La cosiddetta “usura sopravvenuta” – indice:
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 2311/2018 dello scorso 30 gennaio, è tornata a pronunciarsi sulla questione dell’usura sopravvenuta, andando ad appoggiare la posizione degli istituti di credito con una sentenza che non sarà certamente utile per porre la parola “fine” a una vicenda su cui si dibatte lungamente.
Nella pronuncia in esame, infatti, i giudici hanno escluso che possa essere considerata nulla o inefficace la clausola che nei contratti di mutuo determina il tasso degli interesse, stipulata prima dell’entrata in vigore della legge n. 108/1998, che superi la soglia fissata dalla legge nel corso di svolgimento del rapporto.
Sempre secondo la pronuncia della Corte, si devono escludere ipotesi di nullità e di inefficacia anche per la clausola stipulata successivamente, per un tasso che non supera tale soglia, quale risultante al momento della stipula.
Ma in che modo la Corte è arrivata a questa pronuncia? Cerchiamo di riassumere i fatti di causa, e le ragioni che hanno supportato i convincimenti della Suprema Corte.
È nulla una clausola sul tasso di interesse stipulata prima della legge 108 del 1998?
I fatti prendono origine nel momento in cui una banca ottiene dal Tribunale di Bologna un decreto ingiuntivo per 48 mila euro nei confronti del fideiussore della società, a titolo di risoluzione di un contratto di leasing immobiliare. Contro tale decreto ingiuntivo il fideiussore ha proposto opposizione, contestando l’autenticità della sottoscrizione della sua firma sulla garanzia. L’istituto di credito ha a sua volta contestato l’atto di opposizione e ha domandato l’espletamento di una perizia grafologica. Il Tribunale ha rigettato l’opposizione del fideiussore, condannandolo al pagamento delle spese di giudizio.
Il fideiussore impugnava poi la decisione. Anche in questo caso la Corte territoriale ha avuto modo di respingere il ricorso, alla luce dell’ulteriore questione posta dal garante. Questi ha rilevato la natura usuraria dei tassi di interesse praticati dalla Banca, evidenziandolo in modo troppo generico. Di qui, si arriva all’ulteriore ricorso in Cassazione.
La decisione della Corte in riferimento al tasso d’usura sopravvenuto
La Corte di Cassazione ha ricordato come il fideiussore abbia lamentato come la Corte di merito avrebbe errato nel considerare generica la contestazione. Fin dal primo grado erano stati indicati i tassi di interesse applicati dalla banca anno per anno, e il relativo tasso soglia. Per questo null’altro era possibile fare per dimostrare la fondatezza della contestazione.
In questo caso, la Corte osservava prima di tutto come il fideiussore non avesse mosso la censura di omesso esame in modo corretto. La Corte d’appello aveva dato conto, nella motivazione, del fatto che la banca avesse indicato i tassi applicati e il corrispondente tasso soglia.
Premesso ciò, è opportuno ricordare come le Sezioni Unite della stessa Corte, con recente sentenza n. 24675/2017, abbiano risolto un contrasto di giurisprudenza sancendo che nei contratti di mutuo,
se il tasso degli interessi concordato tra il mutuante e il mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura, non si verifica nullità o inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della legge 108/1996 o della clausola stipulata successivamente, per un tasso non eccedente la soglia, quale risultante al momento della stipula, né la pretesa del mutuante di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato, può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di detta soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto.
L’importanza del momento in cui il tasso è stabilito
Le Sezioni Unite, cioè,
hanno attribuito rilievo essenziale, ai fini della sussistenza o meno del carattere usurario dei tassi di interesse, al momento in cui questi sono pattuiti, negando ingresso alla configurabilità della c.d. usura sopravvenuta.
Questa impostazione, che la sentenza in esame ha voluto assumere in continuità, rende possibile che acquisti fondamentale importanza l’indicazione dei tassi di interesse pattuiti al momento della stipula del contratto.
La motivazione della Corte d’appello — benché vada su questo punto corretta, anche perché la pronuncia delle Sezioni Unite non era stata ancora pubblicata nel momento in cui fu depositata la sentenza qui impugnata — coglie tuttavia il punto centrale della questione, e cioè la genericità della tesi della parte oggi ricorrente la quale, specificando soltanto l’entità dei tassi anno per anno con l’indicazione dei tassi soglia, non consente in effetti di ritenere pacifica l’esistenza della usurarietà, risolvendosi nella sollecitazione allo svolgimento di una c.t.u. esplorativa.
Di qui, la Corte conclude come la contestazione della natura usuraria dei tassi avrebbe dovuto
comportare, da parte dell’opponente, la necessità di indicare in sede di merito la pattuizione originaria, le somme pagate ogni anno a titolo di interessi e non solo l’aliquota, il tutto in rapporto al capitale oggetto del finanziamento. Tra l’altro, solo dal confronto tra quanto è stato pagato e quanto si sarebbe dovuto pagare applicando un tasso di interesse legale si può arrivare a comprendere se vi sia stata o meno applicazione di un tasso usurario.
Alla luce di ciò, la Corte rigettava il ricorso.