimento in proporzione al proprio numero di unità possedute.
Per il giudice di appello, pertanto, la differente collocazione degli asset tra i fondi non ne trasferisce la proprietà delle azioni in capo al nuovo soggetto, presupposto che – ricordiamo – è fondamentale per la Tobin Tax, bensì ad un patrimonio separato gestito dalla stessa SGR, rimanendo peraltro immutata la titolarità della proprietà degli strumenti finanziari. La Ctr ha poi evidenziato come emergesse dagli atti la natura previdenziale del piano di investimento pensionistico.
Il giudizio in appello
Quindi, il giudice di appello riteneva che
correttamente il giudice di prime cure ha richiamato D.M. 21 febbraio 2013, art. 16, comma 5, norma che ha previsto espressamente come l’imposta di cui ai commi 491 e 492, non si applica ai fondi pensione sottoposti a vigilanza ai sensi della direttiva 2003/41/CE ed agli enti di previdenza obbligatoria, istituiti negli Stati membri dell’Unione Europea e negli Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico Europeo inclusi nella lista di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emanato ai sensi dell’art. 168-bis del TUIR, nonchè alle altre forme pensionistiche complementari di cui al D.Lgs. 5 dicembre 2005, n. 252.
Il ricorso al giudice
L’Agenzia delle Entrate ritiene che il giudice di appello abbia erroneamente escluso ricorresse la fattispecie assoggettata ad imposta per la mancanza di un trasferimento di proprietà, poichè, dalla stessa ricostruzione fornita dalla contribuente, era dato evincersi un duplice passaggio di proprietà, l’uno dagli investitori al fondo originario e l’altro dal fondo agli originari investitori, cui era stata riattribuita la quota del nuovo fondo.
Ancora, per l’Agenzia il giudice di appello aveva ritenuto che l’operazione svolta fosse una riorganizzazione meramente interna dell’unica società di gestione dei due fondi di investimento, tra cui era intercorso il trasferimento dei titoli. Così facendo sarebbe però incorso nella violazione della normativa, non ricorrendo nè un’ipotesi di scissione di organismi di investimento collettivo del risparmio, nè un’operazione considerata dalla norma esonerativa di cui all’art. 4 Dir. Cons. n. 2008/7/CE del 12 febbraio 2008, riferibile solo alle società.
Con altro terzo motivo, la ricorrente lamenta il fatto che la Ctr ha rigettato l’appello dell’ufficio anche perché sarebbe applicabile al caso il D.M. 21 febbraio 2013, art. 16, comma 1, per cui “l’imposta di cui ai commi 491 e 492, non si applica ai fondi pensione sottoposti a vigilanza ai sensi della direttiva 2003/41/CE“, secondo la ricorrente si tratta infatti di un’affermazione assolutamente extra petitum, perchè la parte mai aveva affermato l’inapplicabilità a sè dell’imposta contestata per questo motivo, avendo solo sostenuto la ragione di non soggezione all’imposta costituita dalla ritenuta “riorganizzazione” per mezzo di una asserita scissione di O.I.C.R., la distinta ragione di esonero dall’imposta rappresentata dalla realizzazione dell’operazione tra fondi, asseritamente analoghi alle società soggette a controllo, e l’asserita mancata verificazione di un trasferimento di proprietà, senza alcun richiamo ad una natura pensionistica dei fondi interessati, quale ipotetico motivo di inapplicabilità dell’imposta.
La natura della Tobin Tax
Esaminando i ricorsi, i giudici evidenziano in primo luogo come la l. n. 228 del 2012, art. 1, commi da 491 a 500 (legge di stabilità 2013), abbia introdotto l’imposta sulle transazioni finanziarie con l’obiettivo di colpire le transazioni finanziarie aventi carattere speculativo per favorire una maggiore stabilità dei mercati finanziari e assicurare gettito per la spesa pubblica.
La Corte ricorda anche che l’imposta si applica con riferimento agli atti aventi ad oggetto il trasferimento della proprietà di azioni e di altri strumenti finanziari partecipativi di cui dell’art. 2346 c.c., comma 6 e che non deve invece essere applicata a tutti quei trasferimenti che riguardano mere riorganizzazioni societarie, ovvero quei casi in cui il trasferimento azionario avviene nell’ambito del medesimo gruppo societario. In tal senso il comma 494, lett. d), Legge di Stabilità 2013 prevede che l’imposta non si applica alle transazioni e alle operazioni tra società fra le quali sussista il rapporto di controllo di cui all’art. 2359 c.c., comma 1, nn. 1) e 2), e comma 2, ovvero a seguito di operazioni di riorganizzazione aziendale effettuate alle condizioni indicate nel decreto attuativo previsto dal successivo comma 500.
A tale materiale normativo si aggiungono poi le modalità attuative dell’imposta sono state definite con il Decreto del Mef emanato il 21 febbraio 2013, n. 50.
È qui che vengono contemplate le fattispecie sulle operazioni di riorganizzazione societaria non imponibili, escludendo dal novero dell’imposta i trasferimenti effettuati tra società fra le quali sussiste un rapporto di controllo di cui all’art. 2359 c.c., comma 1, nn. 1) e 2), e comma 2, o che sono controllate dalla stessa società.
Le operazioni di ristrutturazione
L’art. 15, comma 1, lett. h), del Decreto prevede inoltre, come ulteriore causa di esclusione, che l’imposta non si applichi ai trasferimenti derivanti da operazioni di ristrutturazione di cui all’art. 4 della Direttiva 2008/7/CE del Consiglio del 12 febbraio 2008.
Le operazioni di ristrutturazione individuate dall’art. 4 della richiamata Direttiva riguardano:
- il trasferimento da parte di una o più società di capitali della totalità dei loro patrimoni, o di uno o più rami della loro attività, a una o più società di capitali in via di costituzione o già esistenti, a condizione che il trasferimento sia remunerato per lo meno in parte mediante titoli rappresentativi del capitale della società acquirente;
- l’acquisizione da parte di una società di capitali in via di costituzione o già esistente di quote sociali che rappresentano la maggioranza dei diritti di voto di un’altra società di capitali, a condizione che i conferimenti siano remunerati per lo meno in parte mediante titoli rappresentativi del capitale della precedente società. Se la maggioranza dei diritti di voto è raggiunta in seguito a 2 o più operazioni, solo l’operazione con la quale è raggiunta la maggioranza dei diritti di voto e le operazioni successive sono considerate operazioni di ristrutturazione.
Ora, come già chiarito dalla risoluzione n. 38/E/2019 dell’Agenzia delle Entrate, la lettura coordinata delle disposizioni di cui sopra e la tipologia delle previste operazioni oggetto delle cause di esclusione, consente di individuare una comune ratio nell’evitare che il pagamento dell’imposta sulle transazioni finanziarie possa ostacolare le operazioni di riorganizzazione aziendale, dovendosi considerare tali non soltanto le operazioni di fusione, scissione e conferimento, quanto anche quelle che pur determinando il trasferimento della proprietà della partecipazione, non modificano l'”appartenenza economica” della partecipazione al medesimo gruppo societario.
La natura speculativa
A tal fine, è necessario che, anche in conseguenza del trasferimento della partecipazione, la società “ceduta” continui a essere controllata, anche indirettamente, dalla medesima società venditrice o che, comunque, la società venditrice e quella acquirente siano controllate, dalla stessa società controllante.
Come già anticipato, la ratio della normativa risiede nel fatto che, considerato che la Tobin Tax è diretta a tassare transazioni del mercato mobiliare aventi natura speculativa. Dunque, la Tobin Tax non deve applicarsi se le cessioni o i conferimenti dei titoli sono diretti a realizzare riorganizzazioni societarie, ove non si determina il cambio di controllo sostanziale della società le cui partecipazioni sono oggetto di trasferimento.
Il senso logico della Tobin Tax è peraltro stato abbondantemente illustrato dalla dottrina, che rileva come il razionale dell’imposta è quello di tassare il valore, in termini di capitale scambiato, delle transazioni su azioni e titoli domestici e su strumenti finanziari sintetici con base prevalentemente azionaria.
Considerato tutto ciò, il giudice di appello ha ritenuto che, all’esito dell’operazione descritta, la proprietà delle azioni fosse rimasta immutata in capo agli stessi soggetti, mancando dunque il presupposto del trasferimento che avrebbe di contro giustificato l’imposizione.
Secondo la Ctr, peraltro, sullo stesso fondo non era possibile ravvisare alcun trasferimento dal momento che gli investitori restavano i medesimi e la titolarità della proprietà degli strumenti finanziari rimaneva invariata. Di qui, gli investitori erano “comproprietari degli assets del fondo di investimento in proporzione” alla rispettiva quota originaria. Ancora, i giudici hanno stabilito che i due fondi erano patrimoni separati gestiti dalla stessa società che a sua volta agiva come mandatario dei medesimi investitori, che vedevano spostarsi il proprio piano di investimento da un fondo all’altro.
I soggetti distinti
Con queste valutazioni, il giudice di appello ha ribadito le conclusioni della sentenza di primo grado sul presupposto che non si fosse verificato il trasferimento di proprietà dei titoli, come elemento necessario per l’applicazione dell’imposta, poiché il nuovo fondo costituiva solo una diversa modalità organizzativa dell’originario investimento.
Come rilevato dai giudici di merito, infatti, la legge nell’assoggettare a Tobin Tax il trasferimento di azioni, presuppone che cedente e cessionario siano soggetti distinti. Nella fattispecie in esame, invece, i due fondi rappresentano patrimoni separati della stessa SGR e le azioni confluite nel nuovo fondo fanno capo agli originari investitori.
La stessa impostazione ha poi trovato conferma anche nella giurisprudenza della Corte, richiamata da parte contribuente, secondo cui i singoli investitori restano “proprietari sostanziali dei beni di pertinenza del fondo, lasciando però la titolarità formale di tali beni in capo alla società di gestione che lo ha istituito” (così, sul tema, Cass. n. 16605/2010).
Per i giudici di Cassazione appare inoltre condivisibile il rilievo di parte contribuente, laddove si ritiene che si sia dinanzi ad una operazione analoga alla scissione di OICR.
Si afferma così il seguente principio di diritto:
La L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 491, nell’assoggettare a Tobin Tax il trasferimento di azioni, presuppone che cedente e cessionario siano soggetti distinti, evenienza che non ricorre nel caso in cui il passaggio delle azioni avvenga tra due fondi comuni di investimento, che rappresentino, di fatto, patrimoni separati della stessa S.G.R. e le azioni confluite nel nuovo fondo facciano capo agli originari investitori.